Michelangelo Buonarroti

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Soleanna1
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Michelangelo Buonarroti

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Michelangelo Buonarroti

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[align=justify]Michelangelo di Lodovico Buonarroti Simoni (Caprese Michelangelo, 6 marzo 1475 – Roma, 18 febbraio 1564) è stato un artista italiano, cononosciuto come Michelangelo è stato anche poeta, figura di primissimo piano del Rinascimento italiano.

Intese fare della sua attività un'incessante ricerca dell'ideale di bellezza. Fu - nell'insieme - un artista geniale quanto irrequieto e a tutto tondo, sicuramente uno dei protagonisti della storia dell'arte occidentale del suo tempo.

Il nome di Michelangelo è essenzialmente collegato ad una serie di opere che lo hanno consegnato alla storia dell'arte. Alcune di esse - situate soprattutto a Firenze, Roma e nella Città del Vaticano - sono conosciute in tutto il mondo e considerate fra i più importanti lavori dell'arte occidentale, come il David, l'affresco sulla volta della Cappella Sistina e il grande Giudizio Universale posto sulla parete sopra l'altare, la celebre Pietà (alta 1,80 mt, scolpita intorno al 1499 dall'artista ventiquattrenne), il Mosè o il monumentale complesso delle Tombe Medicee nella Sacrestia Nuova di San Lorenzo.

Al giardino neoplatonico (1475-1490)
Michelangelo nacque il 6 marzo 1475 a Caprese, vicino Arezzo, da Ludovico di Leonardo Buonarroti Simoni, podestà al Castello di Chiusi e di Caprese, e da Francesca di Neri del Miniato del Sera. La famiglia era fiorentina, ma il padre si trovava nella cittadina per ricoprire la carica politica di podestà.

Michelangelo manifestò subito una forte inclinazione artistica che il padre cercò in ogni modo di ostacolare, mettendolo a studiare grammatica a Firenze con il maestro Francesco da Urbino.

Il 28 giugno 1488 Michelangelo entrò nella bottega dei fratelli Ghirlandaio, lasciata già nel 1489, e dal 1490 circa inizia la frequentazione del giardino delle sculture di San Marco, dove si studiavano le sculture antiche, sotto la supervisione di Bertoldo di Giovanni che operava per desiderio di Lorenzo de' Medici. Fu la frequentazione di Palazzo Medici che consentì a Michelangelo di conoscere personalità del suo tempo, come Poliziano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Ebbe modo così di crescere nutrendosi della dottrina platonica ed elaborando un proprio gusto artistico derivato dallo studio delle opere di Masaccio e Giotto: caso vuole che in quegli stessi anni si possano datare le prime copie degli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci della chiesa del Carmine.

Madonna della scala (1490-1491)
La Madonna della scala è databile tra il 1490 e il 1492, ed è ora conservata a Firenze nella Casa Buonarroti: dal Vasari sappiamo che fu donata da Leonardo Buonarroti, nipote dell'artista, al duca Cosimo I de' Medici. Probabilmente l'opera era sempre rimasta nella casa dell'artista in via Ghibellina, dove ritornò nel 1616, quando il granduca Cosimo II de' Medici la restituì ai discendenti di Michelangelo. In quest'opera l'artista riprende la tecnica donatelliana dello stiacciato, creando un'immagine di tale monumentalità da far pensare a steli classiche; la figura della Madonna, seduta sopra un masso squadrato e vista di profilo mentre guarda lontano, occupa tutta l'altezza del rilievo, da un margine all'altro, mentre il Bambino è assopito sul suo grembo, sulla sinistra una scala, da cui prende il nome il rilievo, con due putti in atteggiamento di danza e un altro che tende, insieme ad un altro putto posto dietro la Vergine, un drappo.

Battaglia dei centauri (1491-1492)
Posteriore alla Madonna della scala è La battaglia dei centauri, databile tra il 1491 e il 1492: secondo il Condivi l'opera fu eseguita per Lorenzo il Magnifico, su un soggetto proposto da Angelo Poliziano, soggetto che il Condivi definisce "il ratto de Deianira e la zuffa de Centauri" mentre il Vasari ritiene rappresenti "la battaglia di Ercole coi Centauri"; per questo rilievo Michelangelo si rifece sia ai sarcofagi romani, sia alle formelle dei pulpiti di Giovanni Pisano, e guardò anche al contemporaneo rilievo bronzeo di Bertoldo Di Giovanni, con una battaglia di cavalieri, a sua volta ripreso da un sarcofago del Camposanto di Pisa, anche se nel rilievo michelangiolesco viene esaltato il dinamico groviglio dei corpi nudi in lotta e annullato ogni riferimento spaziale.

Un pupazzo di neve e in fuga per l'Italia (1492-1495)
Con la morte di Lorenzo il Magnifico l'8 aprile 1492, lascia la corte medicea.

Nel 1492 morì Lorenzo il Magnifico e Michelangelo, che era stato ospitato nel Palazzo Medici di via Larga, si ritrovò improvvisamente senza dimora. Riparò al convento di Santo Spirito, dove il priore gli consentì anche di condurre studi di anatomia sui cadaveri dell'annesso Ospedale. Del 1493 è il Crocifisso ligneo, realizzato come ringraziamento per il priore.

