Fiaba:Alice nel paese delle meraviglie

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Fiaba:Alice nel paese delle meraviglie

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[align=center]Lewis Carroll
CAPITOLO I
"Nella tana del Coniglio"


Alice era ormai stufa di starsene seduta accanto alla sorella maggiore, in riva al ruscello. Aveva sbirciato un paio di volte fra le pagine del libro che sua sorella stava leggendo, ma non vi aveva scorto ne` illustrazioni, ne` parti dialogate. Doveva dunque essere un libro ben noioso, dal momento che non aveva ne` figure, ne` dialoghi! Cosi` almeno pensava Alice.

Faceva un gran caldo, e Alice sentiva in testa una gran confusione. Stava in ogni caso pensando se valeva la pena di alzarsi per cogliere margheritine e farne poi una ghirlanda quando vide, con sua grande meraviglia, un Coniglio bianco, con gli occhi rossi, passarle accanto tutto frettoloso. Un coniglio che, a differenza di tutti i conigli di questo mondo che camminano sulle quattro zampine, se ne andava ritto su quelle posteriori, vestito con un panciotto!







Passandole accanto, il Coniglio aveva estratto dal taschino del panciotto un orologio e aveva consultato l'ora. Poi aveva brontolato:"Oh, povero me! Oh, povero me! Ho fatto tardi!". Curiosa come tutte le ragazzine della sua eta` e senza riflettere su quanto poteva succederle, Alice salto` su in piedi e via, dietro al Coniglio che aveva gia` attraversato il campo vicino ed era poi sparito dietro la siepe, in un grande buco.

Fatto sta che, ad un tratto si trovo` in una grande tana che correva via dritta per un bel pezzo, come una galleria. Improvvisamente pero` la tana finiva e Alice cadde in un pozzo.

Doveva essere ben profondo quel pozzo, oppure la caduta era tanto lenta che la bambina ebbe tutto il tempo di guardarsi intorno e di pensare dove sarebbe andata a finire. Dapprima guardo` giu`verso il fondo. Eh, si', c'era un buio terribile e non ci si vedeva niente. Allora Alice osservo` le pareti del pozzo. Che cosa strana! Le pareti erano rivestite di scaffali pieni di libri di ogni specie. Qua e la` pendevano carte geografiche e quadri. Mentre cadeva sempre piu`giu`, Alice riusci` a prendere da uno scaffale un vasetto con la scritta "Marmellata d'arancia". Ma, con grande delusione, si accorse poi che il vasetto era vuoto. Che fare ora con il vasetto vuoto? Buttarlo giu`? Sarebbe potuto cadere sulla testa di qualcuno...Passando accanto ad un armadio, Alice riusci` a deporvi il vasetto ingombrante.

Bene, bene" - pensava intanto la bambina - "dopo una caduta come questa, a casa non m'importera` piu` tanto se cadro` una volta dalle scale. Tutti dovranno constatare che sono molto coraggiosa. Anche se cadessi dal tetto non urlerei piu`." (Forse in questo aveva ragione.)

E intanto...giu` giu` giu`;..."Ma non finisco piu` di cadere? Chissa` quanti chilometri ho gia` percorso. Il centro della Terra non dovrebbe essere piu` tanto lontano: dovrebbero essere circa seimila chilometri..."(dovete sapere che Alice aveva udito a scuola parlare di queste cose. Ora, anche se nessuno poteva apprezzare in quel momento le sue conoscenze in fatto di geografia, il ricordo era un ottimo esercizio di ripetizione...)

Poi pensava:"E se attraversassi ora tutta la Terra?" - continuava nelle sue fantasticherie - "arriverei dalla parte opposta, dove la gente cammina con la testa all'ingiu`! Sono gli Anti...Antipatici, mi pare si dica cosi`... Ma certo non era la parola giusta. "Ma appena fuori di qui, mi informero` bene per sapere dove mi trovo...Scusi, signora, mi sa dire se mi trovo in Nuova Zelanda oppure in Australia?" (E qui, Alice, che era beneducata, volle fare un inchino - ma ce la fareste voi a fare un bell'inchino mentre cadete giu` lungo un pozzo a cento all'ora?")

"No, no, e` meglio che io non m'informi. Ci saranno bene dei cartelli indicatori!" Non c'era ormai nient'altro da fare. Alice continuava a cadere. Allora ricomincio` a parlare da sola. "La mia Micina mi cerchera` questa sera. Chissa` se qualcuno pensera` a darle la sua tazzina di latte...Oh, Micina, cara la mia Micina, come vorrei che tu fossi qui con me! Non vedo nessun topolino intorno, ma forse ci sono dei pipistrelli, che son parenti dei topolini, no? Potresti mangiare qualche pipistrello...oppure il pipistrello potrebbe mangiare te? Oh, che confusione nella mia testa! E che sonno! Non ne posso piu`". Alice si addormento`. E sogno` di andare a passeggio con la sua Micina. E le diceva:"Di' la verita`, Micina, che ne pensi tu dei pipistrelli?". Ma proprio in quel momento...patapunfete! Termino` la sua caduta su di un mucchio di foglie secche.

Per fortuna non si era fatto male alcuno, cosi` che pote` rialzarsi subito e guardare intorno. Guardo` in su, da dove era venuta. Buio pesto. Ma davanti a lei ecco un altro corridoio lungo e diritto, ed ecco anche il Coniglio bianco che correva e brontolava fra se`:"Per dindirindina, com'e` tardi!" Ma quando gia` Alice pensava di raggiungerlo, quello era gia` sparito all'angolo, ed ella si trovo` nel bel mezzo di una grande sala dal soffitto basso, illuminata da una fila di lampade appese.

Intorno alla sala c'erano un'infinita` di porte, che pero` erano tutte chiuse. Alice provo` a piu` riprese ad aprirne qualcuna, ma invano. Allora ritorno` mestamente nel mezzo della sala chiedendosi come avrebbe potuto uscire.



Ad un tratto vide davanti a se` un tavolino di vetro, a tre gambe, e sul tavolino una piccola chiave d'oro. Alice penso` subito che fosse la chiave per una delle porticine. Ma, ahime`, o le toppe erano troppo grandi, o la chiavetta era troppo piccola! Insomma nessuna porta si apriva. Gia` faceva il giro della sala per la seconda volta, quando ecco davanti a lei una tenda alla quale non aveva badato prima. La sollevo` e scopri` che, dietro, c'era un'altra porticina, piccina, piccina. Mise la chiave nella toppa e la porticina si apri`.

Di la` si entrava in un corridoio stretto stretto e non piu` alto della tana di un topolino. Alice si inginocchio` per guardare dentro e vide, oh, meraviglia, il piu` bel giardino che si possa immaginare. Come avrebbe voluto entrare subito per passeggiare fra quelle meravigliose aiuole e quelle fresche fontane zampillanti! Ma, come fare? Neppure la sola testa avrebbe potuto passare per quella piccola porta. "E se anche passasse la mia testa che cosa faccio poi senza le spalle? Almeno potessi accorciarmi come un cannocchiale! Se almeno sapessi come fare...". Perche`, sapete, ormai ad Alice erano capitate tante cose straordinarie che niente piu` avrebbe potuto sembrarle impossibile.



Visto che non c'era niente da fare davanti alla porticina, Alice ritorno` nel mezzo della sala. Forse avrebbe trovato un'altra chiave, o magari un libro con le indicazioni su come si deve fare per diventare piccini piccini...Ma la` non c'era nessun libro. C'era, pero`, una bottiglietta che Alice giuro` di non aver visto prima e che portava un'etichetta con la scritta: Bevimi! .

"Bevimi!" e` presto detto. Ma la furba Alice penso` :"Un momento, prima devo guardar bene se, per caso, non ci sia un'altra etichetta con scritto "Attenzione veleno"; poiche` ella aveva letto e sentito parlare di bambini che si erano bruciati o che erano stati sbranati dalle bestie feroci, o che erano incorsi in altre sventure perche` non avevano seguito i consigli dei grandi. Per esempio, si sa che se si tiene a lungo in mano un attizzatoio arroventato, ci si bruciano le dita, che se ci si taglia un dito, esce il sangue, e che, se si beve anche solo un sorso del liquido di una bottiglietta sulla quale c'e` scritto“Veleno”, si puo` andare all'altro mondo...

Beh, sulla bottiglietta che Alice aveva trovato non c'era scritto "Veleno". Percio` la bambina si fece coraggio e ne bevve un sorso, poi un altro e un altro ancora, poiche` il contenuto era ottimo: aveva il sapore di una torta di ciliege, di ananas, di gelato alla vaniglia, di pollo arrosto, di panini freschi, di tutto insieme. Che bonta`! In men che non si dica, la bottiglietta fu vuotata.

"Che sensazione strana! - si disse ad un tratto Alice - Mi pare proprio di accorciarmi come un telescopio!".

Ed era proprio cosi`. Era diventata piccina, piccina, alta non piu` di una spanna. Ne fu felice perche` cosi` avrebbe potuto entrare in quel meraviglioso giardino. Pero` volle aspettare ancora un momento. Si disse:"Se divento ancora piu` piccola, puo` capitare che mi spenga, come la fiamma di una candela. E allora che ne sara` di me?". A questo pensiero sentiva accapponarsi la pelle.

Ma, dopo un po', visto che niente di straordinario capitava, decise di entrare nel giardino. Ma, ahime`, arrivata alla porticina si accorse di aver dimenticato sul tavolino la chiavetta d'oro. Allora ritorno` sui suoi passi. Pero` ora il tavolino era troppo alto per lei cosi` che non arrivava a prendere la chiave. Tento` di arrampicarsi su per le gambe del tavolo, ma non ci riusci`. Allora, stanca e sfiduciata, si sedette sul pavimento e si mise a piangere.

"Smettila di piangere, - disse con forza a se stessa - e` inutile. Ti consiglio di finirla, e subito anche!" I consigli che Alice era abituata a dare a se stessa erano in generale buoni (ma non sempre li seguiva...). A volte arrivava persino a sgridare se stessa sul serio. Aveva tentato nientemeno che di darsi uno scapaccione una volta che aveva barato al croquet. Era una strana bambina e si divertiva un mondo a far finta di essere due persone diverse. "Ma adesso non mi serve il far finta di essere in due. Quello che rimane di me, cosi` piccina, basta appena per una persona come si deve!”.

Ad un tratto il suo sguardo cadde su di una scatolina di vetro che si trovava sotto il tavolino. L'apri` e vi trovo` una tortina con le uvette e la scritta:"Mangiami!". "Certo che mangero` questa torta: se mi fara` diventare grande, potro` prendere la chiave che sta sul tavolino; se mi fara` diventare ancora piu` piccina potro` sgattaiolare sotto la porticina. In un modo o nell'altro, o grande o piccina, entrero` nel giardino."

Mangio` dunque un boccone della torta chiedendosi preoccupata:"Ma cresco o divento ancora piu` piccola?". E cosi` dicendo metteva la manina sulla testa per constatare se cambiava statura. Ma, con sua meraviglia, non ci fu nessun cambiamento. Purtroppo, per un po' di torta, non succede niente di straordinario. Ma Alice era ormai cosi` abituata alle cose straordinarie che quelle ordinarie le sembravano noiose e stupide addirittura.

Allora continuo` a mangiarsi la torta finche` non ne rimase piu` nemmeno una briciola.



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CAPITOLO II
"Lo stagno di lacrime"




Oh, miracolo! - grido` Alice - adesso mi allungo come il piu` grande telescopio che si sia mai visto! Vi saluto, piedini miei!" esclamo`! (Giacche`, guardando in giu` verso quelli che erano stati i suoi piedini, li vide lontani, lontani, quasi sprofondati nel vuoto). "Poveri piedini miei, chi vi calzera` ora calzini e scarpette? Io no sicuramente. Come potrei farlo, tanto siete lontani da me ora? Dovrete arrangiarvi in qualche modo. Pero`...pero`...devo essere gentile con loro, altrimenti non mi porteranno piu` dove voglio io. Beh, regalero` loro per Natale un paio di stivali nuovi".






"Glieli faro` portare dal commesso del negozio. Che strana cosa mandare un regalo ai propri piedi! E l'indirizzo? Scrivero` cosi`:

EGREGIO SIGNOR
PIEDE DESTRO DI ALICE
TAPPETO DAVANTI AL PARACAMINO
(CON I MIGLIORI SALUTI).

Oh, ma quante stupidaggini sto dicendo!
In quel mentre, era tanto cresciuta che batte` con la testa contro il soffitto della sala. Allora prese la chiavetta e corse verso la porta del giardino.

