Rubén Darío

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birillino8
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Rubén Darío

Messaggio da birillino8 »

[align=center]Rubén Darío

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Si chiamava Félix Rubén García-Sarmiento. Nacque a Metapa [Nicaragua] il 18 gennaio 1867. Studiò dai gesuiti, si laureò in lettere. Giornalista e diplomatico, fu in Cile,Argentina,Francia,Spagna. A Parigi incontrò Moréas e Verlaine e frequentò Mallarmé. In Spagna entrò in contatto con i novantottini, soprattutto Jiménez e Machado. Nel 1914 fu negli Stati Uniti per una serie di conferenze. Morì a León nel 1916.

***
Darío esordì con Cardi (Abrojos, 1887) all'ombra dei poeti romanticisti spagnoli e soprattutto di R. de Campoamor e diG. Nuñez de Arce.
Seguì Azzurro (Azul, 1888). Con questa raccolta siamo già nell'ambito del modernismo, cioè in una zona di voluttuosa e stilizzata sensibilità, appresa alla lezione di Bécquer, dei parnassiani francesi e dei 'nuovi' poeti ispano-americani (come il cubano José Martí e il messicano Gutiérrez Nájera).
In "Azzurro" è la tendenza alla poesia descrittiva, alla aggettivazione ricercata, alla cadenza inusitata, e un impeto sensuale che colora ogni verso.
Gli stessi ingredienti, comprese certe rievocazioni mitologiche e classiche, e certi richiami al mondo orientale di "Azzurro" si ritrovano nella raccolta poetica Prose profane (Prosas profa nas, 1896). Caratteristiche di questa raccolta sono: il ricordo di Verlaine, cui è dedicato uno dei componimenti più vibranti del libro, "Responso"; il richiamo alla grande poesia simbolista francese; qua e là il richiamo alla tradizione barocchista spagnola.
Le "Prose profane" sono il risultato più completo della sensibilità pagana e decadente, raffinata e aristocratica di Darío.
Un accento più accorato e intimo, una lieve smentita del suo stesso credo estetizzante, si ritrovano nella terza opera principale di Darío, Canti di vita e di speranza (Cantos de vida u esperanza, 1905). Il verso si modula su altri registri: quello della poesia civile di Whitman: nella "Ode a Roosevelt" e nella "Marcia trionfale"; o della poesia di sincera vena malinconica, come nei celebri "Notturni".
Darío scrisse poi Il canto errante (El canto errante, 1907), Il viaggio in Nicaragua (El viaje a Nicaragua, 1909), Poema dell'autunno (Poema del otoño, 1910). Darío sviluppa e approfondisce la tendenza dei libri precedenti, soprattutto dei "Canti di vita e di speranza", modellando i suoi versi fino al crepuscolarismo. Non mancano però anche in questi volumi componimenti d'impegno civile.
Fanno parte della produzione di Darío anche altri volumi.
Gli eccentrici (Los raros, 1893) è una raccolta di articoli su alcune personalità di rilievo della letteratura contemporanea, una specie di manifesto del movimento modernista. Stupenda l'autobiografia, pubblicata con il titolo La vita di Rubén Darío scritta da lui stesso (La vida de Rubén Darío escrita por él mismo, 1914).
Prodigiosa l'opera di innovazione stilistica e metrica di Darío. L'adattamento dell'alessandrino francese, l'uso di nuove combinazioni ritmiche, la ripresa di modi dimenticati di versificazione, profusione di rime interne, assonanze, dissonanze ecc., l'abbondante applicazione di vari accorgimenti e forme della poesia simbolista. Esse hanno avuto ampia e duratura ripercussione. Si pensi a Machado, Jiménez, fino alla generazione del '27 e oltre.





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Messaggio da birillino8 »

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Fiore di luce


Si levò la mia anima come dalla corolla
di un giglio. Sapeva restare nuda e sola.
Sola, come nell'acqua o nel vento. Leggera,
trasparente, sottile, meravigliosa. Era
quasi un divino fiore di luce, o un divino
uccello che nell'aria appare all'improvviso.
Non sapeva ascoltare, comprendere, vedere;
non sapeva ove andava,
né qual ch'era materia qua in basso, lassù in alto... [/align]
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Messaggio da birillino8 »

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D'autunno



So che dicono alcuni: perché non canta ora
più con quella pazzia armoniosa d'un tempo ?
Non vedono il lavoro profondo delle ore,
l'opera del minuto e il prodigio dell'anno.