Tra il 1493 e il 1494 acquistò il marmo per una statua colossale di Ercole, mandata in Francia e ora dispersa. Il 20 gennaio del 1494, Piero de' Medici commissionò a Michelangelo una statua di neve, facendo in modo che l'artista venisse riammesso alla corte medicea. Nello stesso anno in seguito alla cacciata dei Medici lasciò la città per Venezia e poi Bologna, dove rimase circa un anno. In questa città, per l'Arca di San Domenico nella chiesa omonima, scolpì un San Procolo, un San Petronio e un Angelo reggicandelabro. Rientrato a Firenze, poco prima della fine dell'anno, la lasciò nuovamente spaventato dalla minaccia dell'invasione francese e dai disordini cittadini.

Il frate Savonarola, un falso Cupido e il Bacco (1495-1496)
Tornato a Firenze tra la fine del 1495 e il giugno 1496, al contrario di Leonardo che vedeva nel Savonarola un fanatico, Michelangelo rimase profondamente scosso dalla predicazione e dal rigorismo morale del frate, accendendo in lui sia la convinzione che la Chiesa dovesse essere riformata, sia i primi dubbi sul valore etico da dare all'arte; in città scolpì, sul modello dell'antico, un Cupido dormiente, venduto come reperto di scavo al cardinale Raffaele Riario.

Scoperto l'inganno e rifiutata l'opera, il cardinale invitò Michelangelo a Roma dove arrivò il 25 giugno 1496, e il 4 luglio iniziò a scolpire una figura di un Bacco (oggi al Museo del Bargello) come un adolescente in preda all'ebrezza, opera che, grazie alla resa naturalistica del corpo, raggiunse effetti illusivi e tattili simili a quelli della scultura ellenistica. Punti forti della scultura furono straordinaria espressività e l'elasticità nelle forme, unite al tempo stesso con un'essenziale semplicità dei particolari. Ai piedi di Bacco scolpì un giovinetto che sta mangiando qualche acino d'uva dalla mano del dio: questo gesto destò molta ammirazione in tutti gli scultori del tempo poiché il giovane sembra davvero mangiare dell'uva con grande realismo.

L'opera, forse rifiutata dal cardinale Riario, rimase in casa di Jacopo Gallo, ospite e vero mecenate dell'artista nel suo primo soggiorno romano. Per quanto riguarda il Cupido invece le fonti antiche ci riferiscono della sul straordinaria dolcezza: trasferito a Urbino fu donato da Cesare Borgia in persona a Isabella d'Este, che lo tenne gelosamente a Mantova nelle sue collezioni; nei secoli successivi scomparve dagli inventari e verosimilmente finì assieme ad altri tesori dei Gonzaga in Inghilterra, dove fu forse distrutto nell'incendio di Whitehall Palace del 1698.

Pietà (1497-1499)
Nel novembre 1497 il cardinale francese Jean de Bilhères Lagranlos, ambasciatore di Carlo VIII presso papa Alessandro VI, lo incaricò di scolpire il gruppo con la Pietà, ora nella Basilica di San Pietro, con un contratto stipulato nell'agosto 1498; il gruppo realizzato in posizione piramidale con la Vergine come asse verticale e il corpo morto del Cristo come asse orizzontale, riunita attraverso il panneggio che assume carattere monumentale, si ispirava ai gruppi lignei realizzati a nord delle Alpi, detti Vesperbilder, cioè immagini della Vergine, e collegati alla liturgia del Venerdì Santo. In questo la tecnica scultorea della finitura dei particolari venne condotta alle estreme conseguenze, tanto da dare al marmo effetti di traslucido e di cerea morbidezza.

A Firenze una Madonna e quattro santi (1499-1501)
Tornato a Firenze, intorno al 1499 eseguì la statua della Madonna col Bambino di Notre-Dame di Bruges, dove le figure appaiono incluse in un ideale ovale, composto dalla solenne figura della Vergine in contrasto col dinamismo della figura del Bambino. Nel giugno 1501 il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini lo incaricò di realizzare quindici statue per l'altare della cattedrale di Siena. Ne porterà a termine soltanto quattro: un San Pietro, un San Paolo, un San Pio e un San Gregorio.

David (1501)
Nell'agosto del 1501 i consoli dell'Arte della Lana gli commissionarono il David, per l'epoca un'opera di travolgente innovazione: l'artista affrontò il tema dell'eroe in maniera insolita rispetto all'iconografia data dalla tradizione, rappresentando il simbolo della fede ebraica con il corpo di un uomo giovane e privo di vesti, dall'atteggiamento pacato ma pronto ad una reazione, quasi a simboleggiare - secondo molti - il nascente ideale politico repubblicano, che vedeva nel cittadino-soldato e non nel mercenario l'unico in grado di poter difendere le libertà repubblicane.