Povera Alice! Anche buttandosi per terra in orizzontale, poteva appena scorgere con un occhio il meraviglioso giardino. In quanto a entrarvi, quella era un'altra faccenda. Si sedette sul pavimento e ricomincio` a piangere.

Dopo un po' disse a se stessa:"Vergognati! Una bambina grande come te che piange di nuovo! Finiscila una buona volta!". E giu` a piangere, come una fontana. Pianse tanto che presto si formo` intorno a lei uno stagno di lacrime, alto circa dieci centimetri, che occupava tutta la sala.

Dopo un po' di tempo udi` avvicinarsi dei passetti. Si asciugo` le lacrime per poter vedere di chi erano. Erano i passi del Coniglio bianco: esso era tutto vestito a festa e portava in una mano dei guanti di pelle e, nell'altra, un grande ventaglio. Era arrivato li` in tutta fretta e brontolava fra se` e se`:"La Duchessa! La Duchessa! Come si arrabbiera` se arrivo tardi!". La povera Alice era talmente disperata che avrebbe chiesto consiglio a chissa` chi, nella sua disperazione. Si fece dunque umile, umile e chiese con voce sommessa:"Oh, Signore caro, la prego, potrebbe...". Il Coniglio interpellato si spavento` talmente che lascio` cadere guanti e ventaglio e se la diede a gambe nel buio.



Alice raccolse guanti e ventaglio e, poiche` nella sala faceva un gran caldo, comincio` a farsi aria con il ventaglio, mentre pensava:"Ma guarda un po' che cosa mi capita oggi! Mi va tutto alla rovescia. Eppure fino a ieri tutto andava a gonfie vele! Ma che io sia stata scambiata questa notte? Eppure stamattina mi pareva di essere quella di sempre. Ma se non sono piu` quella di ieri, chi sono dunque ora? Ecco il mistero ! E intanto andava con il pensiero alle bambine della sua eta`. Forse era stata scambiata con una di quelle!

Sono forse Ada ora? No, no, Ada ha tanti bei riccioli, e io non ne ho...Forse sono Mabel? No, no, quella non sa proprio niente, e io invece so un po' di tutto...E poi, lei e` lei e io sono io...Ma, Santo Cielo! Chi ci capisce qualcosa? Vediamo un po' se mi raccapezzo...quattro per cinque fa dodici, e quattro per sei fa tredici, e quattro per sette fa...no, no, non va cosi`. E poi le caselline? Che importa se non le so piu`? Passiamo alla geografia. Londra e` la capitale di Parigi, e Parigi e` la capitale di Roma e Roma... ma no... e` tutto sbagliato. Si vede proprio che sono diventata Mabel. Ora proviamo con le poesie: e con una vocina debole e strana comincio` a recitare:

"La vispa Teresa
avea su una fetta
di pane sorpresa
gentile cornetta;
e tutta giuliva
a chiunque l'udiva
gridava a distesa:
- L'ho intesa, l'ho intesa! -"


"Ma no, sono una gran confusionaria. Non era cosi` la poesia della Vispa Teresa...". La povera Alice non la ricordava piu`. e dispiaciutissima si mise a piangere di nuovo, sospirando:"Si`, si`, sono proprio diventata Mabel che non sapeva mai niente a scuola. E dovro` abitare nella sua brutta casetta, senza giocattoli...E avro` un mucchio di cose da imparare che non so...Dio mio, Dio mio - sospiro` fra un singhiozzo e l'altro - fa che qualcuno guardi giu` in questo buco. Non ce la faccio piu` a rimanere qui tutta sola!".
Guardandosi poi per caso una mano, vide che si era infilata, senza pensarci, un guanto del Coniglio. "Allora sono ridiventata piccola!", riflette`. Corse al tavolino per misurarsi e constato` che la sua statura era ridiventata quasi normale. Penso` che fosse colpa del ventaglio che teneva ancora in mano. Allora lo lascio` cadere, ancora in tempo per non ridiventare troppo piccola. "Questa mi e` andata bene!" penso` Alice e, felice del cambiamento, corse verso la porta del giardino. Ahime`, la porticina era chiusa di nuovo. E la chiavetta? Quella era ancora la` sul tavolino di vetro, come prima. E Alice non poteva prenderla, perche` era ormai troppo piccola.

Ma questo e` tremendo! Che rabbia !" esclamo` Alice.

Cosi` dicendo mise un piede in fallo e cadde nell'acqua salata che le arrivava fino al mento. Il suo primo pensiero fu quello di essere caduta in mare, per via dell'acqua salata. "Meno male - penso` - dal mare potro` ritornare col treno." (Alice era stata una volta al mare ed era arrivata alla conclusione che al mare ci sono sempre treni che trasportano i bambini che giocano con la sabbia...) Ma dovette constatare che non si trattava del mare. Ella nuotava nello stagno formato dalle lacrime che lei aveva versato quando era alta tre metri.



"Almeno non avessi pianto tanto - penso` mentre annaspava per uscire dall'acqua - ma questo e` sicuramente il castigo perche` ho pianto troppo, e ora mi tocchera` annegare nelle mie lacrime. Se questo non e` strano ...ma oggi e` tutto strano!".
Allora, si accorse che poco lontano qualcosa si muoveva nell'acqua. Si avvicino` nuotando e gli parve di vedere un animale grosso come una balena o un ippopotamo. Ma poi riflette` che lei stessa era diventata tanto piccina per cui vedeva tutto piu` grande del normale: si rese conto che chi nuotava verso di lei era un topolino caduto, anche lui, nell'acqua.




Se mi rivolgessi a questo topolino? - penso` - Quaggiu` succedono cose cosi` strane che non mi meraviglierei se sapesse parlare. Provare non costa niente". "Signor Topo - balbetto` - mi puo` dire come posso uscire da questo stagno? Sono stufa di nuotare senza scopo." (Alice, in verita`, non aveva mai rivolto la parola ad un topo, ma si ricordava che suo fratello, che studiava il latino, recitava: Il topo - del topo - al topo - il topo). Il Topo, nel frattempo, la sbircio` di traverso, ma non disse nulla.

Forse non capisce l'italiano - penso` Alice - forse parla francese ed e` arrivato qui con Napoleone" (Alice era brava in storia, pero` non rifletteva che Napoleone era morto da un pezzo). Allora provo` a parlargli in francese:"Ou` est ma chatte?", chiese al Topo (questa era la prima frase del suo libro di francese). A questa domanda, il Topolino salto` fuori dall'acqua con un balzo e si mise a tremare come una foglia. "Oh, mi scusi tanto - disse Alice temendo di averlo offeso - dimenticavo che a lei non piacciono i gatti!".

"Non mi piacciono i gatti, dici tu? - urlo` il Topo - Vorrei vedere te al mio posto!

Non arrabbiarti per questo - rispose Alice che aveva capito di aver sbagliato...(ora gli dava gia` del tu) - Se tu vedessi la mia Micina, sono sicura che cambieresti opinione. Vedessi quanto e` carina e tranquilla! E com'e` bella, quando se ne sta vicino al caminetto e si lecca il pelo e fa le fusa, ed e` cosi` brava nel prendere i topi...Oh, scusa, mi e` sfuggito." A queste parole, al povero topolino si erano rizzati tutti i peli. Alice, questa volta, l'aveva proprio offeso. Percio` aggiunse:"Senti, non parliamo piu` di gatti, va bene?.

Come sarebbe a dire "non parliamo" piu` di gatti! Come se io ne volessi parlare. Nella nostra famiglia odiamo i gatti, capisci? Questa razza di bestie schifose e malvage. Che io non ti senta piu` parlare di gatti, mai piu`!" urlo` il Topo tremando di rabbia fino alla punta della coda.

No, no - si affretto` a promettere Alice cambiando discorso - e i cani, quelli ti piacciono? Non lontano da casa mia, c'e` un cagnolino che vorrei farti vedere. E' un piccolo terrier, sai, di quelli che hanno gli occhi intelligenti e i riccioli marrone. E poi, se tu lanci un sasso, te lo riporta, e fa l'ometto, ritto sulle zampe posteriori per avere il suo cibo, e sa fare tante altre cose e appartiene ad un contadino che non lo venderebbe nemmeno per mille franchi perche` dice che e` utile e bravo perfino a prendere i ratti..."Oh, Dio mio, ecco che ti ho offeso di nuovo!". Infatti il Topo, offesissimo, se ne ando` nuotando cosi` di furia, che tutte le acque dello stagno sembravano in burrasca.

Alice gli grido` dietro:"Topolino, caro Topolino, ritorna, dai, ti prometto che non parlero` piu` ne` di gatti ne` di cani". Il Topo allora ritorno` verso Alice. Era pallido in viso (dalla rabbia, penso` Alice) e disse con voce tremante:"Nuotiamo verso la riva, ti raccontero` la mia storia e allora capirai perche` io odio cani e gatti".

Era tempo che i due uscissero dallo stagno, il quale si stava riempiendo di uccelli delle specie piu` varie: c'era un'Anatra, un Marabu`, un Aquilotto e altri uccelli, uno piu` strano dell'altro. Alice si mise in testa alla comitiva e tutti nuotarono verso la riva.



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CAPITOLO III
"Una maratona e una lunga storia"




Era veramente un assembramento molto strano quello che si formo` sulla riva dello stagno quando tutti gli animali ne furono usciti. Gli uccelli avevano le piume appiccicate alla pelle, i quadrupedi grondavano acqua, tutti erano malconci e di cattivo umore.

L'importante, per il momento, era il fatto di potersi asciugare in qualche modo. Si discusse la questione, e Alice trovo` del tutto naturale di poter conversare con quegli animali, come se li conoscesse da sempre. Ci fu una disputa abbastanza accesa fra Alice e il Marabu`, che asseriva di saperne piu` di lei, perche` era piu` vecchio. Ma siccome il Marabu` non voleva dire quanti avesse, non se ne parlo` piu`.

Per finire, il Topo, che sembrava godere il rispetto generale, decreto`:"Sedetevi e ascoltate. Al modo di asciugarvi penso io". Tutti gli si sedettero intorno, in circolo, e Alice non distolse gli occhi da lui, poiche` era sicura di buscarsi un bel raffreddore se non si fosse asciugata subito.

Dunque, dunque - incomincio` il Topo con voce tonante - siete tutti pronti? Quanto sto per dirvi e` la storia piu` asciutta che io conosca. Silenzio e state bene attenti. Dunque, gli uomini di Uri, Svitto e Unterwalden, che volevano essere liberi come gli avi e dovevano sopportare ogni sorta di umiliazioni da parte dei duchi d'Austria..."'

"Uhmmm!" esclamo` il Pappagallo rabbrividito.

"Brr!" fece il Marabu` che tremava dal freddo.

"Cosa hai detto? - chiese il Topo corrugando la fronte, ma in tono cortese - Hai detto qualcosa?

No, no... rispose il Pappagallo.

Mi pareva...Ma sentite cosa accadde. Gessler fece piantare un palo in piazza con un cappello in cima, e ordino` che tutti quelli che passavano dovevano fare un inchino. Guglielmo Tell trovo` che...

Trovo` che cosa? - chiese incuriosita l'Anatra - Io, per esempio, trovo rane e vermi. Ma Tell che cosa poteva trovare?"

Risentito per la sciocca interruzione dell'Anitra, il Topo continuo`:"Tell trovo` che era meglio passare accanto al palo facendo finta di non aver visto il cappello. Ma gli sgherri di Gessler gli furono subito addosso, lo legarono e lo portarono via. Come ti senti adesso piccina mia?" disse ad un tratto il Topo rivolgendosi ad Alice e interrompendo il suo dotto discorso.

Bagnata come prima - rispose Alice tristemente - la tua storia non mi ha asciugata per niente.

Il Marabu` prese allora la parola:"In queste condizioni domando che sia interrotta l'assemblea. Soltanto con iniziative intelligenti si puo` portare rimedio ad una situazione cosi` precaria".

Ma parla italiano! - disse l'Aquilotto - Io non so che cosa significhino le tue dotte parole. Situazione precaria...che cosa vuol dire? Forse non lo sai neppure tu!". E intanto abbassava il becco per nascondere un sorriso ironico. E anche altri uccelli si misero a sghignazzare apertamente.

Volevo dire - si corresse il Marabu` - che la miglior cosa per asciugarsi sarebbe una maratona-caucus.

E che cos'e` una maratona-caucus ?" disse Alice, non perche` volesse saperlo, ma siccome tutti gli altri tacevano, ella doveva pur dire qualcosa.

Il miglior modo per spiegare in che cosa consista una maratona-caucus e` quello di farla", rispose il Marabu`.

