Dino Campana
Inviato: gio ott 11, 2007 3:00 pm
[align=center]Dino Campana
[/align]
[align=center]«Acqua di mare amaro
Che esali nella notte:
Verso le eterne rotte
Il mio destino prepara
Mare che batti come un cuore stanco
Violentato dalla voglia atroce
Di un Essere insaziato che si strugge…»[/align]
Dino Campana è poeta visionario, allucinato, pazzo,orfico, vagabondo,mediterraneo.
Così è stato definito spesso dai critici letterari, anche se nessuna di queste definizioni, perché limitano in un ambito troppo angusto la materia dell’arte, è in grado di illuminare chiaramente la vita e la poesia di questo autore vissuto a cavallo fra i due secoli.
Campana non si lascia comprendere a pieno né classificare.
La sua poesia è moderna ma tuttavia piena di richiami a D’ Annunzio, a Leopardi e ai classici. La sua lingua poetica sconvolge l’ordine sintattico in vari modi, anche mescolando lingue diverse, producendo valanghe di versi la cui coerenza sintattica si ottiene solo sacrificando ogni plausibile significato.
Ma Campana è attentissimo conoscitore delle regole che sconvolge,
il culto che nutre per la perfezione filologica è testimoniato dalla tragicità con cui visse la perdita del suo manoscritto,"Il più lungo giorno", che dovette ricostruire a memoria per formare la sua opera, i "Canti Orfici".
La sua controversa collocazione critica e i giudizi non certo unanimi hanno contribuito a formare attorno a questa figura un alone di mistero, per cui, quando si parla del caso Campana, si tende sempre a dare credito all’immagine del poeta maledetto.
La follia però per questo poeta, non è un presupposto della sua poesia, ma semmai un punto d’approdo, è la libertà sterminata, distruttiva e disgregatrice di ogni coerenza, figlia del tempo in cui Nietzsche aveva decretato la morte del dio.
Campana affermava di voler “ nel paesaggio collocare dei ricordi” e sul paesaggio, fondamentale nella sua poesia, aleggia un alone di misteriosa lontananza. Nei suoi scritti sentiamo il fascino delle ore crepuscolari, della luna sui campi, del canto che si perde nelle strade solitarie, della finestra illuminata nel buio della notte mediterranea.
Il colore, la musica, l’arte materica sono palpabilmente presenti in Campana che li trasfigura in un simbolismo onirico, ma vero.
Nella sua poesia i valori classici e una grande modernità si compenetrano,
in una forma e in una purezza irripetibili.
Dino nacque a Marradi, un paese in provincia di Firenze, al confine con la Romagna, il 20 agosto del 1885. Studiò fino alle medie a Faenza, presso il Convitto Salesiano, iniziò gli studi liceali prima a Faenza, poi andò a Torino,li compì a Carmagnola. Seguì poi i corsi di Chimica a Bologna, anche in questo caso frequentò istituti diversi.
Descritto come un bambino di impulsività brutale, dopo un costante peggioramento dei suoi turbamenti psicologici, nel 1906 viene ricoverato per qualche tempo nel manicomio di Imola.
Nel 1907 lascia gli studi e viaggia: prima in Francia, poi in America del Sud.
Tornato in Europa, in Belgio viene arrestato e quindi internato in manicomio.
In Italia nel 1909, dopo tre anni si iscrive ancora a Chimica a Bologna e pubblica i primi versi su un giornale.
Prende i primi deludenti contatti col gruppo di poeti e intellettuali fiorentini; addirittura uno di loro smarrirà l'unica copia delle poesie di Campana, che dovette ricostruirle tutte a memoria, fatto che aggravò il suo già labile stato psichico.
Finalmente nel 1914 pubblica i "Canti orfici".
Continua i suoi viaggi-fuga: a Torino, Domodossola, Gonevra, dove fa l'operaio, ma viene licenziato.
Allo scoppio della guerra vorrebbe arruolarsi come volontario, ma viene di nuovo rinchiuso in manicomio.
Nel 1916 conosce Sibilla Aleramo, con lei ha una difficilissima relazione per circa un anno.