Leonardo e Michelangelo
Michelangelo rimase impressionato dalle nuove idee pittoriche di avvolgimento atmosferico e di indeterminatezza spaziale e psicologica presentate nel cartone o negli studi di Leonardo per il gruppo di Sant'Anna con la Vergine, il Bambino e san Giovannino. Il cartone, disperso visto che quello conservato alla National Gallery di Londra non risponde alle descrizioni iconografiche né del Vasari né di Pietro da Novellara, venne esposto, nel 1500, nella Chiesa della Santissima Annunziata. È quasi certo che Michelangelo l'abbia studiato, e se ne ha testimonianza nei tre tondi da lui realizzati in seguito. Forse tra il 1500 e il 1501 realizzò la tempera su tavola con la Sepoltura di Cristo conservata alla National Gallery di Londra.

Tondo Taddei (1502 circa)
Del 1502 circa è il marmoreo Tondo Taddei, ora alla Royal Academy of Arts di Londra: in esso il Bambino fugge spaventato nel grembo della Vergine, alla vista del cardellino, simbolo della sua futura passione, porto dal san Giovannino. Il confronto con l'indefinito spaziale e l'avvolgimento atmosferico di Leonardo viene risolto da Michelangelo sia con la tecnica del non finito presente nel trattamento irregolare del fondo dal quale le figure sembrano emergere che nel san Giovannino, con i contorni ondeggianti per rendere maggiormente l'indeterminazione delle figure.

San Matteo non finito (1503)
Il 24 aprile 1503 l'Arte della Lana di Firenze e gli Operai del Duomo gli commissionarono la realizzazione di dodici statue marmoree degli apostoli, per il Duomo fiorentino: di queste iniziò solo il San Matteo, opera non-finita e ora alla Galleria dell'Accademia di Firenze.

Tondo Pitti (1503 circa)
Del 1503 circa è il Tondo Pitti, realizzato in marmo e ora al Bargello, in cui la composizione è dominata dalla monumentale figura della Vergine che stringe a sé il Bambino e guarda lontano in direzione opposta, come a cercare di capire il destino del figlio; alle spalle il san Giovannino affiora appena dal fondo non finito.

Tondo Doni (1503-1504)
Tra il 1503 e il 1504 realizzò il tondo dipinto per Agnolo Doni (come dono di nozze), con una Sacra Famiglia, in primo piano: la Vergine col Bambino e subito dietro san Giuseppe, di grandiose proporzioni e dinamicamente articolati, dietro una balaustra san Giovannino e dietro ancora, un gruppo di ignudi.

Questo dipinto può essere letto come il susseguirsi delle diverse epoche della storia dell'uomo, gli ignudi rappresentano la civiltà pagana, san Giovannino e san Giuseppe l'era mosaica e la Vergine col Bambino l'era della Redenzione, attraverso l'incarnazione del Cristo.

Quest'interpretazione è sostenuta anche dalle teste scolpite sulla cornice originale: due sibille (rappresentanti dell'età pagana), due profeti (rappresentati dell'età mosaica) e la testa del Cristo (rappresentante l'era della Redenzione), inframezzate da un fregio con animali, maschere di satiri e lo stemma degli Strozzi.

Curiosa è la vicenda legata al pagamento dell'opera: dopo la consegna il Doni, mercante arricchitosi di recente, pagò l'artista con una cifra "scontata" rispetto al pattuito, al che l'artista si riprese la tavola, esigendo semmai il doppio del prezzo convenuto, che stavolta il mercante pagò senza esitazione pur di ottenere il dipinto. Al di la del valore anedottistico dell'episodio, la faccenda viene inquadrata con uno dei primissimi esempi (se non il primo in assoluto) di ribellione dell'artista nei confronti del committente, secondo il concetto moderno di creatività dell'artefice superiore per innato valore a qualsiasi altra condizione.

La Battaglia di Cascina (1504)
Tra l'agosto e il settembre 1504, gli venne commissionato l'affresco con la Battaglia di Cascina, una battaglia vinta dai fiorentini contro i pisani nel 1364 nei pressi di Cascina. Di quest'opera, destinata alla Sala Grande del Consiglio in Palazzo Vecchio, realizzò solo il cartone, eseguito presso lo Spedale dei Tintori a Sant'Onofrio, e terminato nel 1505, ma che è poi andato perduto; ne possiamo solo immaginare la parte centrale attraverso la copia di Aristotele da Sangallo che mostra l'episodio in cui un allarme richiama alla battaglia i soldati fiorentini che si stanno bagnando nell'Arno.

Altri disegni di Michelangelo raffigurano altre parti del cartone, e un disegno ora conservato agli Uffizi mostra lo stesso gruppo centrale, ma senza quelle figure in pose contorte e concatenate presenti nella copia del Sangallo. Questo può essere dipeso dal fatto che l'artista lavorò nuovamente sul cartone dopo essere ritornato da Roma nel 1506 e aver studiato da vicino la statuaria antica e in special modo il Laocoonte, rinvenuto il 14 gennaio 1506 proprio in sua presenza.

