Sibilla Aleramo

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birillino8
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Sibilla Aleramo

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[align=center]Sibilla Aleramo

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Sibilla Aleramo (1876 - 1960)
Pseudonimo da Rina Faccio. Nata ad Alessandria nel 1876, morta a Roma nel 1960. Narratrice e poetessa. Una donna, il suo primo romanzo di stampo fortemente autobiografico viene pubblicato nel 1906. Il fallimento matrimoniale dei genitori, il tentato suicidio e la follia della madre, la seduzione da parte di un impiegato del padre (quando era poco più che adolescente), il matrimonio riparatore da cui nasce un bambino: sono tutte tappe drammatiche di una vita e di un'educazione sentimentale che vengono ripercorse dalla giovane scrittrice nel suo romanzo d'esordio a testimonianza dello sviluppo di una coscienza sempre più "femminista", di un'ideologia forte e costante, di cui fanno fede poi i suoi interventi giornalistici su Vita Moderna e su altre riviste per un pubblico di donne. Di lì a qualche anno Sibilla Aleramo arriverà anche alla direzione del settimanale milanese Italia femminile.
Ben presto abbandona il marito ed il figlio, iniziando nel 1901 la sua "seconda vita". Ha un importante e lunga relazione con lo scrittore Giovanni Cena. Collabora a riviste filosocialiste; si iscrive all'Unione Femminile Internazionale, operando in numerose iniziative di carattere assistenziale. NeI 1910, dopo la crisi del rapporto con Cena, Sibilla Aleramo vive una lunga serie di amori e vagabondaggi, facendo della propria vita, dannunzianamente, "un'opera d'arte". Nel 1911 è a Firenze, dove collabora al Marzocco ed entra in contatto con l'ambiente "vociano". Inizia a scrivere versi. Nel 1913 è a Milano e si avvicina al movimento futurista. Tra il 1913 e il 1914 è a Parigi, dove incontra personalità di spicco della cultura internazionale, come Apollinaire e Verhaeren. Durante la grande guerra incontra Campana, con cui ha una relazione tempestosissima.
Nel 1919 esce Il Passaggio, una nuova tessera romanzesca aggiunta alla costruzione mitologizzante del proprio personaggio. Del 1921 è la prima raccolta di liriche, Momenti. Fra il '20 e il '23 è a Napoli, dove scrive un poema drammatico dedicato a D'Annunzio, Endimione. Aderisce al manifesto antifascista degli intellettuali promosso da Croce. Nel 1927 esce il romanzo epistolare Amo dunque sono. Del 1929 è la raccolta Poesie. Un anno dopo è pubblicato un volume di prose varie, Gioie d'occasione. Parallelamente escono tra il 1932 e il 1938 un romanzo, Il frustino, e un'altra raccolta di poesie, Si alla terra, così come una nuova serie di prose Orsa minore che ha per sottotitolo la frase indicativa di una non rimossa vena autobiografica, Note di taccuino. Al 1936 risale l'incontro con Franco Matacotta, che segna un momento di svolta nella vita della scrittrice, la quale lascerà traccia di questa sua "quarta esistenza" in un diario ininterrotto, stilato fino alla morte e in parte pubblicato nel 1945 in Dal mio Diario. Nel 1978 escono i quaderni inediti degli anni 1945-1960.
Nel dopoguerra Sibilla si iscrive al PCI e abbandona il filone letterario dedicato a un autobiografismo leggendario e affabulatorio, per dedicarsi a un impegno politico e sociale sempre più intenso, un impegno che la porterà a fare lunghi viaggi nei paesi dell'Est e a collaborare con Case del Popolo e circoli ricreativi. Iniziano in questo periodo le collaborazioni all'Unità e a Noi donne. Nel 1947 pubblica tutte le sue poesie nel volume Selva d'amore, a cui fa seguire nel 1956 la nuova raccolta Luci della mia sera, in cui grandeggia l'enfasi della nuova militanza, in una dimensione tutta corale. In quegli ultimi anni, in cui cerca di dimenticarsi e mimetizzarsi nella folla dei destini minimi, annota nel suo diario un pensiero quasi testamentario con sconsolata ironia: "Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto così modo di creare in poesia".
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birillino8
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Chiudo il tuo libro



Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…

con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.

Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,

liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.

Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.

Cuor selvaggio,
musico cuore,

chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.


Sibilla Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916
[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Sono tanto brava



Sono tanto brava lungo il giorno.
Comprendo, accetto, non piango.
Quasi imparo ad avere orgoglio quasi fossi un uomo.
Ma al primo brivido di viola in cielo
ogni diurno sostegno dispare.
Tu mi sospiri lontano; "Sera, sera dolce e mia!"
Sembrami d'aver tra le dita la stanchezza di tutta la terra.
Non son più che sguardo, sguardo sperduto, e vene.[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Sovrana



Quanti s'affaticano e quant'altri danzano
in quest'ora stessa di vento e di primavera?
E v' ha chi s' innamora e v' ha chi alleva fiori.
Io, io di me sola vivo e di desolato silenzio,
o forse silenzio non è, ma frusciante potenza,
ahi sovrana e vana, da ogni cuore lontana![/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Lunare



Luna falcata fra correnti nubi
Alta sur un ciglio di rupi nere,
e pensier e sensi in me d’eterna notte,
argentata appena da fuggente beltà.