Nel 1918 viene ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dove morirà nel 1932.
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[align=center]«Acqua di mare amaro
Che esali nella notte:
Verso le eterne rotte
Il mio destino prepara
Mare che batti come un cuore stanco
Violentato dalla voglia atroce
Di un Essere insaziato che si strugge…»[/align]
Dino Campana è poeta visionario, allucinato, pazzo,orfico, vagabondo,mediterraneo.
Così è stato definito spesso dai critici letterari, anche se nessuna di queste definizioni, perché limitano in un ambito troppo angusto la materia dell’arte, è in grado di illuminare chiaramente la vita e la poesia di questo autore vissuto a cavallo fra i due secoli.
Campana non si lascia comprendere a pieno né classificare.
La sua poesia è moderna ma tuttavia piena di richiami a D’ Annunzio, a Leopardi e ai classici. La sua lingua poetica sconvolge l’ordine sintattico in vari modi, anche mescolando lingue diverse, producendo valanghe di versi la cui coerenza sintattica si ottiene solo sacrificando ogni plausibile significato.
Ma Campana è attentissimo conoscitore delle regole che sconvolge,
il culto che nutre per la perfezione filologica è testimoniato dalla tragicità con cui visse la perdita del suo manoscritto,"Il più lungo giorno", che dovette ricostruire a memoria per formare la sua opera, i "Canti Orfici".
La sua controversa collocazione critica e i giudizi non certo unanimi hanno contribuito a formare attorno a questa figura un alone di mistero, per cui, quando si parla del caso Campana, si tende sempre a dare credito all’immagine del poeta maledetto.
La follia però per questo poeta, non è un presupposto della sua poesia, ma semmai un punto d’approdo, è la libertà sterminata, distruttiva e disgregatrice di ogni coerenza, figlia del tempo in cui Nietzsche aveva decretato la morte del dio.
Campana affermava di voler “ nel paesaggio collocare dei ricordi” e sul paesaggio, fondamentale nella sua poesia, aleggia un alone di misteriosa lontananza. Nei suoi scritti sentiamo il fascino delle ore crepuscolari, della luna sui campi, del canto che si perde nelle strade solitarie, della finestra illuminata nel buio della notte mediterranea.
Il colore, la musica, l’arte materica sono palpabilmente presenti in Campana che li trasfigura in un simbolismo onirico, ma vero.
Nella sua poesia i valori classici e una grande modernità si compenetrano,
in una forma e in una purezza irripetibili.
Dino nacque a Marradi, un paese in provincia di Firenze, al confine con la Romagna, il 20 agosto del 1885. Studiò fino alle medie a Faenza, presso il Convitto Salesiano, iniziò gli studi liceali prima a Faenza, poi andò a Torino,li compì a Carmagnola. Seguì poi i corsi di Chimica a Bologna, anche in questo caso frequentò istituti diversi.
Descritto come un bambino di impulsività brutale, dopo un costante peggioramento dei suoi turbamenti psicologici, nel 1906 viene ricoverato per qualche tempo nel manicomio di Imola.
Nel 1907 lascia gli studi e viaggia: prima in Francia, poi in America del Sud.
Tornato in Europa, in Belgio viene arrestato e quindi internato in manicomio.
In Italia nel 1909, dopo tre anni si iscrive ancora a Chimica a Bologna e pubblica i primi versi su un giornale.
Prende i primi deludenti contatti col gruppo di poeti e intellettuali fiorentini; addirittura uno di loro smarrirà l'unica copia delle poesie di Campana, che dovette ricostruirle tutte a memoria, fatto che aggravò il suo già labile stato psichico.
Finalmente nel 1914 pubblica i "Canti orfici".
Continua i suoi viaggi-fuga: a Torino, Domodossola, Gonevra, dove fa l'operaio, ma viene licenziato.
Allo scoppio della guerra vorrebbe arruolarsi come volontario, ma viene di nuovo rinchiuso in manicomio.
Nel 1916 conosce Sibilla Aleramo, con lei ha una difficilissima relazione per circa un anno.
Nel 1918 viene ricoverato nell'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, dove morirà nel 1932.