A Roma sotto Giulio II (1505-1508)
Nel 1505 tornò a Roma per la realizzazione del monumento funebre di Giulio II. Di lì a poco partì per Carrara dove rimase quasi un anno per scegliere i marmi del mausoleo ma, quando al suo ritorno a Roma il Papa, cambiata opinione, si rifiutò di concedergli udienza, Michelangelo deluso interruppe i lavori e si diresse a Firenze dove riprese il San Matteo. Su insistente richiesta del papa, la Signoria fiorentina spinse Michelangelo alla riconciliazione, avvenuta a Bologna, città appena riconquistata dalle truppe pontificie. Realizzò una colossale statua bronzea di Giulio II, per la facciata di San Petronio: poco amata per l'espressione minacciosa, piuttosto che benevolente, del papa-conquistatore, fu distrutta nel 1511, al rientro dei Bentivoglio in città, fondendola per realizzare cannoni.

La volta (1508-1512)
Tra il marzo e l'aprile 1508 l'artista ricevette da Giulio II l'incarico di decorare la volta della Cappella Sistina, terminata nel 1512.
A causa del processo di assestamento dei muri, si era aperta, nel maggio del 1504, una crepa nel soffitto della cappella rendendola inutilizzabile per molti mesi; rinforzata con catene poste nel locale sovrastante da Bramante, la volta aveva bisogno però di essere ridipinta; l'8 maggio del 1508 venne steso il contratto con il primo progetto: esso prevedeva dodici apostoli nei peducci, mentre nel campo centrale partimenti con decorazioni geometriche, di questo progetto rimangono due disegni di Michelangelo, uno al British Museum e uno a Detroit.

Insoddisfatto, l'artista ottenne di poter ampliare il programma iconografico: al posto degli Apostoli mise sette Sibille e cinque Profeti, assisi su troni fiancheggiati da pilastrini che sorreggono la cornice, essa delimita lo spazio centrale, diviso in nove scompartimenti attraverso la continuazione delle membrature architettoniche ai lati del trono, in essi vi sono raffigurati episodi tratti della Genesi, disposti in ordine cronologico partendo dalla parete dell'altare: Separazione della luce dalle tenebre, Creazione degli astri e delle piante, Separazione della terra dalle acque, Creazione di Adamo, Creazione di Eva, Peccato originale e cacciata dal Paradiso Terrestre, Sacrificio di Noè, Diluvio Universale, Ebbrezza di Noè; nei cinque scomparti che sormontano i troni lo spazio si restringe lasciando posto a ignudi che reggono ghirlande con foglie di quercia, allusione al casato del papa cioè Della Rovere e medaglioni bronzei con scene tratte dal Libro dei Re, nelle lunette e nelle vele vi sono le quaranta generazioni degli Antenati di Cristo, riprese dal Vangelo di Matteo, nei pennacchi angolari, quattro scene bibliche, che si riferiscono ad altrettanti eventi miracolosi a favore del popolo eletto: Giuditta e Oloferne, David e Golia, Punizione di Aman e il Serpente di bronzo.

Nel suo complesso il progetto iconografico, nato dalla collaborazione tra l'artista, il committente e i consiglieri e teologi della corte papale, va letto tenendo presente i sermoni che venivano recitati nella cappella, in essi l'opera di Dio raggiunge il culmine della creazione nella realizzazione dell'uomo a sua immagine e somiglianza e in essi veniva considerata l'incarnazione di Cristo, non tanto per il suo valore di riscatto dell'umanità dal peccato originale, quanto come perfetto e ultimo compimento della creazione divina che ha innalzato l'uomo ancora di più verso Dio; in questo modo appare più chiara la celebrazione che fa Michelangelo della bellezza del corpo umano nudo. La volta comunque si basa sul sistema delle concordanza fra Antico e Nuovo Testamento, dove il primo prefigura il secondo; le storie della Genesi vanno lette come prefigurazioni delle storie del nuovo testamento, la prima creazione di Dio, cioè l'uomo, sarà completata con la seconda creazione cioè Cristo, a questa interpretazione si riallacciano le figure dei veggenti su troni, poiché quelle a cui assistono non sono eventi passati ma eventi profetici.

Montato il ponteggio Michelangelo iniziò a dipingere le tre storie di Noè gremite di personaggi; mentre nelle successive a scene: il Peccato originale e cacciata dal Paradiso Terrestre e la Creazione di Eva la raffigurazione diventa più spoglia, con corpi più massicci e gesti semplici ma retorici; dopo un'interruzione dei lavori e vista la volta dal basso nel suo complesso e senza i ponteggi, lo stile di Michelangelo cambiò, accentuando maggiormente la grandiosità e l'essenzialità delle immagini, fino a rendere la scena occupata da un'unica grandiosa figura annullando ogni riferimento al paesaggio circostante; nel suo complesso queste variazioni stilistiche non si notano, anzi vista dal basso la volta ha aspetto perfettamente unitario, dato anche dall'uso di una violenta cromia, recentemente riportata alla luce dal restauro concluso nel 1994.

Mosè, prigionieri e Cristo risorto (1513-1515)
Nel febbraio 1513, con la morte di Giulio II, gli eredi decisero di riprendere il progetto della tomba monumentale, con un nuovo disegno e un nuovo contratto, per questo eseguì il Mosè e i Prigioni, lo Schiavo ribelle, una figura di nudo in atto di divincolarsi e lo Schiavo morente, che attraverso il lento snodarsi delle membra dà l'idea del risveglio e del ritorno ad un coscienza consapevole dopo il sonno; quest'ultimi oggi conservati al Louvre di Parigi. Per Metello Vari nel 1514 scolpì un Cristo risorto opera abbandonata per una vena sul marmo del volto del Cristo.