Per tutta la vita volli de’ mie giorni
Far cosa di luce, cosa d’amore,
ed essi posi avanti ogni mia arte,
e d’essi feci poesia perenne,

oh giorni, trascoloranti riviere,
giorni miei duri diamanti!

Ma in eterno non saprò se errai,
se più savio era per l’opere sole vivere,
opere tante create più che vivo palpito,
e dai baci dai pianti dai sogni,
se saggezza umana sotto i cieli respira,
voler più fortemente trarre statue e leggi,
trarre un canto più di me grande.[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Guardo i miei occhi



Guardo i miei occhi cavi d’ombra
E i solchi sottili sulle mie tempie,
guardo, e sei tu, mio povero stanco volto,
così a lungo battuto dal tempo?

Mi grava l’ombra di un occulto sogno.
Ah, che un ultimo fiore in me s’esprima!
Come un’opaca pietra
Non voglio morire fasciata di tenebra,
ma d’un tratto, dalla radice fonda,
alzare un canto alla ultima mia sera.[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Castità



Castità,
notti e giorni roventi
su queste mie levigate membra
che da un tempo senza fine
nessuno stringe e bacia...
Castità,
alta e insana febbre!
Questa morbida mia forma di donna
fatta per la gioia,
ora senza più carezze si vergogna
oscuramente e si tortura.
Castità,
stolto anticipo di vecchiezza e morte,
anche l'anima ormai ti respinge,
troppo sei vana ed insana,
cenere tu mi porti sul volto,
e se l'amore m'incontra
più non mi ravviserà...[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Sibilla e Dino
un amore tormentato




ImmagineImmagine

Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…




con la tua vita intera
sei nei miei canti
come un addio a me.

Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,

liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.

Or nei tuoi canti
la tua vita intera
è come un addio a me.

Cuor selvaggio,
musico cuore,

chiudo il tuo libro,
le mie trecce snodo.

Sibilla Aleramo a Dino Campana, Mugello, 25-7-1916


In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose.

Dino Campana a Sibilla Aleramo, 1917
[/align]