E detto questo comincio` a tracciare una pista circolare (almeno approssimativamente), poi dispose i concorrenti lungo la pista a loro piacere. Senza nessun "Uno, due, tre..." tutti si misero a correre intorno alla pista. Ognuno poi si fermava quando voleva, cosi` che non si poteva dire quando la maratona era finita. Dopo circa una mezz'ora di corsa disordinata, tutti gli animali erano asciutti. Allora il Marabu` ordino`:"Fine della corsa!". Ansanti i concorrenti gli si affollarono intorno per chiedergli chi fosse il vincitore.

Il Marabu` allora, si mise a pensare e per concentrarsi si toccava con l'indice la fronte. Tutti intorno aspettavano il verdetto. Finalmente l'uccello proclamo` solennemente:"Tutti sono vincitori, e a ognuno spetta un premio!".

Ma chi li da` i premi? - chiesero in coro gli animali presenti.

Naturalmente lei!" disse il Marabu` indicando Alice. E tutti circondarono Alice sbraitando:"I premi, i premi!".

Alice non sapeva come fare. Al colmo dell'imbarazzo, cavo` di tasca un cartoccio di caramelle alla frut|a che l'acqua salata non aveva guastato e le distribui` come premio. Ne tocco` proprio una per ciascun concorrente.

Ma anche Alice deve avere un premio", aggiunse il Topo.

Giusto", annui` il Marabu`. E rivolto ad Alice le chiese:"Che cosa hai d'altro in tasca?"

Soltanto un ditale", rispose Alice umilmente.

Fuori il ditale! - disse il Marabu`.

E, di nuovo, tutti si affollarono intorno ad Alice. Il Marabu`, prese dalle mani di Alice il ditale e glielo restitui` pronunciando solennemente queste parole:"Accetta benevolmente questo bel ditalino, da parte di tutti noi!". Scrosciarono gli applausi.





Alice trovo` un po' sciocca questa soluzione, e le venne da ridere. Ma, visto che tutti erano seri, fece buon viso a cattivo gioco fingendo di essere contenta.

Si trattava ora di mangiare le caramelle. E qui nacque un pandemonio. Perche` gli uccelli dal becco grosso si lamentavano di non aver nemmeno sentito il gusto della caramella, e quelli dal becco piccino dicevano che la caramella si era fermata nel gozzo e non potevano piu` respirare. Finalmente tutti si placarono, sedettero di nuovo in cerchio e pregarono il Topo di continuare la sua storia.

Mi hai promesso di raccontarmi la tua storia - disse Alice al Topo - e di spiegarmi perche` tu odi i C e i G. Sai di chi parlo, vero?" gli sussurro` all'orecchio per non farlo arrabbiare di nuovo.

La mia storia e` ben triste, sapete - disse il Topo - e siccome sono di natura un Topo dalla coda lunga, temo che anche la mia storia non sara` tanto breve".

Per quello che riguarda la tua persona - disse Alice - puoi avere ragione", e intanto ne sbirciava la lunga coda, "Ma anche la tua storia ha una coda lunga?". Senza badare alla domanda della bambina, il Topo, dopo un lungo sospiro, incomincio`:

"Un gattaccio impertinente
vide un topo sulle scale:
"Or con me, immantinente,
vieni insieme in Tribunale
che ti voglio condannare"
"In Tribunale, ma perche`?"
disse il Topo spaventato.
"Poi, il giudice non c'e`,
ne` giurati che io sappia,
tu il processo non puoi fare!"
"Niente affatto, caro mio
il solo giudice son io
e giurato e accusatore
d'un si` vile roditore.
E nessun m'impedira`,
pur se cio` non ti par vero,
d'emanare una sentenza
di morte in tuo confronto".

Ma tu sei distratta - disse severamente il Topo ad Alice - Dove sei con i tuoi pensieri?"



Oh, scusami tanto - rispose Alice - ero rimasta al quinto verso".

Macche` quinto verso! - brontolo` il Topo. Forse ho perduto il filo." disse sommessamente Alice. Filo o non filo, ne ho abbastanza dei tuoi stupidi discorsi." E cosi` dicendo il Topo se ne ando`.

Ma io non l'ho fatto apposta!" si scuso` Alice, "e tu sei cosi` suscettibile! Torna indietro, dai, e racconta come va a finire la tua storia!".
Anche gli altri animali gridarono:"Torna indietro". Ma il Topo, scuotendo la testa, affretto` il passo.

Peccato che non sia rimasto qui! - commento` il Pappagallo, e un vecchio Granchio approfitto` dell'occasione per dire a sua figlia Ricordati figlia mia, non lasciarti mai prendere dalla collera! Chiudi il becco! rispose la Granchiolina Con te perderebbe la pazienza perfino un'ostrica.

Se almeno Micina fosse qui! - disse Alice - Lei l'avrebbe riportato subito!".

E chi e` Micina, se la domanda e` permessa?" chiese il Marabu`.

"Micina e` la mia gattina. Vedeste com'e` brava nella caccia ai topi. Non solo, caccia anche gli uccelletti".

Queste parole provocarono un certo disagio nella compagnia. Tutti gli uccelli se ne andarono con un pretesto. Cosi`, a poco a poco, Alice rimase sola.

Almeno non avessi parlato di Micina! Probabilmente nessuno qui le vuole bene. E si` che e` la piu` bella gattina del mondo. Oh, chissa` se la potro` rivedere...". A questo pensiero Alice ricomincio` a piangere e singhiozzare. Dopo un po' di tempo udi` dei passettini che si avvicinavano. Spero` che fosse il Topo, deciso a ritornare per raccontarle la fine della sua storia.



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CAPITOLO IV
"La casetta del Coniglio"




Chi veniva innanzi a passettini leggeri era il Coniglio, che si guardava intorno con occhi spaventati e sembrava cercasse qualcosa. Alice udi` che sospirava:"La Duchessa! La Duchessa! Oh, le mie belle zampine! La mia pelliccia bianca e i miei bei baffi! Mi fara` tagliar la testa, com'e` vero che una vipera e` una vipera! Ma dove li avro` smarriti?” Alice indovino` subito che il Coniglio aveva smarrito i guanti di pelle e il ventaglio. E, buona com'era, si mise anche lei a cercarli. Ma i guanti e il ventaglio non si trovavano. D'altra parte, tutto era cambiato intorno a lei, dopo il bagno nello stagno di lacrime. La sala, con il tavolino di vetro e le piccole porte, era scomparsa.

Il Coniglio si accorse della presenza di Alice e vide che cercava qualcosa:"Marianna! - urlo` con voce stizzosa - Che cosa cerchi qui fuori? Corri subito a casa a prendere un paio di guanti e il mio ventaglio! Ma spicciati!". Alice si spavento` talmente che, senza chiedere spiegazioni, corse subito via nella direzione indicata dal Coniglio.

"Mi ha preso per la sua domestica - penso` camminando - rimarra` di stucco quando si accorgera` chi sono io! In ogni caso pero` i guanti e il ventaglio glieli voglio riportare, cioe`, se li trovo, ovviamente". Era arrivata cosi` davanti ad una bella casetta, pulita, con una targhetta di ottone sulla quale stava scritto: C. Bianco. Senza bussare, Alice entro` e sali` in fretta le scale, perche` temeva di incontrare la vera Marianna che l'avrebbe cacciata fuori di casa, prima che avesse trovato quanto cercava.

"Che strana cosa fare commissioni per un coniglio. - disse Alice a se stessa - Probabilmente in futuro dovro` farne anche per la mia Micina". E gia` si immaginava la scena:"Signorina Alice, qui, per piacere! E' l'ora della passeggiata!". "Eccomi qui, zia! Ma dovrei badare che non scappi il topolino dal buco, finche` non torna Micina". "Pero` non credo - penso` Alice - che Micina potrebbe stare ancora in casa nostra se comandasse cosi`".

Nel frattempo era arrivata in una bella cameretta, ordinata e pulita, con un tavolino vicino alla finestra. E sul tavolino ecco ( come aveva previsto Alice) il ventaglio e due o tre paia di guanti di pelle. Prese dunque un paio di guanti e il ventaglio; stava per uscire dalla camera, quando vide, vicino allo specchio, una bottiglietta sulla quale non si vedeva la solita etichetta "BEVIMI!". Alice la sturo` ugualmente e l'accosto` alle labbra. "Ormai so che anche stavolta capitera` qualcosa di interessante, come sempre quando bevo o mangio qualche cosa. Voglio proprio vedere che effetto mi fa questa bevanda. Spero mi faccia ridiventare grande, perche` sono stufa di andare in giro cosi` piccina!”.

E infatti l'effetto fu immediato. In men che non si dica, appena Alice ebbe bevuto l'ultima goccia, divento` cosi` alta che la testa batteva contro il soffitto della cameretta e la bambina dovette curvarsi per non farsi male. Rimise in fretta la bottiglietta al suo posto e disse:"Basta ora con la crescita. Gia` non posso uscire dalla porta. Almeno non avessi bevuto cosi` tanto!".

Ma ormai era troppo tardi. Alice cresceva, cresceva e presto dovette inginocchiarsi, poi stendersi addirittura sul pavimento, con un gomito contro la porta e l'altro braccio sotto la testa. E quando non ebbe piu` posto nella camera, fu costretta ad allungare un braccio fuori dalla finestra e una gamba su per la cappa del camino. Che ne sara` di me?” si chiedeva intanto.





Per fortuna, finalmente l'effetto della misteriosa bevanda cesso`. Ma intanto la bambina era talmente cresciuta, che si domando`, spaventata come mai avrebbe potuto uscire da quella stanzetta. Immaginarsi la sua tristezza!

"Si stava proprio meglio a casa - pensava - la` almeno non continuavo a crescere e a diminuire di statura,e non c'erano ne` conigli ne` topi che mi comandassero a bacchetta. Almeno non fossi entrata nella tana del Coniglio...eppure...eppure...la vita che conduco qui e` strana ma interessante. Mi piacerebbe proprio sapere che cosa mi e` successo. Una volta, quando leggevo le fiabe, pensavo che certe cose non possono accadere, che sono frutto della fantasia. E ora, eccomi proprio nel bel mezzo di una fiaba. Si dovrebbe scrivere un libro sulle mie avventure, davvero. Quando saro` grande lo scrivero` io il libro!".

“Quando saro` grande? Ma sono grande! Piu` di cosi`...non potro` diventare...Gia` , ma allora non diventero` nemmeno piu` vecchia di adesso? Beh, e` gia` una consolazione il fatto di non dover diventare una vecchia signora...D'altra parte, allora dovro` continuare a studiare, e questo non mi piacerebbe affatto!”

Alice continuo` ancora per un pezzo a chiacchierare con se stessa, esaminando il pro e il contro della situazione nella quale si trovava, allorquando udi` una voce, fuori della casetta. Stette in ascolto.

"Marianna! Marianna! - diceva la voce - Portami subito i miei guanti!". Ed ecco dei passetti sulle scale. Poteva essere soltanto il Coniglio, che la cercava. Dalla paura, Alice incomincio` a tremare come una foglia, tanto che tutta la casetta traballava. La sciocchina non rifletteva che non c'era motivo di aver paura del Coniglio. Ormai lei era diventata mille volte piu` grossa di lui.

Intanto il Coniglio era arrivato alla porta della cameretta e avrebbe voluto aprila. Ma non ci riusciva, poiche` il gomito di Alice, dall'altra parte, la teneva chiusa. Il Coniglio disse allora:"Entrero` dalla finestra."

"Vediamo un po' se ci riesci", penso` Alice. Quando ebbe calcolato che il Coniglio poteva essere arrivato sotto la finestra, allargo` la mano che teneva fuori per acchiapparlo. Ma aveva annaspato nel vuoto. Pero` udi` un piccolo grido e, subito dopo, un tintinni`o di vetri rotti. Da cio` dedusse che il Coniglio doveva essere caduto sui vetri di una serra.




Poi udi` la voce piena d'ira del Coniglio:"Battista! Battista! Ma dove sei?". E una voce ignota rispose:"Sono qui, Eccellenza, a pungere le mele!".

"A pungere le mele? Che cosa e` questa storia? - grido` il Coniglio arrabbiatissimo - Invece di correre in mio aiuto!" (E si senti` ancora il tintinni`o dei vetri.)

"E ora, Battista, mi sai dire che cos'e` che pende fuori dalla finestra della mia camera?"

"Ma, Eccellenza, e` un blaccio!" (Battista non sapeva pronunciare la r.)

"Un braccio? Asino che non sei altro. Non esiste un braccio cosi` grosso. Non vedi che riempie tutta la finestra?"

