Satiro danzante

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Soleanna1
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Satiro danzante

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Il Satiro Danzante è una statua di bronzo di dimensioni maggiori del vero, pari ad un modello in posizione stante di ca. 2.5 mt di altezza, risalente al periodo ellenistico. Rappresenta un satiro, essere mitologico facente parte del corteo orgiastico di Dioniso, dio greco del vino.

L'opera è definitivamente sistemata in un'apposita struttura museale (Museo del Satiro Danzante), ricavata all'interno della cinquecentesca Chiesa di Sant'Egidio (sconsacrata) prospiciente Piazza del Plebiscito nel cuore della città vecchia di Mazara del Vallo.

Nel 1997 il peschereccio "Capitan Ciccio" di Mazara del Vallo guidato dal capitano Francesco Adragna ripescava - forse casualmente - dai fondali del Canale di Sicilia una gamba bronzea e la depositava al Museo Civico di Mazara. Il ritrovamento aveva determinato quindi - in collaborazione con la Capitaneria di Porto - un'indagine al sonar nello stesso tratto di mare. Le indagini evidenziarono dei possibili obiettivi (in forma di masse anomale, anche metalliche), che tuttavia avrebbero richiesto mezzi tecnici e finanziari che non erano alla portata della Soprintendenza. Nella notte fra il 4 e il 5 marzo 1998 lo stesso peschereccio “arando” quel fondale, le sue reti si impigliarono in un oggetto grande e pesante, che issato a bordo da una profondità di circa 500 mt, si rivelò essere una scultura in bronzo. Purtroppo durante il recupero l’unico braccio superstite si ruppe e risprofondò negli abissi marini. Trasportata la scultura al Museo Civico di Mazara del Vallo, fu verificato che la gamba trovata in precedenza apparteneva proprio a questa statua. Il primo intervento fu quello di approntare una vasca in cui la statua fu immersa per la sua desalinizzazione.

[E' noto che, soprattutto dalla conquista della Grecia da parte dei Romani e, comunque, dal II sec.a.C., si sviluppò un notevole commercio di opere d'arte per soddisfare le richieste della colta aristocrazia romana. Dei molti originali di statuaria in bronzo, andati in larga parte perduti, restano copie di marmo realizzate dai copisti romani. Alcuni originali sono giunti fino a noi grazie ai ritrovamenti archeologici subacquei (si ricordano i bronzi del relitto di Madhia in Tunisia, quelli del relitto di Antikitira in Grecia, lo Zeus di Capo Artemision del Museo Nazionale di Atene, i Bronzi di Riace)].

Nell’ottobre 1998 l'Istituto Centrale per il Restauro (ICR) di Roma prendeva in consegna sia la statua che la gamba per intraprendere i necessari interventi di restauro e di conservazione durati 4 anni. Il 12 luglio 2003 il Satiro Danzante è stato riconsegnato alle autorità della città di Mazara del Vallo, dopo essere stato esposto a Roma a Montecitorio dal 31 marzo al 2 giugno 2003.

