Khaled Hosseini

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Figlio di un diplomatico e di un’insegnante, è nato a Kabul nel 1965, ultimo di cinque fratelli. Nel 1980, dopo l’arrivo dei russi, la sua famiglia ha ottenuto l’asilo politico negli Stati Uniti e si è trasferita a San José, in California.
Laureato in medicina all’università di San Diego, nel 2003 ha scritto il suo primo romanzo, Il cacciatore di aquiloni, diventato uno straordinario caso editoriale tradotto in più di trenta paesi.
Nel 2006 è stato insignito del prestigioso UNHCR Humanitarian Award da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati per l’impegno profuso a favore dei bambini rifugiati. Vive nel nord della California con la moglie e i due figli, alternando l’attività di medico a quella di scrittore. Attualmente sta scrivendo il suo secondo libro, che verrà presto pubblicato anche in Italia. DreamWorks, la casa di produzione di Steven Spielberg, ha acquistato i diritti di Il cacciatore di aquiloni per trarne un film.
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Una storia di amicizia attraverso trent’anni di storia afghana.

C’è stato un tempo in cui Kabul era una città in cui volavano gli aquiloni e in cui i bambini davano loro la caccia. Amir e Hassan hanno trascorso lì la loro infanzia felice e formavano una coppia eccezionale nei tornei cittadini di combattimenti tra aquiloni. Niente al mondo però può cambiare certi dati di fatto: l’uno pashtun, l’altro hazara; l’uno sunnita, l’altro sciita; l’uno padrone, l’altro servo. Amir, il ricco, era il pilota; Hassan, il servo, era il suo secondo. Poi però gli aquiloni non volarono più. E’ una storia di padri e figli, di amicizia e tradimento, di rimorso e redenzione, di fughe e ritorni sullo sfondo di un Afghanistan schiacciato dalla morsa sovietica prima e dai talebani poi. Amir, figlio di un ricco uomo d’affari, viveva con il padre Baba in quella che era considerata da tutti la più bella casa di Wazir Akbar Khan, un nuovo quartiere nella zona nord di Kabul. Anche Hassan viveva con il padre Ali, in una capanna di argilla, all’ombra del nespolo situato all’estremità meridionale del giardino della casa di Baba e Amir. Ma un giorno, sotto gli occhi dell’amico, qualcosa di terribile accadde ad Hassan. Amir commise una colpa terribile e l’armonia tra i due si infranse.

“Sono diventato la persona che sono oggi all’età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. E’ stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.”


Queste le parole di Amir adulto che vive da ormai vent’anni in America, dove è fuggito con il padre. E, quando una telefonata inaspettata lo raggiunge a San Francisco, comprende che deve partire e tornare a casa. Un viaggio di ritorno, un viaggio dentro di sé, un viaggio di espiazione, un viaggio di riscatto. Ricordi assordanti e prorompenti, sensazioni sopite ma mai dimenticate. Ad attenderlo non ci sono però solo i rimorsi e i fantasmi della sua coscienza; quella che una volta era casa e patria è ora una landa desolata, terra di relitti umani e di donne invisibili la cui bellezza non esiste più. Qui avere un padre o un fratello, dopo gli indiscriminati stermini dei talebani, è una vera rarità; qui incrociare il loro sguardo, il più delle volte, significa tortura e morte; qui regnano sgomento e terrore.

Nonostante il finale “americano” e cinematografico (la Dreamworks casa di produzione di Steven Spielberg ne ha acquistato i diritti per trarne un film) è una storia toccante e coinvolgente che vale la pena di leggere e su cui riflettere.

Edizione: PIEMME
Prezzo: € 17,50
Traduzione di: Isabella Vaj
Ultima modifica di ebre il lun ago 06, 2007 3:29 pm, modificato 1 volta in totale.
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A quindici anni, Mariam non è mai stata a Herat. Dalla sua kolba di legno in cima alla collina, osserva i minareti in lontananza e attende con ansia l’arrivo del giovedì, il giorno in cui il padre le fa visita e le parla di poeti e giardini meravigliosi, di razzi che atterrano sulla luna e dei film che proietta nel suo cinema. Mariam vorrebbe avere le ali per raggiungere la casa del padre, dove lui non la porterà mai perché Mariam è una harami, una bastarda, e sarebbe un’umiliazione per le sue tre mogli e i dieci figli legittimi ospitarla sotto lo stesso tetto. Vorrebbe anche andare a scuola, ma sarebbe inutile, le dice sua madre, come lucidare una sputacchiera. L’unica cosa che deve imparare è la sopportazione.
Laila è nata a Kabul la notte della rivoluzione, nell’aprile del 1978. Aveva solo due anni quando i suoi fratelli si sono arruolati nella jihad. Per questo, il giorno del loro funerale, le è difficile piangere. Per Laila, il vero fratello è Tariq, il bambino dei vicini, che ha perso una gamba su una mina antiuomo ma sa difenderla dai dispetti dei coetanei; il compagno di giochi che le insegna le parolacce in pashtu e ogni sera le dà la buonanotte con segnali luminosi dalla finestra.
Mariam e Laila non potrebbero essere più diverse, ma la guerra le farà incontrare in modo imprevedibile. Dall’intreccio di due destini, una storia indimenticabile che ripercorre la Storia di un paese in cerca di pace, dove l’amicizia e l’amore sembrano ancora l’unica salvezza.


Edizioni: PIEMME
Prezzo: € 18,50
Traduzione di: Isabella Vaj
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