"Eppule, Eccellenza, si tlatta ploplio di un blaccio."

"In ogni caso, la cosa non mi garba. Va subito a togliere quel braccio!".

Il povero Battista non se la sentiva di ubbidire e cercava mille scuse. E il Coniglio, sempre piu` infuriato, lo copriva di invettive:"Fa' quello che ti dico! Vigliacco!". Nel frattempo Alice allargo` di nuovo la mano nell'intento di afferrare il Coniglio, ma non ci riusci`. Stavolta udi` pero` due strilli e un nuovo fracasso di vetri rotti. Penso`:"Ma quante serre ci sono qui? E che cosa faranno adesso? Tenteranno di tirarmi fuori dalla finestra? Almeno ci riuscissero! Non vorrei rimanere qui eternamente!"

Intanto, di fuori, si udivano voci affannose ed eccitate, e rumore di ruote. "La scala! Dov'e` la scala a pioli? Quella lunga! Guglielmo, Guglielmo, porta la scala allungabile! Appoggiala alla finestra, su da bravo. Sali sul tetto! Scosta le tegole! Attenzione! Chi scende ora per la cappa del camino? Tu? Io, no! Guglielmo, sei tu che devi scendere per la cappa del camino, capito? L'ha detto il padrone!".

"Ah - penso` Alice - chi e` questo Guglielmo che deve scendere per la cappa del camino? Glielo faccio vedere io a quello li`! Si prendera` un bel calcio nel sedere!"

Ritiro` come pote` la gamba dal camino e si preparo` a mollare il colpo all'intruso. Quando udi` dei rumori su per la cappa, aspetto` che quel non so che fosse a portata del suo piede e..."Toh, questo e` per te!", gli sferro` un calcio potente.

Segui` un grande silenzio. Poi, giu` nel giardino si udirono voci concitate:"Guardate, guardate, Guglielmo vola sopra il camino!". Difatti, il povero Guglielmo, spinto dal calcio di Alice, era volato fuori dal camino ed era andato a finire sbatacchiato contro la siepe. "Sollevategli la testa! - urlava il Coniglio - Portate un po' di cognac...eh, adagio, altrimenti si ingozza...Beh, poverino, come va? Che cosa ti e` capitato? Racconta!".




E il povero Guglielmo, con una vocina flebile, flebile:"Che ne so io? Si`, sto meglio, ora. Ma sono talmente spaventato che non posso raccontare...So soltanto che quando ero quasi in fondo al camino, una specie di diavolo mi ha lanciato in alto, come un razzo...Che spavento!".

"Davvero...poverino!" dissero gli altri.

"Dobbiamo incendiare la casa!" disse il Coniglio. Allora Alice urlo` con quanta voce aveva:"Se fate questo, badate, chiamo subito la Micina!".

A questa minaccia segui` un silenzio di tomba. "Ora sono proprio curiosa di sapere cosa faranno", penso` Alice. "Se fossero un po' intelligenti, scoprirebbero il tetto, no?". Dopo un po' si udi` un gran tramesti`o giu` in giardino e la voce del Coniglio che diceva:"Ma una carriola bastera`.".

"Una carriola di che cosa?” penso` Alice. Si accorse poi subito che cosa aveva trasportato la carriola, perche` le piovve in camera una fitta sassaiola. Alcuni sassolini la colpirono proprio in faccia. Allora grido` minacciosa:"Se non la piantate, guai a voi!". Di nuovo silenzio di tomba!

Con grande meraviglia Alice si accorse che alcuni sassolini che giacevano sul pavimento si erano trasformati in altrettanti pasticcini. "E se ne mangiassi uno? - disse fra se` e se`- Tanto, piu` grande e grossa di cosi` non posso diventare. Forse, invece, diventero` di nuovo piccina."

Mando` giu` un pasticcino e subito noto` che si sentiva diventare piu` piccola. Allora continuo` a mangiare pasticcini fino a che si accorse di essere ridiventata piccina piccina. Pote` cosi` uscire dalla porta della camera e da quella di casa. Sulla soglia si vide attorniata da una quantita` di animaletti e uccelletti. Nel mezzo della brigata c'era la povera Lucertola (era Guglielmo) che Alice aveva mandato a gambe all'aria col suo calcio ben centrato, povero Guglielmo! Aveva l'aspetto sofferente e due porcellini d'India dovevano sostenerlo, mentre gli somministravano un cordiale. Tutte le bestioline si lanciarono contro Alice, che si vide costretta a fuggire a gambe levate verso il bosco.

"Prima di tutto - riflette` Alice vagando fra gli alberi - devo trovare il modo di riacquistare la mia statura normale. Poi ritrovare la strada che conduce al giardino".

Il suo piano era eccellente. Pero` c'era una difficolta`. Come realizzarlo? Mentre cosi` rimuginava, passando un po' ansiosa fra le piante del bosco, ecco, sopra il suo capo, un abbaiare tutt'altro che invitante.

Guardo` su e vide fra i rami un grosso cucciolo che allungava la zampa verso di lei. "Ma che cosa fa qui il mio cucciolino?" chiese Alice in tono affettuoso, perche`, a dir la verita` aveva una paura da matti. Poteva darsi che il cucciolo avesse una gran fame. E allora, povera Alice, avrebbe anche potuto divorarla.





Senza riflettere oltre, Alice prese un bastoncino e incomincio` a giocare con il cucciolo, che saltava di qua e di la` per afferrare il bastone. Il cane faceva certi salti che, se avesse investito la bambina, quella sarebbe andata a gambe all'aria. Percio`, per prudenza, ogni volta che il cane spiccava un salto, Alice si nascondeva dietro un cardo. La bambina si aspettava ogni momento di essere calpestata dall'animale. Il cucciolone finalmente, stanco per il gran correre e saltare, si fermo` ansante, con la lingua penzoloni e gli occhi chiusi.

Questo sembro` ad Alice il momento buono per svignarsela. Via dunque di corsa attraverso il bosco, lontano il piu` possibile, finche` la voce del cane si spense del tutto.

"Pero`, in fine dei conti, era un simpatico cagnolino - disse Alice appoggiandosi ad un ranuncolo e facendosi aria con una delle sue foglie - Gli avrei insegnato tante cose, se avessi avuto la giusta statura. Toh! Avevo quasi dimenticato che dovrei riavere la mia statura normale. Ma, come fare? Dovrei di nuovo mangiare o bere qualcosa. Ma...cosa?".





Ecco il gran problema! Si guardo` intorno alla ricerca di roba mangereccia...Fiori, foglie, erbe...Pero`, un po' piu` lontano, ella scorse un fungo, grande piu` o meno come lei, e, dopo averlo osservato di sotto, volle esaminare che cosa c'era sul cappello.

Alzandosi in punta di piedi, si affaccio` all'orlo del fungo, e il suo sguardo si fermo` su di un grosso Bruco azzurro che se ne stava seduto tranquillamente nel centro con le braccia conserte e fumava una lunga pipa pacifico come un re.













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[align=center]CAPITOLO V
"Il consiglio del Bruco"



Alice e il Bruco si guardarono l'un l'altro in silenzio per un po' di tempo. Finalmente il Bruco, togliendosi la pipa di bocca, si rivolse ad Alice e, con voce stanca e strascicata, le chiese:"Chi sei tu?".

Come principio per una conversazione, certo non era molto invitante. Alice titubo` un momento, poi disse:"Io...io non so piu` esattamente chi sia, dopo tutto quello che mi e` capitato oggi...So chi ero stamattina, ma poi sono diventata un'altra e questo per parecchie volte...".

"Che cosa intendi dire? - chiese in tono severo il Bruco - Spiegati!".

"Temo che non potro` spiegarmi - rispose Alice - perche`, vede, io non sono piu` io!".

"Non ho capito niente!" disse il Bruco.

"Mi spiace - spiego` Alice gentilmente - ma non so esprimermi altrimenti. Non so che cosa mi sia capitato, ma oggi continuo a cambiare di statura...ora sono grande grande, ora piccina piccina. E' veramente strano, io non capisco piu` nulla."

"Strano? Niente affatto!", obietto` il Bruco.

"Eppure, signor Bruco, anche lei trovera` strano di vedersi un giorno trasformato in crisalide e poi in farfalla, o no?".

"Non credo proprio!" replico` il Bruco.

"Dipende dalla propria sensibilita` - disse Alice - Per me sarebbe sicuramente molto strano."

"Per te - disse il Bruco - Ma chi sei tu in fin dei conti?!?"

Si era ritornati cosi` al principio della conversazione. Quella domanda ripetuta non andava proprio giu` ad Alice che si rivolse quindi in tono severo al Bruco e chiese:"Mi sembra che dovrebbe dirmi lei prima chi e`?!"

"E perche` mai?" borbotto` il Bruco.

Siccome Alice non sapeva che cosa rispondere a una tale domanda, e il Bruco le sembrava di cattivo umore, penso` bene di svignarsela.

"Torna indietro! - comando` il Bruco - Devo dirti una cosa importante."

Alice, allora, si avvicino` di nuovo al fungo.

"Devi controllare meglio la tua ira!" disse il Bruco.

"E' tutto quello che mi devi dire?" chiese Alice soffocando un moto di rabbia.

"No", rispose il Bruco.

Alice penso` che era meglio aspettare pazientemente, tanto non aveva altro da fare, e forse il Bruco aveva proprio qualche cosa di interessante da dirle. Dopo alcuni minuti di silenzio, il Bruco si tolse la pipa di bocca, allargo` le braccia e disse:"Bene, bene, tu credi dunque di essere diventata un'altra?".

"Veramente lo temo, caro signore, poiche` non mi ricordo piu` delle cose di una volta, e non passa un quarto d'ora senza che io diventi o piu` grande o piu` piccina...", rispose Alice impressionata.

"Che cosa non ricordi, per esempio?” volle sapere il Bruco.

"Le poesie...Volevo recitare la vispa Teresa e non sono piu` stata capace. E si` che, a scuola, la sapevo per benino!"

"Allora prova a recitare la poesia del nonno Battista" le suggeri` il Bruco.

Alice obbedi` e comincio`:







"Sei vecchio, caro babbo - gli disse il ragazzino - sulla tua chioma splende, quasi un candore alpino; eppur costantemente cammini sulla testa: ti sembra per un vecchio buona maniera questa?"
"Quand'ero bambinello - rispose il vecchio allora - temevo di mandare il cervello in malora; ma adesso persuaso di non averne affatto, a testa in giu` cammino piu` agile d'un gatto."









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"Sei vecchio, caro babbo - gli disse il ragazzino - e sei capace e vasto piu` d'un grosso tino: e pur sfondato hai l'uscio con una capriola; dimmi da quali acrobati andasti, babbo, a scuola?"
"Quand'ero bambinello - rispose il padre saggio, per rafforzar le membra, io mi facea il massaggio sempre con quest'unguento; un franco alla boccetta, chi comperarlo vuole, fa bene se s'affretta."






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"Sei vecchio, caro babbo - gli disse il ragazzino - e tu non puoi mangiare che pappa nel brodino; pure hai mangiato un'oca col becco e tutte l'ossa Ma dimmi ove la pigli, o babbo, tanta possa?"
"Un di` apprendevo legge - il padre allor gli disse - ed ebbi con mia moglie continue liti e risse; e tanta forza impressi alle ganasce allora, tanta energia che, vedi, mi serve bene ancora."






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"Sei vecchio caro babbo - gli disse il ragazzino e certo come un tempo non hai piu` l'occhio fino: pur reggi in equilibrio un pesciolin sul naso, or come cosi` desto, ti mostri in questo caso?"
"A tutte le domande, io t'ho risposto gia`, e finalmente basta! - risposegli il papa`: "Se tutto il giorno poi, mi vuoi cosi` seccare, ti faccio con un calcio, le scale ruzzolare".









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"Non l'hai recitata molto bene. - osservo` il Bruco - Ma lasciamo stare". Poi, dopo qualche minuto di silenzio, vedendo Alice piuttosto umiliata, riprese:"Dimmi, quale statura vorresti avere?".

"Beh, non saprei esattamente - disse Alice - solo non vorrei cambiare cosi` spesso. Che ne pensa, lei?"

"Io non penso niente", rispose il Bruco.

Alice tacque. Quel signor Bruco era uno spirito di contraddizione fenomenale. In vita sua non era stata mai tante volte contraddetta, e non ne poteva proprio piu`.

"Sei contenta di come sei adesso?" volle sapere il Bruco.

"Vorrei essere un tantino piu` alta, se non le spiace. - rispose gentilmente Alice - Una statura di 8 centimentri e` un po' meschina".