(Roberto Petriaggi – ICR) [Per facilitare la movimentazione del reperto durante le operazioni di restauro, essendo esso privo delle gambe e della base originaria, è stato realizzato uno speciale supporto mobile costituito da un telaio metallico composto da due semi-cilindri accoppiati. Questi avvolgevano il Satiro e, ruotando sul proprio asse, permettevano di modificare a piacimento la posizione della statua. Raggiunta la posizione voluta, si smontava agevolmente uno dei due elementi e si procedeva con il lavoro, evitando al manufatto qualsiasi trauma derivante dagli spostamenti e dai cambiamenti di posizione che l'intervento di restauro comportava. La superficie del manufatto, al momento dell'arrivo in laboratorio, era apparsa ricoperta da spesse incrostazioni determinate dalle condizioni fisico-chimiche del sito di giacitura. Numerose erano, inoltre, le tracce di organismi marini bentonici, madrepore, molluschi bivalvi, vermi marini con esoscheletro calcareo, mentre, da osservazioni condotte subito dopo il recupero, è risaltata l'assenza di fitobentos, cioè alghe e piante acquatiche, dato che conferma l'elevata profondità del ritrovamento. Dalla tabella degli esami EDXRF è risultata evidente la variabilità del tenore di piombo; la percentuale media di questo metallo è, comunque, abbastanza alta e si attesta attorno al 16 - 17%, quantitativo che si riscontra, abitualmente in manufatti di età romana. Se i risultati dell'analisi quantitativa non costituiscono un dato probante per determinare la datazione del manufatto, nella speranza di poter ricavare informazioni circa la provenienza del piombo utilizzato nella fusione, verrà effettuata l'analisi degli isotopi. D'altra parte, all'interno della statua non si sono conservate tracce delle terre di fusione e questo esclude anche la possibilità di pervenire ad una datazione alquanto precisa dell'opera attraverso l'analisi della termoluminescenza. La statua raggiunge un peso complessivo di Kg 108 (96 il corpo, 12 la gamba staccata), mentre lo spessore medio delle pareti metalliche è di circa 6/7 mm. All' interno è stata collocata la struttura di sostegno di acciaio, costituita da un'asta verticale connessa ad un robusto snodo sferico di base. Le spalle sono sostenute da una traversa superiore, mentre una coppia di raggiere di quattro aste ciascuna sono destinate al supporto laterale all'interno del torace. Completa il sistema un'asta obliqua per la sospensione della gamba. Il peso complessivo dell'insieme raggiunge circa 140 kg. Il basamento antisismico è in fase di progettazione. Dopo il trattamento di restauro sarà necessario proteggere la statua dall'umidità ambientale che innescherebbe nuovi processi di corrosione; essa sarà racchiusa all'interno di una vetrina che assicuri il massimo dell'isolamento dall'ambiente circostante, con una atmosfera interna controllata. A restauro finito, la documentazione dei lavori eseguiti è stata copiata su CD ROM, grazie al quale è possibile ripercorrere le tappe che hanno condotto alla conoscenza ed al recupero finale di questa insostituibile testimonianza della tecnologia e dell'arte degli antichi.]

Il 31 marzo 2003 il satiro danzante viene esposto presso la Camera dei Deputati di Montecitorio, Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, del Presidente della Camera dei Deputati Pier Ferdinando Casini e del sindaco di Roma Walter Veltroni. Tale mostra rimane aperta fino al 2 giugno, ottenendo un ampio successo e un notevole risalto nazionale. Il 12 luglio 2003 il Satiro Danzante viene infine riconsegnato con tutti i crismi dell'ufficialità alle autorità della città di Mazara del Vallo, dove è attualmente in mostra al pubblico.

Nel 2005 il Satiro é stato trasportato per essere esposto al Museo Nazionale di Tokio e conseguentemente all'Expò Universale di Aichi 2005 in Giappone. Per il suo trasporto è stata appositamente realizzata una struttura in carbonio ed è stato progettato e realizzato un nuovo supporto espositivo in carbonio e titanio, ad opera dell'Istituto Centrale per il Restauro di Roma.

Rappresenta un Satiro in estasi; è colto in un momento della danza orgiastica, nell'attimo in cui sta compiendo un salto sulla punta del piede destro, mentre contemporaneamente la gamba sinistra è sollevata e un po’ piegata, il busto è flesso e ruotato e le braccia sono distese lateralmente. Sul dorso, alla base della colonna vertebrale, vi è un foro, probabilmente destinato all’inserimento della coda, fusa a parte. Straordinariamente conservati sono gli occhi, in calcare alabastrino in origine integrato con pasta vitrea colorata. La testa stravolta, abbandonata all'indietro fin quasi a toccare le spalle, ha capelli fluttuanti nel vento caratterizzati da fitte ciocche fiammeggianti segnate da sottili incisioni. Il pathos della danza orgiastica e l'ebbrezza divina che sconvolgono ogni regola di equilibrio, conferiscono a tutto il corpo un movimento enfatico, eccessivo, innaturale. Secondo l'iconografia del satiro in estasi, nota già dal IV sec.a.C., la statua impugnava i simboli del culto e dei seguaci di Dioniso: con la mano destra doveva agitare il tirso - una lunga asta sormontata da un viluppo di edera o di vite a forma di pigna ornata da nastri di stoffa o da tralci – invece nella mano sinistra teneva la coppa di vino dagli alti manici (kàntharos) mentre dal corrispondente braccio pendeva la pelle di pantera. E' difficile, allo stato attuale, stabilire se il reperto facesse parte di un gruppo statuario più complesso, o fosse invece una figura isolata.