La facciata di San Lorenzo (1515-1519)
Nel 1515 papa Leone X, si recò in visita a Firenze e, per l'occasione, venne ricoperta la facciata incompiuta di San Lorenzo, con un apparato effimero realizzato da Jacopo Sansovino e Andrea del Sarto. Il pontefice decise allora di indire un concorso per la facciata della chiesa, da sempre patrocinata dai Medici e mausoleo della famiglia. Nel 1516, a seguito della stipula del terzo contratto con gli eredi di Giulio II per la tomba del papa, partì per Carrara, per scegliere i marmi e nel 1517, in seguito alla vittoria del concorso per la facciata della chiesa di San Lorenzo, a cui parteciparono Giuliano da Sangallo, Raffaello, Andrea e Jacopo Sansovino, rientrò a Firenze e progettò di realizzare un frontale in cui fosse rappresentata tutta l'architettura e tutta la scultura d'Italia; oltre a diversi disegni possediamo anche il modello ligneo, ora conservato alla Casa Buonarroti; il progetto prevedeva una struttura a nartece con un prospetto rettangolare, che è stato paragonata ad un retablo controriformista, ma forse ispirato a modelli di architettura profana, scandito da potenti membrature animate da statue in marmo, bronzo e da rilievi. Il lavoro procedette però a rilento, a causa della scelta del papa di servirsi dei più economici marmi di Seravezza, la cui cava era mal collegata col mare, piuttosto che i marmi di Carrara. Nel marzo 1520 il contratto fu rescisso, per la difficoltà dell'impresa e i costi elevati. In quell'anno Michelangelo lavorò ai Prigioni per la tomba di Giulio II, di cui due quasi completati sono al Louvre, 4 incompiuti sono oggi alla Galleria dell'Accademia dopo essere stati a lungo inseriti nella scenografia della Grotta del Buontalenti nel Giardino di Boboli. Scolpì anche la statua della Vittoria di Palazzo Vecchio e alla nuova versione del Cristo risorto per Metello Vari (opera portata a Roma nel 1521) rifinita dal suo assistente Urbano e posta nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva.

Sagrestia Nuova (1519-1529)
Nel 1519 i Medici lo incaricano di realizzare una seconda cappella funeraria nella chiesa di San Lorenzo a Firenze, la cosiddetta Sagrestia Nuova, destinata ad accogliere le tombe dei Capitani Giuliano duca di Nemours e Lorenzo duca di Urbino, morti di recente, e quella dei Magnifici Lorenzo e Giuliano de' Medici.

Il primo progetto michelangiolesco è quello di un monumento isolato al centro della sala ma, in seguito a discussioni con i committenti, lo cambia prevedendo di collocare le tombe dei Capitani addossate al centro delle pareti laterali, mentre quelle dei Magnifici, addossate entrambe alla parete di fondo davanti all'altare.

L'opera venne iniziata nel 1525 circa: la struttura in pianta si rifà alla Sagrestia Vecchia, sempre nella chiesa di San Lorenzo, del Brunelleschi: a pianta quadrata e con piccolo sacello anch'esso quadrato. Grazie alle membrature, in pietra serena e a ordine gigante, l'ambiente acquista un ritmo più serrato e unitario; inserendo un mezzanino tra le pareti e le lunette e aprendo tra queste ultime delle finestre architraviate, dà alla sala un potente senso ascensionale concluso nella volta a cassettoni di ispirazione antica.

Le tombe che sembrano far parte della parete, riprendono nella parte alta le edicole, che sono inserite sopra le otto porte dell'ambiente, quattro vere e quattro finte. Le tombe dei due capitani si compongono di un sarcofago curvilineo sormontato da due statue distese con le Allegorie del Tempo; in quella di Lorenzo il Crepuscolo e l'Aurora, mentre in quella di Giuliano la Notte e il Giorno. Si tratta di figure massicce e dalle membra poderose che sembrano gravare sui sarcofagi quasi a spezzarli e a liberare le anime dei defunti ritratti nelle statue inserite sopra di essi. Inserite in una nicchia della parete, le statue non sono riprese dal vero ma idealizzate mentre contemplano, Lorenzo in una posa pensierosa e Giuliano con uno scatto repentino della testa, la statua posta sull'altare con la Vergine allattante il Bambino. Quest'ultima è simbolo di vita eterna ed è fiancheggiata dalle statue dei santi Cosma e Damiano (protettori dei Medici) eseguite sul modello del Buonarroti, rispettivamente da Giovanni Angelo Montorsoli e Raffaello da Montelupo.

All'opera, anche se non continuativamente, Michelangelo lavorò fino al 1534, lasciandola incompiuta: senza il monumento funebre dei Magnifici, le sculture dei Fiumi alla base delle tombe dei Capitani e forse di affreschi nelle lunette.