"Otto centimetri fanno una magnifica statura" disse il Bruco collerico, rizzandosi come uno stelo mentre parlava (egli era alto esattamente otto centimetri).

"Ma io non ci sono abituata! - si scuso` Alice in tono lamentoso. E poi penso` fra se`: "Questa bestiolina s'offende per nulla!".

"Col tempo ti ci abituerai", disse il Bruco, e rimettendosi la pipa in bocca ricomincio` a fumare.

Questa volta Alice aspetto` pazientemente che egli ricominciasse a parlare. Dopo due o tre minuti, il Bruco si tolse la pipa di bocca, sbadiglio` due o tre volte, e si scosse tutto. Poi discese dal fungo, e se ne ando` strisciando nell'erba, dicendo soltanto queste parole:"Un lato ti fara` diventare piu` alta e l'altro ti fara` diventare piu` bassa."

"Un lato di che cosa? E l'altro lato di che cosa?” penso` Alice fra se`.

"Del fungo.", disse il Bruco, come se Alice lo avesse interrogato ad alta voce e subito scomparve.

Alice rimase pensierosa un minuto guardando il fungo, cercando di scoprirne i due lati, ma siccome era perfettamente rotondo, trovo` la cosa difficile. A ogni modo allungo` piu` che le fu possibile le braccia per circondare il fungo, e ne ruppe due pezzetti dell'orlo a destra e a sinistra.

"Bene, e adesso?" si chiese. E intanto provo` a mangiare il pezzo di fungo che teneva nella mano destra. Immediatamente senti` un gran colpo sotto il mento. Era caduta sul proprio piede.

Naturalmente si spavento` di questo rapido cambiamento, ma non c'era tempo da perdere poiche` si sentiva rimpicciolire a vista d'occhio. Cerco` allora di mangiare il pezzetto di fungo che teneva nella mano sinistra. La cosa le riusci` molto difficile perche` quasi non poteva piu` aprire la bocca, tanto il mento premeva contro il piede. Finalmente pote` mandar giu` un bocconcino.

"Meno male! Ora posso almeno muovere la testa!" esclamo`. Ma, ahime`, dove erano andate a finire le sue spalle? Per quanto abbassasse lo sguardo non riusciva a vedere le spalle. Collo, nient'altro che un lunghissimo collo! Sembrava uno stelo che spuntava dalle erbe.

"Ma che cos'e` questa roba verde?” disse Alice. "Per l'amor del cielo, dove sono le mie spalle? E perche` non posso piu` vedere le mie mani?” E intanto cercava di muovere le mani, cosi` lontane da lei, ma non vedeva che il muoversi delle erbe in basso.

Siccome le sue mani non arrivavano alla testa, penso` che forse la testa sarebbe arrivata giu` alle mani, se avesse provato a chinarla. Subito noto`, con grande piacere, che il lungo collo era molto flessibile e si muoveva di qua e di la`, come un serpente. Lo piego` graziosamente verso il fogliame per nascondersi, quando fu sorpresa da uno sbattere di ali e un grosso piccione le volo` sul viso.

"Serpente!" urlo` il Piccione.

"Ma io non sono un serpente!” disse Alice indignata. "Lasciami in pace!"

"Serpente, dico! - ripete` il Piccione, ma con tono piu` dimesso, e aggiunse singhiozzando:"Ho cercato tutti i rimedi, ma invano".

"Ma io non so nemmeno di cosa parli!" disse Alice.

"Ho tentato in una radice, ho tentato sulla riva del ruscello, in una siepe - si lamento` il Piccione - ma e` tutto inutile. Oh, questi serpenti! Non sono mai contenti!".

Alice sempre piu` confusa, penso` che sarebbe stato inutile dir nulla, fino a che il Piccione non avesse finito.

"Come se fosse poco disturbo covare le uova - disse il Colombo - Bisogna vegliarle giorno e notte! Sono tre settimane che non chiudo occhio!"

"Mi dispiace di vederti cosi` sconsolato!" disse Alice, che cominciava a capire.

"E adesso che avevo trovato l'albero piu` alto del bosco per fare il mio nido e deporre le uova, ecco che un serpente arriva giu` dal cielo! - grido` il Piccione esasperato - Brutto serpentaccio che non sei altro!".

"Ma ti ripeto che io non sono un serpente! - disse Alice - Io sono...io sono..."

"Su dillo! Chi sei? Come se non si vedesse che stai inventando una bugia", la interruppe il Piccione.

"Io sono una bambina." disse Alice un po' incerta dopo tutti i cambiamenti che aveva fatto.

"Ma brava! Ah, tu sei una bambina? Io ne ho viste tante di bambine nella mia vita, ma nessuna aveva un collo lungo come il tuo!" urlo` il Piccione. "No, no, tu sei un serpente e le tue bugie non stanno in piedi. Ora vorrai anche farmi credere che tu non sai che cos'e` un uovo e che non l'hai mai mangiato!".

"Certo che ho mangiato un uovo. Devi sapere che le bambine piccole mangiano uova cosi` come i serpenti."

"Non ci credo - disse il Piccione - e se ne mangiano, vuol dire che sono una specie di serpenti, e basta!"

Questa idea parve cosi` nuova ad Alice che rimase in silenzio per uno o due minuti; il Piccione allora colse quell'occasione per aggiungere:"Tu vai a caccia di uova, questo e` certo, e che m'importa, che tu sia una bambina o un serpente?"

"Ma importa moltissimo a me. - rispose subito Alice - Ad ogni modo non vado in cerca di uova; e anche se ne cercassi, non ne vorrei delle tue; crude non mi piacciono".

"In ogni caso, via di qui!" ordino` il Piccione. E intanto si accomodo` di nuovo sopra le sue uova. Alice volle piegarsi sotto gli alberi, ma le riusciva molto difficile, perche` il collo, cosi` lungo com'era, si intricava fra i rami e lei faceva fatica a districarlo.

Dopo qualche istante, si ricordo` che aveva ancora nelle mani i due pezzettini di fungo, e si mise all'opera con molta accortezza addentando ora l'uno ora l'altro, e cosi` diventava ora piu` alta ora piu` bassa, finche` riusci` a riavere la sua statura giusta. Era da tanto tempo che non aveva la sua statura giusta, che dapprima le parve strano; ma vi si abituo` in pochi minuti, e ricomincio` a parlare fra se` come al solito:"Ecco sono a meta` del mio piano! Sono pure strani tutti questi mutamenti! Non so mai che diventero` da un minuto all'altro! Ad ogni modo, sono tornata alla mia statura normale: ora bisogna pensare ad entrare in quel bel giardino... Ma come faro`?" E cosi` dicendo, giunse senza avvedersene in un piazzale che aveva nel mezzo una casettina alta circa un metro e venti. "Chiunque vi abiti - penso` Alice - non posso con questa mia statura fargli una visita; gli farei una gran paura!" E comincio` ad addentare il pezzettino che aveva nella mano destra, e non oso` avvicinarsi alla casa, se non quando ebbe la statura d'una ventina di centimetri."




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CAPITOLO VI
"Il maialino e il pepe"


Alice per un po' si mise a guardare la casa, e non sapeva che fare, quando ecco un valletto in livrea uscire di corsa dalla foresta (lo prese per un valletto perche` era in livrea, altrimenti dal viso lo avrebbe creduto un pesce) e picchiare energicamente all'uscio con le nocche delle dita. La porta fu aperta da un altro valletto in livrea, con una faccia rotonda e gli occhi grossi, come un ranocchio; ed Alice osservo` che entrambi portavano delle parrucche di riccioli incipriati. Le venne la curiosita` di sapere di che si trattasse, e usci` cautamente dal cantuccio della foresta, e si mise ad origliare.



Il pesce valletto cavo` di sotto il braccio una lettera grande quasi quanto lui, e la presento` all'altro, dicendo solennemente:"Per la Duchessa. Un invito della Regina per giocare una partita di croquet." Il ranocchio valletto rispose nello stesso tono di voce, ma cambiando l'ordine delle parole:"Dalla Regina. Un invito per la Duchessa per giocare una partita di croquet."

Cosi` dicendo si fecero una riverenza talmente profonda che le due parrucche si ingarbugliarono.

Alice scoppio` in una gran risata, e si rifugio` nel bosco per non farsi sentire, e quando torno` il pesce valletto se n'era andato, e l'altro s'era seduto sulla soglia dell'uscio, fissando stupidamente il cielo.
Alice si avvicino` timidamente alla porta e busso`.


"Non val la pena che tu bussi - disse il domestico - e cio` per due motivi: primo, perche` io sto dalla stessa parte della porta dove stai tu; secondo, perche` qua dentro fanno un baccano tale che nessuno ti puo` sentire". E, infatti, si udiva urlare e starnutire insieme e, ogni tanto, un rumore di cocci sul pavimento.

"Ma allora scusi, come posso entrare in casa io?" chiese Alice.

"Il tuo bussare avrebbe un significato - continuo` il valletto senza badarle - se la porta fosse fra noi due. Per esempio se tu fossi dentro, e picchiassi, io potrei farti uscire, capisci..." E parlando continuava a guardare il cielo, il che ad Alice parve proprio un atto da maleducato. "Ma forse non puo` farne a meno - disse fra se` - ha gli occhi quasi sull'orlo della fronte! Potrebbe pero` rispondere a qualche domanda...Insomma come devo fare per entrare?" disse Alice ad alta voce.

"Io rimarro` qui fino a domani" fu la risposta del valletto.

In quell'istante la porta si apri`, e un gran piatto, lanciato dall'interno, volo` verso la testa del valletto, gli sfioro` il naso e si ruppe in cento pezzi contro un albero.

"...o forse fino a dopodomani" continuo` il valletto come se nulla fosse accaduto.

Per la terza volta Alice chiese:"Come faccio ad entrare in casa?"

"Prima di tutto bisogna sapere se tu debba veramente entrare in casa..." disse allora il valletto.

Aveva ragione ma ad Alice diedero fastidio quelle parole:"E' spaventoso - mormoro` fra se` - il modo con cui discutono queste bestie. C'e` da impazzire!"

Il valletto allora colse l'occasione per ripetere l'osservazione con qualche variante: " Io me ne staro` seduto qui per giorni e giorni."

"Ma io che devo fare?" domando` Alice.

"Quel che ti pare e piace" rispose il valletto, e si mise a fischiare.

"E' inutile discutere con lui! - disse Alice disperata - E' un perfetto imbecille!". Cosi` dicendo apri` la porta ed entro`.



La porta conduceva direttamente in una vasta cucina, da un capo all'altro invasa di fumo. La Duchessa sedeva su uno sgabello a tre piedi, e teneva un bambino in braccio; la cuoca era di fronte al fornello, e stava rimestando in un calderone che pareva pieno di minestra.

"In quella minestra ci deve essere troppo pepe" disse Alice fra se` con un fragoroso starnuto.

Effettivamente c'era troppo pepe nella aria. Anche la Duchessa starnutiva qualche volta; e quanto al bambino non faceva altro che starnutire e strillare senza un istante di riposo. I soli due esseri che non starnutivano nella cucina, erano la cuoca e un grosso gatto, che se ne stava accoccolato sul focolare, ghignando con tutta la bocca, da un orecchio all' altro.

"Per piacere - domando` Alice un po' timidamente, perche` non era certa che spettasse a lei cominciare a parlare - perche` il suo gatto ghigna cosi`?"

"E' un Ghignagatto - rispose la Duchessa - ecco perche`. Maialino!"

Ella pronuncio` l'ultima parola con tanta energia, che Alice fece un balzo; ma subito comprese che quel titolo era riferito al bambino e non a lei.

Cosi` si riprese e continuo`:"Non sapevo che i gatti ghignassero a quel modo: anzi non sapevo neppure che i gatti potessero ghignare."

"Tutti possono ghignare - rispose la Duchessa - e la maggior parte ghigna."

"Non ne conosco nessuno che sappia farlo" replico` Alice con molto rispetto, e contenta finalmente di conversare.

"Tu non sai tante cose! - disse la Duchessa - Si capisce."

Il tono secco di questa conversazione non piacque ad Alice, che volle cambiar discorso. Mentre cercava un argomento, la cuoca tolse il calderone della minestra dal fuoco, e si mise a gettare tutto cio` che le stava vicino contro la Duchessa e il bambino... Scaglio` prima le molle, la padella, e l'attizzatoio; poi una pioggia di casseruole, di piatti, pentole e scodelle. La duchessa non si scomponeva nemmeno quand'era colpita; e il bambino urlava tanto, che era impossibile dire se i colpi gli facessero male o no.