(Paolo Moreno) [Dal 1998 ho proposto l’interpretazione del reperto che viene unanimemente accettata, quale Satiro in estasi, per analogia con una serie di riproduzioni di età tardo ellenistica e romana che testimoniano il soggetto nella completezza degli attributi. La statua si reggeva sulle dita del piede destro: composizione ardita anche nel bronzo che non consentiva la traduzione a tutto tondo nel marmo. La celebrità è attestata da quasi sessanta riproduzioni in tecniche disparate: una brocca in terracotta invetriata che imita la decorazione a sbalzo di vasi metallici, rilievi su crateri in marmo, un tondo decorativo, un’ara funeraria e sarcofagi, incisioni su gemme e paste vitree. La danza si è scatenata quando il Satiro ha terminato di bere: il calice nella sinistra s’immagina vuoto perché inclinato; ai piedi del danzatore in alcuni intagli appare rovesciato il cratere al quale tutti avevano ormai attinto. La collocazione del grande vaso, atto alla mescolanza dell’acqua al vino, era nel cuore del simposio (riunione per bere insieme): così veniamo a sapere che il Satiro si esibisce al centro della mistica accolta. Le piroette con la testa abbandonata aggiungono all’eccitazione del vino l’effetto di un’affluenza di sangue al cervello: una “trance” tuttora praticata dai Dervisci di Konya, in Turchia, che si esibiscono nella danza rotante fino a cadere in estasi. Nel tiaso dionisiaco le più antiche immagini estatiche riguardano le Menadi “dai colli arrovesciati”, nella sintetica espressione di Pindaro (Ditirambi, framm. 2, 16). Un’idria attica a figure rosse da Vulci all’Antikenmuseum di Basilea mostra una delle danzatrici con il busto flesso e le braccia tese. La Menade di Dresda, copia da un originale di Scopa (circa 355 a.C.), ha in comune col Satiro di Mazara la pienezza dell’incarnato, la torsione del corpo, l’apertura delle braccia, lo stravolgimento del capo e la diffusione della chioma. Per l’originaria collocazione del bronzo in Alessandria valgono le più antiche riproduzioni che possediamo. La brocchetta da vino (oinochóe), probabilmente realizzata a Cales (Calvi, presso Caserta), rientra nelle imitazioni dei prodotti alessandrini in metallo pregiato (Museo Martini di Storia dell’Enologia, Pessione). La gemma del Museo Nazionale di Napoli è attribuita a Sostrato, incisore al servizio degli ultimi Tolemei, passato il 29 a.C. nell’Urbe al seguito di Ottaviano. Infine il primo sarcofago dionisiaco che ospita il Satiro estatico viene dalla necropoli occidentale di Alessandria, e sarebbe stato lavorato localmente al tempo di Antonino Pio (Museo Greco Romano, Alessandria). La chiarezza di struttura e di piani che ammiriamo nel Satiro, a monte del barocco ellenistico, appartiene alla visione di Prassitele. I figli del maestro, Cefisodoto e Timarco, ne hanno propalato la maniera nel Mediterraneo orientale, dove Alessandria ha elaborato il messaggio. Il Satiro, concepito nell’esuberanza della generazione dei diadochi (“eredi” immediati di Alessandro), ci trasmette forse un’invenzione di Prassitele (coeva alla Menade di Scopa), entrata nel repertorio della maniera. L’avvento al trono dei Tolemei era celebrato in Alessandria a guisa del ritorno di Dioniso dopo la vittoria sugl’Indi, a sua volta ricalcato da Alessandro Magno. Il Satiro di Mazara sarebbe la comparsa di una simile scena, cui poteva appartenere la zampa d’elefante in proporzione maggiore del naturale, trovata in mare dagli stessi pescatori di Mazara cui dobbiamo il rinvenimento del Satiro. L’ebbrezza mistica, indotta dal vino e dal moto vorticoso, è funzione strutturale dell’opera, come è al fondamento di una simile “performance” nelle “Dionisiache” di Nonno (circa 450 d.C.): originario di Panopoli nell’alto Egitto, il poeta può aver raccolto la suggestione del mondo alessandrino. La descrizione riguarda la sfida di Sileno a Marone. Rispetto al bronzo, il protagonista della fantasia letteraria differisce per l’età avanzata, la decadenza fisica e la presenza delle corna (peraltro insolite nell’iconografia del personaggio): “volgeva lo sguardo al cielo... danzava staccandosi dal suolo con molte volute, e drizzandosi sui talloni pulsava con ritmo vorticoso. Puntava sulla gamba destra tesa... e ruotando alzava all’indietro abilmente la gamba arcuata fino alla nuca. E con agile volteggio di danza ritornante, girato indietro su se stesso, si torceva abilmente a cerchio... percorrendo ininterrottamente lo stesso circuito a guisa di corona. E la testa stava appesa, come se fosse sempre per toccare il suolo ma senza mai sfiorare la polvere”. Anche il cratere, presente in alcune riproduzioni su gemme del Satiro in estasi, appare nell’evocazione poetica. Al termine del “tourbillon” il corpo di Sileno si abbatte estenuato e si trasforma in fiume: la chioma dà luogo a flessibili giunchi. Marone, vincitore della gara, “afferra il cratere d’argento, premio di Sileno, e lo getta tra i flutti”, dicendo tra l’altro: “accetta l’argenteo cratere di Bacco, e scorrerai in vortici d’argento. Tu, Sileno che fa ruotare i piedi, danzi anche nello scorrere fluviale, conservi il turbinare delle gambe nei tuoi frangenti”.]