Fortezze dinamicamente aggressive e una Biblioteca (1529-1534)
Nel 1529 partecipò attivamente all'insurrezione repubblicana contro i Medici occupandosi delle fortificazioni della città assediata dall'esercito imperiale che intendeva rimettere sul trono i Medici scacciati nel 1527. Di questo periodo rimangono disegni di fortificazione, realizzate attraverso una complicata dialettica di forme concave e convesse che sembrano macchine dinamiche atte all'offesa e non bastioni difensivi. Nel settembre dello stesso anno Michelangelo fuggì a Venezia, restandovi pochi giorni assalito da dubbi sul da farsi; dichiarato dalla città fiorentina ribelle decise di ritornarvi, dopo aver pagato una multa considerevole. Caduta la città il 12 agosto 1530, si nascose presso il priore di San Lorenzo per sfuggire alla vendetta dei Medici, da cui si sottrarrà definitivamente grazie all'intervento del papa Clemente VII che gli commissionò in quegli anni la realizzazione della Biblioteca Medicea Laurenziana.

Si tratta di una biblioteca pubblica annessa alla chiesa di San Lorenzo: nella sala di Lettura si rifece al modello della Biblioteca di San Marco realizzata da Michelozzo, eliminando la divisione in navate e realizzando un ambiente con le mura scandite da finestre sormontate da mezzanini tra pilastrini, tutti con modanature in pietra serena. I banchi in legno furono disegnati dallo stesso Michelangelo, il soffitto è tripartito e intagliato, il pavimento venne realizzato con piastrelle in terracotta. Il vestibolo ha un forte slancio verticale dato dalle colonne binate che cingono il portale timpanato e dalle edicole sulle pareti. Solo nel 1558 Michelangelo fornì il modello in argilla per lo scalone, da lui progettato in legno, ma realizzato per volere di Cosimo I de' Medici, in pietra serena: le ardite forme rettilinee e ellittiche, concave e convesse, vengono indicate come una precoce anticipazione dello stile barocco.

Nell'aprile 1532 si ebbe il quarto contratto per la tomba di Giulio II.

Un Giudizio sconveniente a Roma (1534-1541)
Nel 1534 si trasferì definitivamente a Roma, sia per finire la tomba che per abbandonare la Firenze sottomessa ai Medici. Clemente VII gli commissionò la decorazione della parete di fondo della Cappella Sistina con il Giudizio Universale e l'incarico venne confermato anche dal successivo pontefice, Paolo III; l'opera venne iniziata alla fine del 1536 e proseguì fino all'autunno del 1541.

Al centro dell'affresco vi è il Cristo giudice con vicino la Madonna che rivolge lo sguardo verso gli eletti; questi ultimi formano un'ellissi che segue i movimenti del Cristo in un turbine di santi, patriarchi e profeti. Nelle lunette sono dipinti angeli con i simboli della passione e in basso scene di dannazione o beatificazione; al suolo da sinistra si notano: resurrezione dei corpi, antro infernale, Caronte e infine Minosse (questi ultimi due sono citazioni dantesche).

Le licenze iconografiche, come i santi senza aureola, gli angeli apteri e il Cristo giovane e senza barba, possono essere allusioni al fatto che davanti al giudizio ogni singolo uomo è uguale. Questo fatto, che poteva essere letto come un generico richiamo ai circoli della Riforma Cattolica, unitamente alla nudità e alla posa sconveniente di alcune figure (Santa Caterina d'Alessandria prona con alle spalle San Biagio), scatenarono contro l'affresco i severi giudizi di buona parte della curia. Dopo la morte dell'artista, e col mutato clima culturale dovuto anche al Concilio di Trento, si arrivò al punto di provvedere al rivestimento dei nudi e alla modifica delle parti più sconvenienti.

La Crocifissione (1541)
Fu in quel periodo che Michelangelo iniziò la vivida amicizia con la marchesa di Pescara Vittoria Colonna: essa lo introdusse al circolo viterbese del cardinale Reginald Pole, frequentato, tra gli altri, da Vittore Soranzo, Apollonio Merenda, Pietro Carnesecchi, Pietro Antonio Di Capua, Alvise Priuli e la contessa Giulia Gonzaga.

In quel circolo culturale si aspirava a una riforma della Chiesa Cattolica, sia interna sia nei confronti del resto della Cristianità, alla quale avrebbe dovuto riconciliarsi. Queste teorie influenzarono Michelangelo e altri artisti. Risale a quel periodo la Crocefissione realizzata per Vittoria, databile al 1541 e forse dispersa, forse mai dipinta.

Di quest'opera ci restano solamente alcuni disegni preparatori di incerta attribuzione, il più famoso è senz'altro quello conservato al British Museum di Londra, mentre copie pittoriche sono conservate nella Catedrale de "La Redonda" di Logroño (Spagna) e alla Casa Buonarroti. Queste opere ci danno un'idea di come Michelangelo avrebbe progettato il dipinto della Crocifissione nel quale un giovane e sensuale Cristo stava a simboleggiare un'allusione alle teorie riformiste cattoliche che vedevano nel Sacrificio del sangue di Cristo l'unica via di salvezza individuale.