"Ma badi a quel che fa! - grido` Alice, saltando qua e la` atterrita - Non vede che a momenti porta via il naso al piccino?" continuo` a dire, mentre un grosso tegame sfiorava il naso del bimbo e poco manco` che non glielo portasse via davvero.

"Se tutti badassero ai fatti loro - esclamo` la Duchessa con un rauco grido - il mondo andrebbe molto meglio di quanto non vada."

"Ma il mondo va bene cosi` - replico` Alice, che aveva sentito parlare a scuola dei movimenti della Terra - gira intorno al proprio asse in ventiquattro ore, e..."

"Asse, hai detto? Ascia, volevi dire. - grido` la Duchessa - hai fatto bene a ricordarmelo. Tagliatele la testa!"

Alice guardo` ansiosamente la cuoca per vedere se ella intendesse obbedire ma la cuoca era occupata a rimestare la minestra, e non pareva che avesse ascoltato, percio` ando` avanti dicendo:"Ventiquattro ore, credo, o dodici? Io..."

"Oh non mi seccare. - disse la Duchessa. - Ho sempre odiato i numeri!" E si rimise a cullare il bimbo, cantando una certa sua ninna nanna, e dandogli una violenta scossa alla fine d'ogni strofa:


Vo col bimbo per la corte,
se starnuta picchio forte:
lui lo sa che infastidisce
e per picca starnutisce.


CORO

(con la cuoca e il bambino):—

“Ahi! Ahi! Ahi!”


Mentre la Duchessa cantava il secondo verso, scuoteva il bimbo su e giu` con molta violenza, e il poverino strillava tanto che Alice pote` appena udire le parole della canzoncina:

"Vo col bimbo per la corte,
se starnuta picchio forte;
lui se vuole puo` mangiare
tutto il pepe che gli pare."


CORO

“Ahi! Ahi! Ahi!”


"Toh, adesso tienilo un po' tu!" disse la Duchessa ad Alice, buttandole il bimbo in braccio. "Io vado a prepararmi per giocare una partita a croquet con la Regina". E usci` in fretta dalla stanza. La cuoca le scaravento` addosso una padella, e per un pelo non la colpi`.
Alice afferro` il bimbo, ma con qualche difficolta`, perche` era una creatura stranissima; agitava le mani e i piedi in tutti i sensi, "Proprio come un polipo" penso` Alice. Il poverino ronfava come una macchina a vapore e continuava a contorcersi e a divincolarsi tanto che, per qualche istante, Alice dubito` di non poterlo neanche reggere. Appena la fanciulla ebbe trovato la maniera di cullarlo, (e questo consistette nel ridurlo ad una specie di nodo, e nell'afferrarlo al piede sinistro e all'orecchio destro, per impedirgli di sciogliersi) lo porto` all'aria aperta.




"Se non mi porto via questo bambino - osservo` Alice - quelle in due o tre giorni me lo mandano all'altro mondo...Sarebbe un vero omicidio se lo lasciassi qui!". Disse le ultime parole a voce alta, e il poverino si mise a grugnire per risponderle (non starnutiva piu` adesso). "Non grugnire, - disse Alice, - non e` educazione esprimersi a questo modo!"

Il bambino grugni` di nuovo, e Alice lo guardo` ansiosamente in faccia per vedere che avesse. Aveva un naso troppo all'insu`, e non c'era dubbio che rassomigliasse piu` ad un grugno che a un naso vero e proprio; e poi gli occhi gli stavano diventando cosi` piccoli che non parevano di un bambino: nel complesso quell'aspetto non piaceva ad Alice. "Forse singhiozzava" penso`, e lo guardo` di nuovo negli occhi per vedere se ci fossero lacrime.

Ma non ce n'erano. "Carino mio, se ti trasformi in un porcellino - disse Alice seriamente - io non vorro` avere piu` niente a che fare con te. Bada dunque!" Il poverino allora si rimise a singhiozzare (o a grugnire, chissa`, era difficile capirlo).

Alice, intanto, cominciava a riflettere:"Ma che cosa ne faro` di questo coso quando arrivero` a casa?" quando improvvisamente quella creatura grugni` di nuovo con tanta energia, che ella lo guardo` in faccia sgomenta. Questa volta non c'era dubbio: era un porcellino vero e proprio, ed Alice si convinse che sarebbe stato assurdo portarlo via.

Cosi` depose la bestiolina in terra, e si senti` sollevata quando la vide trottar via tranquillamente verso il bosco. "Se fosse cresciuto, sarebbe stato un ragazzo troppo brutto; ma diventera` un magnifico maiale, credo." E si ricordo` di certi fanciulli che conosceva, i quali avrebbero potuto essere degli ottimi porcellini, e stava per dire:"Se si sapesse il vero modo di trasformarli..." quando sussulto` di paura, scorgendo il Ghignagatto, seduto su un ramo d'albero a pochi passi di distanza.

Il Ghignagatto si mise soltanto a ghignare quando vide Alice."Sembra di buon umore - ella penso` - ma ha le unghie troppo lunghe, ed ha tanti denti!" percio` penso` che sarebbe stato meglio tenerselo buono.

"Caro Ghignagatto... - comincio` a parlargli con un poco di timidezza, perche` non sapeva se quel nome gli piacesse; comunque egli fece un ghigno piu` grande. "Ecco, gli piace." penso` Alice e continuo`:"Vuoi dirmi, per piacere, da che parte devo andare adesso?".
"Dipende molto dal luogo dove vuoi andare", rispose il Gatto.



"Fa lo stesso per me, da una parte o dall'altra... - disse Alice -...purche` vada da qualche parte. - riprese Alice come per spiegarsi meglio.

"Oh certo che ci arriverai! - disse il Gatto - Non hai che da camminare." Alice capi` che aveva ragione e tento` un'altra domanda:"Che razza di gente c'e` in questi dintorni?" chiese.

"Da questa parte - rispose il Gatto, facendo un cenno con la zampa destra - abita un Cappellaio e da questa parte - indicando con l'altra zampa - abita una Lepre di Marzo. Visita l'uno o l'altra, sono tutt'e due matti."

"Ma io non voglio andare dove c'e` gente matta!" disse Alice.

"Oh non ne puoi fare a meno, - disse il Gatto, - qui siamo tutti matti. Io sono matto, tu sei matta."

"Come sai che io sia matta?" domando` Alice.
"Tu sei matta, - disse il Gatto, - altrimenti non saresti venuta qui."

Non parve una ragione sufficiente ad Alice, ma continuo` ugualmente:"E come sai che tu sei matto?"

"Intanto, - disse il Gatto, - un cane non e` matto. Lo ammetti?"

"Ammettiamolo", rispose Alice.

"Bene, - continuo` il Gatto, - un cane ringhia quando e` arrabbiato, e scodinzola quando e` contento. Ora io brontolo quando sono contento e scodinzolo quando sono arrabbiato. Quindi sono matto."

"Io direi fare le fusa e non brontolare." disse Alice.

"Di' come ti pare. - rispose il Gatto. - Ci vai oggi dalla Regina a giocare a croquet?"

"Mi piacerebbe molto - disse Alice - ma non sono stata ancora invitata."

"Mi rivedrai da lei!" disse il Gatto, e scomparve.

Alice non se ne sorprese; si stava abituando a vedere cose strane. Mentre guardava ancora il posto occupato dal Gatto, eccolo ricomparire di nuovo.

"Ma dimmi un po', dove` il bambino? - disse il Gatto - Avevo dimenticato di domandartelo."

"Si e` trasformato in un porcellino", rispose Alice tranquillamente, come se la ricomparsa del Gatto fosse piu` che naturale.

"Lo immaginavo!", disse il Gatto, e svani` di nuovo.

Alice aspetto` un poco con la speranza di rivederlo, ma non ricomparve piu`, ed allora, pochi istanti dopo, prese la via dell'abitazione della Lepre di Marzo. "Di cappellai ne ho visti tanti - disse fra se` - sara` piu` interessante la Lepre di Marzo. Ma siccome siamo nel mese di maggio, non sara` poi tanto matta... almeno sara` meno matta che in marzo". Mentre diceva cosi` guardo` in su, e vide di nuovo il Gatto, seduto sul ramo d'un albero.

"Hai detto porcellino o porcellana?" domando` il Gatto.

"Ho detto porcellino, - rispose Alice - ma ti prego di non apparire e scomparire con tanta rapidita`, mi fai girare la testa!"

"Hai ragione" disse il Gatto; e questa volta svani` adagio adagio; cominciando con la fine della coda e finendo col ghigno, il quale rimase per qualche tempo sul ramo, dopo che tutto s'era dileguato.




"Roba da matti! Ho visto spesso un gatto senza ghigno - osservo` Alice - mai un ghigno senza Gatto. E' la cosa piu` strana che mi sia capitata!"

Non s'era allontanata di molto, quando arrivo` di fronte alla dimora della Lepre di Marzo. Penso` che fosse proprio quella, perche` i comignoli avevano la forma di orecchie, e il tetto era coperto di pelo. La casa era cosi` grande che ella non oso` avvicinarsi se non dopo aver sbocconcellato un po' del fungo che aveva nella mano sinistra, ed essere cresciuta quasi sessanta centimetri di altezza. Ma questo non la rendeva piu` coraggiosa. Mentre si avvicinava, diceva fra se`:"E se poi fosse pazza furiosa? Sarebbe stato meglio se avessi scelto di andare dal Cappellaio!"




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CAPITOLO VII
"Un the da matti"


Davanti alla casa, sotto un albero, stava una tavola apparecchiata, alla quale sedevano il Cappellaio e la Lepre. Stavano bevendo il the. Fra loro sedeva un Ghiro che dormiva saporitamente, mentre i due, appoggiandosi sulla sua testa, conversavano pacificamente. "Veramente un po' scomodo per il Ghiro - penso` Alice - ma quello dorme e sicuramente non ci fa caso!"

Il tavolo era grande, ma i tre stavano seduti l'uno addosso all'altro. "Occupato! occupato!" si misero a gridare in coro quando videro che Alice si avvicinava. "Non c'e` occupato che tenga!" disse energicamente Alice, e si mise a sedere su di una poltrona in capo al tavolo!




"Un goccio di vino?" chiese gentilmente la Lepre.

Alice diede un'occhiata sul tavolo, ma vide soltanto la teiera. "Ma io non vedo il vino!" rispose.

"Appunto, il vino non c'e`!" dichiaro` la Lepre.

"Allora proprio non e` gentile da parte tua offrirmi il vino se non c'e`!" replico` Alice arrabbiata.

"Ma nemmeno da parte tua e` stato gentile sedersi alla nostra tavola senza essere invitata", disse la Lepre.

"Ma io non potevo sapere che il tavolo fosse soltanto per voi. - si scuso` Alice - Ci sono piu` di tre coperti".

"Dovresti farti tagliare i capelli." disse il Cappellaio. Egli aveva osservato Alice per qualche istante con molta curiosita`, e quelle furono le sue prime parole.

"E tu non dovresti fare osservazioni personali", disse Alice in tono severo.

Il Cappellaio spalanco` gli occhi ma quel che rispose fu questo: "Perche` un corvo somiglia a uno scrittoio?"

"Ecco, ora staremo allegri! - penso` Alice - Sono contenta che abbiano cominciato a proporre degli indovinelli... Credo di poterlo indovinare", soggiunse ad alta voce.

"Intendi dire che credi che troverai la risposta?" domando` la Lepre di Marzo.

"Proprio cosi`" disse Alice.

"Allora dovresti dirci che cosa pensi" continuo` la Lepre.

"Lo sto facendo. - si affretto` a rispondere Alice - Io penso cio` che dico. Pensare e dire fa lo stesso".

"Eh, no cara. Se dici: Io vedo cio` che mangio o io mangio cio` che vedo, non e` la stessa cosa", disse il Cappellaio.




E la Lepre intervenne:"Con lo stesso diritto potresti dire che 'Cio` che mi appartiene mi piace' e` lo stesso di 'Cio` che mi piace, mi appartiene' ."

"Anche il Ghiro pur nel sonno, volle dire la sua:"Sarebbe come dire che: 'finche` dormo, vivo ' sia lo stesso di 'finche` vivo, dormo ' ."

"E' lo stesso per te", disse il Cappellaio. E qui la conversazione cadde, e tutti stettero muti per un poco, mentre Alice cercava di ricordarsi tutto cio` che sapeva sui corvi e sugli scrittoi, il che non era molto.

Il Cappellaio fu il primo a rompere il silenzio. "In quale giorno del mese siamo?" disse, rivolgendosi ad Alice. Aveva cavato l'orologio dal taschino e lo guardava con un certo timore, scuotendolo di tanto in tanto, e portandoselo all'orecchio.