Povera pianta, detti, movendomi la brezza,
quando ancora crescevo, un vago e dolce suono.
È' passato ormai il tempo del giovanile riso:
lasciate l'uragano agitare il mio cuore ! [/align]
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La dolcezza dell'Angelus




La dolcezza dell'angelus mattutino e celeste
che stemperano ingenue campane provinciali
in un'aria innocente, tanti sono i roseti
e le preghiere, i sogni di vergine ed i trilli

dell'usignolo, lungi dal dolente destino
di chi non crede... L'aureo gomitolo del vespero
che la sera dipana dietro offuscanti vetri
nel tesser l'inconsutile tela dei nostri mali

tutti fatti di carne e odorosi di vino...
E l'atroce amarezza di non goder di nulla,
di non sapere dove dirigere la prua,
mentre il povero schifo nella notte profonda va sulle onde ostili orfano dell'aurora.
( Oh soavi campane là sul fare dell'alba ! )
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Messaggio da birillino8 »

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Il fatale




Beato l'albero che è solo sensitivo
e più la pietra dura che non sente neppure,
perché il più gran dolore è quello d'esser vivi
né c'è pena più grande della vita cosciente.
Non saper nulla ed essere, essere senza meta,
fra il timor d'esser stati e un futuro terrore.
Di certo, la paura d'esser domani morti
e il soffrire per l'ombra, per la vita, per quello
che neanche conosciamo, soltanto sospettiamo,
mentre la carne tenta coi suoi freschi racemi
e la tomba ci attende coi suoi funebri fiori:
e ignorare ove andiamo
e di dove veniamo...
















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Messaggio da birillino8 »

[align=center]I buffoni




Ricordo, nella casa familiare, due nani,
come in Vélazquez. Uno di essi, il maschio, era
chiamato « il Capitano ». La sua vecchia compagna
era sua madre. Ma sembravano fratelli.

Avevan del fantoccio, dello spettro, del verme;
lui, guercio, zoppicava, prendeva un'aria truce;
faceva marionette e figure di cera
con le sue mani brevi, orribili, grassocce.

Fingeva d'esser vescovo, dava benedizioni;
predicava sermoni ch'eran tutto un garbuglio
e diceva contrito pater e avemarie.

Dopo, il nano e la nana pian piano se ne andavano,
tra le risate della gente ricca, per bene:
ma in un cantone, zitto, io provavo paura. [/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]
Notturno




Voi che avete auscultato il cuore della notte,
voi che nell'ostinata insonnia avete udito
un chiudersi di porte, rumore di vetture
lontane, un'eco vaga, un leggero fruscio...

In quegli istanti di silenzio misterioso
quando sorgon dal loro carcere gli obliati,
nell'ora dei defunti, nell'ora del riposo,
leggerete i miei versi d'amarezza impregnati.

Come in un vetro io verso in essi i miei dolori,
i remoti ricordi, le disgrazie funeste,
le meste nostalgie dell'anima inebriata,
la pena del mio cuore, triste in mezzo alle feste.

Dolore di non essere quello che avrei potuto,
perdita del reame per il quale ero nato,
pensiero che un istante decise la mia vita,
sogno ch'è l'esistenza da quando sono stato !

Tutto mi giunge in mezzo al silenzio profondo
in cui la notte avvolge la terrena illusione
e sento come un'eco del gran cuore del mondo
che penetra e commuove il mio cuore in ascolto. [/align]
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[align=center]Notturno




Silenzio della notte, doloroso silenzio
notturno. Perché l'anima trema in codesto modo ?
Odo il ronzio del mio sangue,
nella mia testa passa una dolce tormenta.
Insonnia. Non poter dormire e tuttavia
sognare: essere un'anima
che seziona se stessa, essere Amleto !

Diluire il dolore
in un vino notturno
versato nel fantastico cristallo delle tenebre.
E mi dico: a che ora verrà l'alba ?
Una porta s'è chiusa,
è trascorso un passante.
Dà le tre l'orologio... Sarà Lei ? [/align]
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