Una religiosità tormentata (1542)
Nel 1542 papa Paolo III Farnese geloso e seccato del fatto che il luogo ove la celebrazione di Michelangelo pittore raggiungesse i suoi massimi livelli fosse dedicato a Papa Sisto, gli affidò la decorazione della sua cappella privata in Vaticano che prese il suo nome (Cappella Paolina) dove realizzò due affreschi. Il primo, la Conversione di Saulo, presenta una scena inserita in un paesaggio spoglio e irreale, con compatti grovigli di figure alternati a spazi vuoti e, al centro, la luce accecante che da Dio scende su Saulo a terra; il secondo, il Martirio di San Pietro, ha una croce disposta in diagonale in modo da costituire l'asse di un ipotetico spazio circolare con al centro il volto del martire. Quest'ultimo affresco venne realizzato dopo l'ultimazione della tomba ridimensionata di Giulio II.

La mediazione teologica (1544-1545)
Dopo gli ultimi accordi del 1542, la tomba di Giulio II venne posta in essere nella chiesa di San Pietro in Vincoli tra il 1544 e il 1545 con le statue del Mosè, di Lia (Vita attiva) e di Rachele (Vita contemplativa) nel primo ordine.

Nel secondo ordine, al fianco del pontefice disteso con sopra la Vergine col Bambino si trovano una Sibilla e un Profeta. Anche questo progetto risente dell'influsso del circolo di Viterbo; Mosè uomo illuminate e sconvolto dalla visione di Dio è affiancato da due modi di essere, ma anche da due modi di salvezza non necessariamente in conflitto tra di loro: la vita contemplativa viene rappresentata da Rachele che chiede di pregare come se ti salvassi unicamente per la Fede, mentre la vita attiva, rappresentata da Lia, chiede di operare come se ti salvassi unicamente per le opere. L'interpretazione comune dell'opera d'arte è che si tratti di una specie di posizione di mediazione tra Riforma e Cattolicesimo dovuta sostanzialmente alla sua intensa frequentazione con Vittoria Colonna ed il suo entourage.

Palazzo Farnese (1546-1550)
Con la morte di Antonio da Sangallo il Giovane nel 1546, a Michelangelo vennero affidati le fabbriche di Palazzo Farnese e della basilica di San Pietro, quest'ultima dal 1457, entrambe lasciate incompiute dal primo.

Tra il 1547 e il 1550 realizzò il completamento della facciata e del cortile di Palazzo Farnese: nella facciata variò, rispetto al progetto del Sangallo, alcuni elementi che danno all'insieme una forte connotazione plastica e monumentale ma al tempo stesso dinamica ed espressiva. Per ottenere questo risultato accrebbe in altezza il secondo piano, inserì un massiccio cornicione e sormontò il finestrone centrale con uno stemma colossale (i due ai lati sono successivi). Nello stesso tempo si occupò anche dell'inserimento della chiesa di Santa Maria degli Angeli nelle Terme di Diocleziano.

Per la basilica di San Pietro progettò il ritorno alla pianta centrale del primo progetto di Bramante, con un quadrato inscritto nella croce greca, rifiutando la pianta a croce latina introdotta da Raffaello; per la massiccia struttura muraria che doveva correre lungo tutto l'edifico progettò un unico ordine gigante a paraste corinzie con attico, tamburo con colonne binate (sicuramente realizzato dall'artista) e cupola emisferica a costoloni conclusa da lanterna.

Una piazza per Marc'Aurelio
Con il trasferimento sul Campidoglio della statua equestre di Marc'Aurelio, simbolo dell'autorità imperiale e per estensione della continuità tra la Roma imperiale e quella papale, Paolo III incaricò Michelangelo di studiare la ristrutturazione della piazza del Campidoglio, centro della vita civile romana.

La piazza venne realizzata a pianta trapezoidale con sullo sfondo il palazzo dei Senatori, dotato di scala a doppia rampa, e delimitata ai lati da due palazzi: il Palazzo dei Conservatori e il cosiddetto Palazzo Nuovo costruito ex-novo, entrambi convergenti verso la scala di accesso al Campidoglio. Gli edifici vennero dotati di un ordine gigante a pilastri corinzi in facciata, con massicce cornici e architravi mentre la pavimentazione della piazza (realizzata solo ai primi del '900) è disegnata secondo un reticolo curvilineo inscritto in un'ellisse con al centro il basamento ad angoli smussati per la statua del Marc'Aurelio.

Una Pietà presa a martellate (1550-1555 circa)
Dal 1550 circa iniziò a realizzare la cosiddetta Pietà dell'Opera del Duomo (dalla collocazione attuale nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze), opera destinata alla sua tomba e abbandonata dopo che l'artista frantumò, in un accesso d'ira due o tre anni più tardi, il braccio e la gamba sinistra del Cristo, spezzando anche la mano della Vergine. Fu in seguito Tiberio Calcagni a ricostruire il braccio e rifinire la Maddalena lasciata dal Buonarroti allo stato di non-finito: il gruppo costituito dal Cristo sorretto dalla Vergine, dalla Maddalena e da Giuseppe d'Arimatea è disposto in modo piramidale con al vertice quest'ultimo; la scultura viene lasciata a diversi gradi di finitura con la figura del Cristo allo stadio più avanzato. Il San Giuseppe sarebbe un autoritratto del Buonarroti, dal cui corpo sembra uscire la figura del Cristo: forse un riferimento alla sofferenza psicologica che lui, profondamente religioso, portava dentro di sé in quegli anni.