Alice penso` un po' e rispose:"Oggi ne abbiamo quattro".

"Sbaglia di due giorni! - osservo` sospirando il Cappellaio - Te lo avevo detto che il burro avrebbe guastato il congegno!" soggiunse guardando con disgusto la Lepre di Marzo.

"Il burro era ottimo", rispose umilmente la Lepre di Marzo.

"Si` ma devono esserci entrate anche delle molliche di pane - borbotto` il Cappellaio - non dovevi metterlo dentro usando il coltello del pane."

La Lepre di Marzo prese l'orologio e lo guardo` malinconicamente: poi lo immerse nella sua tazza di the e l'osservo` di nuovo, ma non seppe far altro che ripetere l'osservazione di prima:"Il burro era ottimo, sai."

Alice, che l'aveva guardato curiosamente, con la coda dell'occhio, disse: "Che strano orologio! segna i giorni e non dice le ore."

"E a che scopo dovrebbe segnare le ore? Forse il tuo orologio segna gli anni?" brontolo` il Cappellaio.

"No - si affretto` a rispondere Alice - ma l'orologio segna lo stesso anno per molto tempo."

"Quello che fa il mio!" rispose il Cappellaio.

Alice ebbe un istante di grande confusione. Le pareva che l'osservazione del Cappellaio non avesse alcun senso; eppure egli parlava correttamente. "Non ti capisco bene!" disse allora con la maggiore delicatezza possibile.

"Il Ghiro s'e` addormentato, di nuovo!" disse il Cappellaio, e gli verso` sul naso un po' di the bollente.

Il Ghiro scosse la testa, e senza aprire gli occhi mormoro`:"Gia`! Gia`! Stavo per dirlo io."

"Credi ancora di aver risolto l'indovinello?" disse il Cappellaio, rivolgendosi di nuovo ad Alice.

"No, ci rinuncio. - rispose Alice - Qual e` la risposta?"

"Non ne ho la minima idea" rispose il Cappellaio.

"Nemmeno io!" rispose la Lepre di Marzo.

Alice sospiro` seccata, e disse:"Credo che potresti fare qualcosa di meglio piuttosto che perdere tempo, proponendo indovinelli senza senso."

"Se tu conoscessi il tempo come lo conosco io, - rispose il Cappellaio, - non diresti che lo perdiamo."

"Non capisco che cosa tu voglia dire!" osservo` Alice.

"Certo che non lo capisci! - disse il Cappellaio, scuotendo il capo con aria di disprezzo - Scommetto che tu non hai mai parlato col tempo."

"Forse no, - rispose prudentemente Alice - ma so che debbo battere il tempo quando studio la musica."

"Ahi, adesso si spiega, - disse il Cappellaio. - Il tempo non vuol essere battuto. Se tu fossi in buon rapporti con lui, farebbe dell'orologio cio` che tu vuoi. Per esempio, supponi che siano le nove, l'ora di andare a scuola, basterebbe che gli dicessi una parolina all' orecchio, e in un lampo la lancetta andrebbe avanti! Mezzogiorno, l'ora del pranzo!"

("Adesso vorrei proprio che fosse mezzogiorno..." bisbiglio` fra se` la Lepre di Marzo).

"Sarebbe magnifico, davvero - disse Alice pensosa - ma non avrei fame a quell'ora, capisci?"

"Forse non subito. Pero` potresti lasciare le lancette dell'orologio sulle dodici fin quando ti piacera`".

"E tu fai cosi`?" domando` Alice.

Il Cappellaio scosse tristemente la testa e rispose:"Io no. Nel marzo scorso abbiamo litigato... proprio quando divento` matta lei... - (e indico` col cucchiaio la Lepre di Marzo...) Fu al gran concerto dato dalla Regina di Cuori... li` dovetti cantare:


"Splendi, splendi, pipistrello!

Su pel cielo vai bel bello!"



"La sai questa canzone?"
"Ho sentito qualche cosa di simile" disse Alice.

"Senti come continua." disse il Cappellaio


Non t'importa d'esser solo

e sul mondo spieghi il volo.

Splendi. splendi...



A questo punto il Ghiro si riscosse, e comincio` a cantare nel sonno: "Splendi, splendi, splendi..." e continuo` fino a che gli dovettero dare dei pizzicotti per farlo tacere.
"Ebbene, avevo appena finito di cantare la prima strofa, - disse il Cappellaio, - quando la Regina si alzo` di colpo urlando:"Sta assassinando il tempo! Tagliategli la testa!"

"Feroce!" esclamo` Alice.

"E d'allora, - continuo` melanconicamente il Cappellaio, - il tempo non fa piu` nulla di quel che io voglio! Segna sempre le sei!"

Alice ebbe un'idea luminosa e domando`:"E' per questo forse che vi sono tante tazze apparecchiate?"

"Per questo, - rispose il Cappellaio, - e` sempre l'ora del the, e non abbiamo mai tempo di risciacquare le tazze negl'intervalli."

"Cosi` le fate girare a turno, immagino..." disse Alice.

"Esatto." disse il Cappellaio.

"Ma quando arrivate al punto di partenza, come fate?"

"Che discorso noioso! - disse la Lepre - Se cambiassimo argomento? Io propongo che la signorina qui ci racconti una storia!"

"Ma io non ne so di storie!" intervenne Alice.

"Allora ce la dira` il Ghiro! - gridarono entrambi - Risvegliati Ghiro!" e gli dettero dei forti pizzicotti dai due lati.

Il Ghiro apri` lentamente gli occhi, e disse con voce debole e roca: "Io non dormivo! Ho sentito parola per parola tutto quello che avete detto."

"Raccontaci una storia allora!" disse la Lepre.

"Oh, si` per piacere" imploro` Alice.

"Ma fai in fretta - aggiunse il Cappellaio - altrimenti ti addormenti prima che la storia sia finita".

"C'erano una volta tre sorelle, - comincio` in gran fretta il Ghiro. - Si chiamavano Elsa, Lucia e Tilla; e abitavano in fondo a un pozzo..."

"Di che cosa vivevano?" volle sapere Alice, che s'interessava sempre di tutto cio` che si puo` mangiare e bere.

"Vivevano di zucchero candito" rispose il Ghiro dopo averci pensato un po'.

"Non e` possibile! - osservo` Alice - Si sarebbero ammalate..."

"Si sono ammalate e molto anche" rispose il Ghiro.

Alice cerco` di immaginarsi quella strana maniera di vivere, ma ne fu piu` che confusa e continuo`:"Ma perche` se ne stavano in fondo a un pozzo?"

"Vuoi forse ancora un po' di the?" chiese la Lepre "Te lo verso?".

"Ma finora non ne hai versato proprio per niente!" rispose Alice piuttosto seccata.

"Vuoi dire che non ne puoi prendere meno. - disse il Cappellaio - "E' molto piu` facile prenderne piu` di nulla che meno di nulla."

"Nessuno ha domandato il tuo parere!" aggiunse Alice.

"Chi e` ora che fa delle osservazioni personali?" domando` il Cappellaio con aria di trionfo.

Alice non seppe che rispondere; ma prese una tazza di the con pane e burro, e rivolgendosi al Ghiro, gli ripete` la domanda:"Perche` se ne stavano in fondo a un pozzo?"

Il Ghiro si prese un minuto o due per riflettere, e rispose:"Era un pozzo di zucchero candito".

"Ma non s'e` sentita mai una cosa simile! Interruppe Alice sdegnata. Ma la Lepre di Marzo e il Cappellaio facevano:"Ssst! Ssst!", e il Ghiro continuo` burbero:"Se ti comporti cosi` male, racconta tu allora la fine della storia!"

"No, continua pure! - disse Alice molto umilmente - Non ti interrompero` piu`. Forse esiste davvero un pozzo cosi`".

"Soltanto uno!", rispose il Ghiro indignato. Ad ogni modo acconsenti` a continuare:"E quelle tre sorelle... imparavano a trarne..."

"Che cosa traevano?" domando` Alice, dimenticando che aveva promesso di tacere.

"Zucchero candito!", rispose il Ghiro, questa volta senza riflettere.

"Mi occorre una tazza pulita, - interruppe il Cappellaio - spostiamoci tutti d'un posto!"

E mentre parlava si mosse, e il Ghiro lo segui`: la Lepre di Marzo occupo` il posto del Ghiro, e Alice si sedette di mala voglia al posto della Lepre di Marzo. Il solo Cappellaio s'avvantaggio` dello spostamento: e Alice si trovo` peggio di prima, perche` la Lepre di Marzo s'era rovesciato il bricco del latte nel piatto.

Alice, senza voler offendere di nuovo il Ghiro disse con molta discrezione:"Non capisco bene. Di dove traevano lo zucchero candito?"

"Tu puoi trarre l'acqua da un pozzo d'acqua? - disse il Cappellaio; - cosi` immagina: potresti trarre zucchero candito da un pozzo di zucchero candito... eh! scioccherella!"

"Ma esse erano nel pozzo!" disse Alice al Ghiro.

"Sicuro, e ci stavano bene!" disse il Ghiro.

A questa risposta sballata, Alice tacque per un bel po'.

"Imparavano a trarre, - continuo` il Ghiro, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi, perche` cadeva di sonno - e traevano cose d'ogni genere... tutte le cose che cominciano con la T..."

"E perche` la T?" chiese Alice.

"Perche` no?" grido` la Lepre di Marzo.

Alice tacque di nuovo.

Il Ghiro intanto aveva chiuso gli occhi cominciando a sonnecchiare; ma, pizzicato dal Cappellaio, si desto` con un grido, e continuo`:"Che cominciano con una T come una trappola, un topo, una topaia, un troppo... gia` tu dici:"il troppo stroppia", oh, non hai mai visto come si tira il troppo stroppia?"

"Veramente, ora che me lo chiedi, - disse Alice, molto confusa, - non saprei..."

"Allora stai zitta!" disse il Cappellaio.

A questo punto Alice perse la pazienza , alzo` i tacchi e se ne ando` via. La Marmotta si riaddormento` immediatamente e gli altri due fecero finta di niente, come se non si fossero nemmeno accorti che stesse andando via. Alice si volto` un paio di volte, nella speranza che la richiamassero. Macche`! I due erano intenti a spingere il povero Ghiro nella teiera.




"Non ci tornero` mai piu`! - disse Alice entrando nel bosco. - E' la gente piu` stupida che io abbia mai conosciuto".

Mentre diceva cosi`, noto` che in uno degli alberi c'era una porticina. "Che strano - penso` - Gia`, ma oggi e` il giorno delle sorprese! Entriamo a vedere che c'e`".

Si trovo` di nuovo nella vasta sala, e presso il tavolino di cristallo. "Questa volta sapro` far meglio.", disse, prese la chiavetta d'oro ed apri` la porta che conduceva nel giardino. Poi si mise a sbocconcellare il fungo (ne aveva conservato un pezzetto in tasca), finche` ebbe raggiunto trenta centimetri d'altezza o giu` di li`; percorse poi il piccolo corridoio e si trovo` finalmente nel meraviglioso giardino in mezzo alle aiuole fiorite, e alle freschissime fontane.




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CAPITOLO VIII
"Una partita a Croquet con la Regina"


Un gran cespuglio di rose stava presso l'ingresso del giardino. Le rose sbocciate erano bianche, ma c'erano li` intorno tre giardinieri occupati a dipingerle di rosso. "E' strano..." penso` Alice, e s'avvicino` per osservarli. Come fu loro accanto, senti` dire da uno:"Fai atttenzione, Cinque! Non mi schizzare la tua tinta addosso!"




"E che vuoi da me? - rispose Cinque in tono burbero - Sette mi ha urtato il braccio."

Sette lo guardo` e disse: "Ma bene! Cinque da` sempre la colpa agli altri!"

"Tu faresti meglio a tacere! - disse Cinque - Proprio ieri la Regina diceva che tu meriteresti di essere decapitato!"

"Perche`?" domando` il primo che aveva parlato.

"Questo non ti riguarda, Due!" rispose Sette.

"Si`, che lo riguarda! - disse Cinque; - e glielo diro` io perche`... hai portato al cuoco bulbi di tulipani invece di cipolle."

Sette scaglio` lontano il pennello, e stava li` li` per dire:"Di tutte le cose le piu` ingiuste...", quando incontro` gli occhi di Alice e si mangio` il resto della frase. Gli altri allora si voltarono e vedendo Alice le fecero tutti insieme una profonda riverenza.

"Volete gentilmente dirmi - domando` Alice con molta timidezza - perche` state dipingendo quelle rose?"