(Roberto Petriaggi) [“Il Satiro di Mazara, costituirebbe, forse, il prototipo al quale si ispirarono artisti di età augustea (cfr. il cammeo in agata calcedonio attribuito a Sostrato, datato alla fine del I a.C.-inizi I d.C., ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e autori di rilievi su lastre marmoree, in particolare fronti di sarcofago, databili al II sec.d.C.”].

La scultura potrebbe essere un originale di età tardo ellenistica datato tra la fine del IV e il III secolo a.C.; oppure una replica più tarda realizzata fra il II e la fine del I sec.a.C., ripresa da antiche statue in pietra nero-cobaltea (diorite).

Secondo Sebastiano Tusa (Soprintendente del Mare della Regione Siciliana) la nave che lo trasportava fece naufragio nell'area di mare tra Pantelleria e Capo Bon in Tunisia tra il III e il II secolo a.C..

Una datazione dell'opera al IV secolo a.C. è stata proposta da Paolo Moreno (Università di Roma Tre), secondo il quale la statua dovrebbe essere identificata con il "satiro peribòetos" del celebre scultore Prassitele, citato da Plinio. (Al termine peribòetos - normalmente interpretato come "di cui si parla molto", ossia "famoso", "celebre" - viene invece attribuito il significato di "che grida freneticamente", in base ad un passo di Platone, in cui è riferito al dio Ares). Tale datazione sarebbe confermata da un confronto con un satiro danzante davanti al dio Dioniso seduto raffigurato su un vaso attico datato al IV secolo a.C..

Eugenio La Rocca (Sovraintendente ai Beni Culturali del comune di Roma), ritiene invece che l'irruenza del movimento della figura del satiro, che spezza l'armonia classica, sia meglio inquadrabile in epoca più avanzata, nel III secolo a.C.-II secolo a.C., come sembrano confermare numerosi confronti con le raffigurazioni di satiri presenti in quest'epoca su gemme, rilievi e statuette.
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