Una Pietà sbozzata e non finita (1552-1564)
La Pietà Rondanini venne definita, nell'inventario di tutte le opere rinvenute nel suo studio dopo la morte, come:

Un'altra statua principiata per un Cristo et un'altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite.
Michelangelo nel 1561 donò la scultura ad Antonio del Francese continuando però ad apportarvi modifiche sino alla morte; il gruppo è costituito da parti condotte a termine, come il braccio destro di Cristo, e da parti non finite, come il torso del Salvatore schiacciato contro il corpo della Vergine quasi a formare un tutt'uno. Degli ultimi anni sono una serie di disegni con temi devozionali.

Porta Pia e Santa Maria degli Angeli (1561)
Disegnò verso il 1561 la monumentale Porta Pia, con la fronte principale verso l'interno della città, in modo da creare una vera e propria scenografia urbana. La porta con frontone curvilineo interrotto e inserito in un altro triangolare è fiancheggiata da paraste scanalate, mentre sul setto murario ai lati si aprono due finestre timpanate, con al di sopra altrettanti mezzanini ciechi. In questi anni completò l'allestimento, la singolarissima e monumentale chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri.

18 febbraio 1564
Morì a Roma il 18 febbraio 1564 all'età di ottantotto anni; il 10 marzo le sue spoglie vennero portate nella Chiesa di Santa Croce a Firenze. Fu Giorgio Vasari a disegnare il monumento che sta sulla tomba e comprende tre figure piangenti che rappresentano la pittura, la scultura e l'architettura.

Opere di attribuzione incerta
Pietà di Palestrina, Galleria dell'Accademia, Firenze
Testa di Cristo, Castello Sforzesco di Milano

Rime
Da lui considerata come una "cosa sciocca" la sua attività poetica si viene caratterizzando, a differenza di quella usuale nel Cinquecento influenzata dal Petrarca, da toni energici, austeri e intensamente espressivi ripresi dalle poesie di Dante.

I più antichi componimenti poetici datano agli anni 1504-1505 ma è probabile che ne abbia realizzati anche in precedenza visto che sappiamo che molti suoi manoscritti giovanili andarono perduti.

La sua formazione poetica avvenne probabilmente sui testi di Petrarca e Dante, conosciuti nella cerchia umanistica della corte di Lorenzo de' Medici. I primi sonetti sono legati a vari temi collegati al suo lavoro artistico, a volte raggiungono il grottesco con immagini e metafore bizzarre. Successivi sono i sonetti realizzati per Vittoria Colonna e per l'amato Tommaso de' Cavalieri; in essi si concentra maggiormente sul tema neoplatonico dell'amore sia divino che umano che viene tutto giocato intorno al contrasto tra amore e morte risolvendolo con soluzioni ora drammatiche ora ironicamente distaccate.

Negli ultimi anni le sue rime si concentrano maggiormente sul tema del peccato e della salvezza individuale, qui il tono diventa amaro e a volte angoscioso tanto da diventare vere e proprie visioni mistiche del divino.

Le rime di Michelangelo incontrarono una certa fortuna in USA nell'ottocento, dopo la loro traduzione da parte del grande filosofo Ralph Waldo Emerson.

Il non finito di Michelangelo
Per prima cosa bisogna distinguere tra le opere che vennero realizzate intenzionalmente con alcune parti non finite, come i due tondi Taddei e Pitti e quelle che non riuscì a portare a termine a causa di fattori esterni.

Nei due non finiti volontari, Michelangelo era in gara con Leonardo e la sua poetica dell'indeterminatezza spaziale e psicologica, per questo lasciò alcune parti dei due tondi ad uno stato di abbozzo.

Per tutte le altre opere non finite si tratta solamente di casi accidentali, anche se ci permettono di vedere come l'artista procedeva nella scultura, definita da lui stesso come un'arte che viene creando per "via di levare", piuttosto che di porre. Discorso a parte per la Pietà Rondanini, opera da lui sbozzata fino agli ultimi giorni di vita, il non finito qui serve per creare una vera e propria visione mistica del divino.

Tra le rime ce n'è anche una che viene definita come il primo tentativo di scrivere un Manuale di Disegno. La rima, numero 35, rimane l'unica del possibile volume.[/align]
Ultima modifica di Soleanna1 il lun lug 09, 2007 3:44 pm, modificato 3 volte in totale.
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"La creazione dell'uomo" 1508-12 dal soffitto della cappella Sistina, Vaticano

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Il profeta Ezechiele, Roma, Volta della Cappella Sistina, 1512

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Il martirio di San Pietro (1546-60) Cappella Paolina, Palazzi Pontifici, Vaticano

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Giudizio Universale, particolare del Cristo con la Vergine, Cappella Sistina, Vaticano

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Geremia, Jeremiah 1511, Cappella Sistina, Vaticano

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Giudizio Universale 1536-1541, Cappella Sistina, Palazzi Vaticani, Vaticano

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Sacra Famiglia (Tondo Doni) 1504, Galleria degli Uffizi, Firenze

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