E’ tutta compresa fra queste due poesie, presenti nel tumultuoso carteggio, l’intensa, appassionata, difficile storia d’amore e di tormento, intrecciata alla follia, vissuta senza risparmio di emozioni, fra gioie e dolori, botte ed insulti, separazioni e riappacificazioni, dal 1916 al 1918, dai due poeti, Dino Campana, il poeta maudit, e Sibilla Aleramo: lui aveva 31 anni, lei 40.
Dino Campana era nato a Marradi, presso Faenza, il 20 agosto del 1885, da una famiglia d'estrazione piccolo borghese. Dopo il liceo, terminato faticosamente, si iscrisse alla facoltà di chimica dell’Università di Bologna, ma, come più tardi dichiarò, non comprese mai nulla dell’astruso formulario scientifico. E fu proprio a Bologna che uno psichiatra, per i sintomi palesati, definiti “nevrastenia” dallo stesso poeta, gli diagnosticò “una forma psichica a base di esaltazione”, per la quale prescriveva riposo intellettuale, isolamento affettivo e morale e l’uso di bromuro, e che il poeta venne ripetutamente internato in manicomio.
Manifestazione del suo disagio era soprattutto l’irrequietezza, che lo portava spesso a viaggiare come un nomade, incapace di collocarsi in un luogo preciso e di relazionarsi socialmente in modo stabile; per questo fu in Argentina, in Ucraina, e poi girovago per l’Italia, esercitando i mestieri più disparati, come il pianista, il poliziotto, il pompiere, il fabbro, l’operaio, economicamente sostenuto anche dalla famiglia.
La sua attività poetica iniziò nel 1912, con una pubblicazione sul “Papiro”, ma è del 1913 l’episodio inquietante dello smarrimento del manoscritto dei suoi “Canti orfici”, affidato a Papini e Soffici, che Campana, dopo un momento iniziale di rabbia feroce, riscrisse a memoria e pubblicò poi a proprie spese nel 1914.
Nell’estate del 1916 esplose la passione per Sibilla Aleramo, trasformatasi poi da “un viaggio chiamato amore” in vero e proprio calvario.
Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio, era nata il 14 agosto del 1876 ad Alessandria. La sua vita era stata segnata dal tentativo di suicidio della madre e dalla violenza sessuale subita a 16 anni, che l’aveva costretta a sposare il suo seduttore, sopportando un matrimonio impossibile al quale aveva trovato scampo abbandonando il tetto coniugale ed il figlio, che mai più riuscì ad avere in custodia.
Quando conobbe Dino Campana, Sibilla, socialmente impegnata e già famosa per aver pubblicato il romanzo autobiografico “Una donna”, in cui definiva oppressiva e frustrante l’istituzione matrimoniale, era considerata la donna più bella d’Italia.
Ammirata e corteggiata, libera, ardimentosa e lontana dalle convenzioni, spesso era lei a prendere l’iniziativa con gli uomini dai quali era attratta, in perenne bisogno d’amore, derivatole, per sua stessa ammissione, "in parte da mia madre e in parte dalla perpetua nostalgia di mio figlio", forse innamorata dell’idea stessa dell’amore, aveva avuto già molte storie con letterati ed intellettuali.
La prima volta che le scrisse, attratto dalla donna, e lusingato dal fatto che una scrittrice famosa s’interessasse a lui, un solitario e squattrinato dalla vita simile a quella d’un barbone, e che fino ad allora aveva avuto solo la compagnia di donne di malaffare, Dino le disse: “Non mi parli del suo impegno sociale, non mi racconti del socialismo. Mi interessa lei. La passione e niente altro, tutto il resto è fuori, tutto il resto viene dopo, non importa quando.
Vogliamo intanto vederci per un giorno a Marradi? Se non v’annoia troppo, se non siete troppo lontano. Io potrei venire, mettiamo, mercoledì o giovedì, col primo treno (8,55) e voi dirmi dove m’aspettereste. Credo che ci si riconoscerebbe facilmente. Mi racconterete a voce quali altri tic bisogna perdonarvi, oltre a quelli che bisogna ignorare"..
Affascinata dalle prime lettere scambiate con lui, Sibilla andò da Dino, da “Cloche”, come talvolta amava firmarsi.
Lei era bellissima, con il volto ovale, i capelli biondi, la bocca sensuale; lui aveva i capelli tra il biondo e il rosso, la pelle rosea, i baffi spioventi su labbra carnose, gli occhi cangianti: la scintilla scoccò all’istante e immediata fu tra loro anche la passione fisica.
La vicendad’amore si snodò fra alti e bassi, fra la fitta corrispondenza, i silenzi di lui, gli allontanamenti ora dell’uno ora dell’altro, le liti, le riappacificazioni, il peggioramento dei disturbi nervosi, le suppliche di entrambi per una riconciliazione, gli arresti di Dino continuamente scambiato per un tedesco, fino all’ultimo fermo, quello che lo condusse nel manicomio di San Salvi.
Fu Sibilla a troncare la relazione con Dino, romantico, fragile, ma anche violento, geloso del passato che lei non gli nascondeva, e instabile (nella stessa giornata scriveva “Cara signora, spero che lei abbia capito che tra noi è finita” e poi, tre ore dopo, "Amore mio, mi manchi, ti prego, vieni da me”) e pervaso da una carica autodistruttiva alla quale lei, ansiosa di vivere, non volle mai piegarsi.
Ultima modifica di birillino8 il lun set 03, 2007 6:19 pm, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Rose calpestava nel suo delirio[/align]

[align=center]E il corpo bianco che amava.

Ad ogni lividura più mi prostravo,
oh singhiozzo, invano, oh creatura!

Rose calpestava, s’abbatteva il pugno,
e folle lo sputo su la fronte che adorava.
Feroce il suo male più di tutto il mio martirio.

Ma, or che son fuggita, ch’io muoia del suo male.

Sibilla Aleramo[/align]


Fu davanti al cancello del manicomio che terminò definitivamente il doloroso viaggio chiamato amore.
Scrisse Sibilla: “L’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso una doppia grata a maglia. Non ero mai entrata in una prigione. E’ stato un colloquio di mezz’ora, i carcerieri avevan quasi l’aria di patire sentendo lui singhiozzare e vedendo me irrigidita”.
Scrisse Dino: "Mi lasci qua nelle mani dei cani senza una parola e sai quanto ti sarei grato. Altre parole non trovo. Non ho più lagrime. Perché togliermi anche l’illusione che una volta tu mi abbia amato è l’ultimo male che mi puoi fare”.
Sibilla era stata il primo ed unico amore di Dino, ma anche lei lo aveva molto amato; su quell'amore la scrittrice non riuscì mai a scrivere un solo rigo, tanto grandi erano state le emozioni fra loro, e la testimonianza di quella passione restò affidata tutta al carteggio.
Dino Campana morì il 1° marzo del 1932 nell’Ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dov’ era stato internato 15 anni prima, a quarantasette anni, probabilmente per setticemia causata dal ferimento con un filo spinato durante un tentativo di fuga; Sibilla Aleramo morì a Roma il 13 gennaio del 1960, scrivendo ed amando fino alla fine dei suoi giorni.



Francesca Santucci

www.letteraturaalfemminile.it
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