Cinque e Sette non risposero, ma diedero uno sguardo a Due. Due disse allora sottovoce:"Perche` questo qui doveva essere un rosaio di rose rosse. Per sbaglio ne abbiamo piantato uno di rose bianche. Se la Regina se ne accorgesse, ci farebbe tagliare la testa, a tutti e tre. Cosi`, signorina, facciamo il possibile per rimediare prima ch'essa venga a...". In quell'istante Cinque che guardava attorno pieno d'ansia, grido`:"La Regina! La Regina!" e i tre giardinieri si gettarono immediatamente a faccia a terra. Si senti` un gran scalpicci`o, e Alice si volto` curiosa a vedere la Regina.

Prima comparvero dieci soldati armati di bastoni: erano della forma dei tre giardinieri, rettangolari e piatti, e dai quattro angoli spuntavano le mani e i piedi. Seguivano dieci cortigiani, tutti pieni di diamanti; e sfilavano a due a due come i soldati. Venivano quindi i principi reali, divisi a coppie e che saltellavano a due a due, tenendosi per mano: erano ornati di cuori. Poi sfilavano gli invitati, la maggior parte re e regine, e fra loro Alice riconobbe il Coniglio Bianco che discorreva in fretta nervosamente, sorridendo di qualunque cosa gli si dicesse. Egli passo` dritto senza badare ad Alice. Seguiva il fante di cuori, che portava la corona reale sopra un cuscino di velluto rosso; e in fondo a tutta questa gran processione venivano il Re e la Regina di Cuori.

Alice stette un po' a pensare se dovessse buttarsi a terra anche lei, come avevano fatto i tre giardinieri. Ma non ricordo` di aver sentito parlare di una tale usanza al passare di un corteo. "E poi - riflette` - a quale scopo si farebbero le processioni, se tutti dovessero chinare la faccia in basso, cosi` da non poterle nemmeno guardare?". Rimase percio` in piedi e aspetto`.

Quando il corteo arrivo` di fronte ad Alice, tutti si fermarono e la guardarono; e la Regina grido` in tono severo:"Chi e` costei?" e si volse al fante di cuori, il quale per tutta risposta sorrise e s'inchino`.

"Idiota!" gli disse la regina. Poi si volse verso Alice e la interrogo` direttamente:"Come ti chiami, fanciulla?" domando`.

"Con il Suo permesso, mi chiamo Alice, Maesta`" rispose garbatamente Alice. E fra se` penso`:"In fin dei conti, si tratta soltanto di carte da gioco. Non devo aver paura".

"E quelli chi sono?" - domando` la Regina indicando i tre giardinieri col viso a terra intorno al rosaio; perche` stando cosi` in quella posizione, il disegno posteriore rassomigliava a quello del resto del mazzo, e la Regina non poteva distinguere se fossero giardinieri, soldati, cortigiani, o tre dei suoi stessi figliuoli.

"Come posso saperlo io? - rispose Alice meravigliata lei stessa del suo coraggio - Non sono cose che mi riguardano."

La Regina divento` rossa per la rabbia e, dopo averla fissata selvaggiamente come una bestia feroce, grido`:"Tagliatele la testa, subito!"




"Siete matta!" rispose Alice a voce alta e con fermezza; e la Regina tacque.

Il Re mise la mano sul braccio della Regina, e disse timidamente:"Rifletti, cara mia, e` solo una bambina!"

La Regina irata gli volto` le spalle e disse al fante:"Voltali!"

Il fante obbedi`, e con un piede volto` attentamente i giardinieri.

"Alzatevi!" grido` la Regina, e subito i tre giardinieri saltarono in piedi e si misero a fare inchini a destra e a sinistra.

"Basta! - urlo` la Regina - Mi fate girare la testa!". Poi, volgendosi verso il cespuglio di rose chiese:"Che cosa stavate facendo qui?".

"Con buona grazia della Maesta` vostra, - rispose Due umilmente, piegando il ginocchio a terra, - tentavamo..."

"Ho gia` capito! - disse la Regina, che aveva gia` osservato le rose, - Tagliate loro la testa!" e il corteo reale si rimise in moto, lasciando indietro tre soldati, per mozzare la testa agli sventurati giardinieri, che corsero da Alice per esserne protetti.

"Non vi decapiteranno!" disse Alice, e li mise in un grosso vaso da fiori accanto a lei. I tre soldati vagarono qua e la` per qualche minuto in cerca di loro, e poi tranquillamente seguirono gli altri.

"Avete mozzato loro la testa?" - grido` la Regina.

"Maesta`, le loro teste se ne sono andate!" risposero i soldati.

"Bene! - grido` la Regina - Si gioca a croquet?"

I soldati tacevano e guardavano Alice, pensando che la domanda fosse rivolta a lei.

"Si`!" grido` Alice.

"E allora andiamo!" comando` la Regina. Alice si mise nel corteo con gli altri, curiosa di cio` che sarebbe accaduto.

"Che bel tempo!" disse una timida voce accanto a lei. Ella s'accorse di camminare accanto al Coniglio bianco, che la guardava in viso con una certa ansia.

"Molto bello" disse Alice:“ E dov'e` la Duchessa?"

"Ssst! Ssst!" disse il Coniglio a voce bassa, con gran fretta. Si guardo` ansiosamente intorno levandosi in punta di piedi e avvicino` la bocca all'orecchio della bambina:"E' stata condannata a morte!" disse.

Ma perche`?" disse Alice.

"Hai detto: che peccato?" chiese il Coniglio.

"No, io non ho detto: che peccato! Ho chiesto: perche?".

"Ha dato uno schiaffo alla Regina..." comincio` il coniglio. Alice scoppio` a ridere. "Zitta! - bisbiglio` il Coniglio tutto tremante - Ti potrebbe sentire la Regina! Sai, e` arrivata tardi, e la Regina ha detto..."

"Ai vostri posti!" - grido` la Regina con voce tonante. E gli invitati si sparpagliarono in tutte le direzioni, l'uno rovesciando l'altro: finalmente, dopo un po', poterono disporsi in un certo ordine, e il gioco comincio`. Alice pensava che in vita sua non aveva mai visto un terreno piu` curioso per giocare a croquet; era tutto a solchi e zolle; le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi.

La principale difficolta` consisteva nel fatto che Alice non sapeva come maneggiare il suo fenicottero; ma poi riusci` a tenerselo bene avviluppato sotto il braccio, con le gambe penzoloni; quando gli allungava il collo, pero`, e si preparava a picchiare il riccio con la testa, il fenicottero girava il capo e poi si metteva a guardarla in faccia con una espressione cosi` buffa che ella non poteva tenersi dallo scoppiare dalle risa. Dopo che gli aveva fatto abbassare la testa, e si preparava a ricominciare, ecco che il riccio si era svolto, e se n'andava via. Oltre a questo c'era sempre una zolla o un solco li` dove voleva scagliare il riccio, e siccome i soldati incurvati si alzavano e andavano vagando qua e la`, Alice dovette concludere che quel gioco era veramente difficile.




Gli altri giocatori, giocavano tutti insieme alla rinfusa e litigavano fra di loro, cosi` che la Regina monto` su tutte le furie e comincio` a girare per il campo da gioco urlando:"Tagliategli la testa! - oppure - Tagliate la testa a tutti!"

"Alice comincio` a sentirsi un po' a disagio: e` vero che non aveva avuto nulla da dire con la Regina ma poteva succedere da un momento all'altro, e penso`:"Che ne sara` di me? Qui c'e` la smania di troncare teste. Strano che ci sia ancora qualcuno che abbia il collo a posto!"

Gia` stava pensando di svignarsela, quando scorse uno strano spettacolo in aria. Prima ne resto` sorpresa, ma dopo aver guardato qualche istante, vide un ghigno e disse fra se`:"E' il Ghignagatto: potro` finalmente parlare con qualcuno."
"Come va il gioco?" disse il Gatto, appena ebbe tanto di bocca da poter parlare.

Alice aspetto` che apparissero gli occhi, e poi fece un cenno col capo. "E' inutile parlargli, - penso` - aspettiamo che appaiano le orecchie, almeno una." Di li` a poco apparve tutta la testa, e Alice depose il suo fenicottero, e comincio` a raccontare le vicende del giuoco, lieta che qualcuno le prestasse attenzione. Il Gatto intanto dopo aver messo in mostra la testa, penso` bene di non far apparire il resto del corpo.

"Mi sembra che qui non si giochi come si deve e che non si osservino le regole del gioco. Tutti gridano, litigano fra di loro, non si riesce a capire niente e poi, con questa storia che le palline da gioco sono dei ricci vivi e che gli archi sono soldati piegati in due, non si riesce a concludere nulla. Per esempio, io stavo per dare scacco matto alla regina con il mio riccio, e quello se ne va da un'altra parte".

"Ti piace la Regina?" domando` il Gatto a voce bassa.

"Per niente - rispose Alice, e stava per aggiungere - e` tanto..." quando si accorse che la Regina le stava vicino e l'ascoltava, allora continuo`:"...tanto brava a giocare a croquet che e` inutile voler competere con lei!"

La Regina sorrise e ando` oltre.

"Ma con chi parli?" domando` il Re che s'era avvicinato ad Alice, e osservava la testa del Gatto con grande curiosita`.

"Con un mio amico... il Ghignagatto, - disse Alice - vorrei presentarlo a Vostra Maesta`."

"Quel suo sguardo non mi piace, - rispose il Re - pero` se vuole, puo` baciarmi la mano."

"No, grazie." rispose subito il Gignagatto.

"Non essere insolente, - disse il Re - e non mi guardare in quel modo." E parlando si rifugio` dietro ad Alice.

"Un gatto puo` guardare in faccia un Re, - osservo` Alice, - l'ho letto in qualche libro, ma non ricordo dove."

"Va bene ma bisogna mandarlo via!" disse il Re risoluto e chiamo` la Regina che passava in quel momento:"Cara mia, vorrei che si mandasse via quel Gatto!"

La Regina conosceva un solo modo per sciogliere tutte le difficolta`, grandi o piccole, e senza neppure guardare intorno, grido`:"Tagliategli la testa!"

"Andro` io stesso a chiamare il boia!" disse il Re, e ando` via di corsa.

Alice penso` che intanto poteva ritornare per vedere il progresso del gioco, mentre udiva da lontano la voce della Regina che s'adirava urlando. Ella aveva sentito gia` condannare a morte tre giocatori che avevano perso il loro turno. Tutto cio` non le piaceva, perche` il gioco era diventato una tal confusione ch'ella non sapeva piu` se fosse il suo turno oppure no. E si mise in cerca del suo riccio.

Il riccio stava allora combattendo contro un altro riccio; e questa sembro` ad Alice una buona occasione per batterli a croquet l'uno contro l'altro: ma c'era una difficolta`: il suo fenicottero era dall'altro lato del giardino, e Alice lo vide sforzarsi inutilmente di volare su un albero.

Quando le riusci` d'afferrare il fenicottero e a ricondurlo sul terreno, la battaglia era finita e i due ricci s'erano allontanati. "Non importa, - penso` Alice - tanto tutti gli archi se ne sono andati dall'altro lato del terreno". Si accomodo` per benino sotto il braccio il fenicottero per non farselo scappare piu`, e ritorno` dal Gatto per riattaccare discorso con lui.

Ma con sorpresa trovo` una gran folla raccolta intorno al Ghignagatto; il Re, la Regina e il boia urlavano tutti e tre insieme, e gli altri erano silenziosi e malinconici.




Quando videro Alice, i tre litiganti si rivolsero a lei perche` risolvesse la lite. Essi le ripeterono i loro argomenti; ma siccome parlavano tutti in una volta, Alice non ci capi` un bel niente.

Il boia sosteneva che non si poteva tagliar la testa dove mancava un corpo da cui staccarla; che non aveva mai avuto da fare con una cosa simile prima, e che non voleva cominciare a farne alla sua eta`.

Il Re sosteneva che una testa si puo` tagliare in ogni caso e che il boia non doveva dire tante stupidaggini.

L'argomento della Regina era questo: se non si fosse eseguito immediatamente il suo ordine, avrebbe ordinato l'esecuzione di quanti la circondavano. (E quest'ingiunzione aveva dato a tutti quell'aria grave e piena d'ansia.)

Alice non seppe dir altro che questo: "Il Gatto e` della Duchessa: sarebbe meglio interpellare lei!"

"Ella e` in prigione, - disse la Regina al carnefice - Conducetela qui." E il boia volo` come una saetta.

Andato via il boia, la testa del Gatto comincio` a dileguarsi, e quando egli torno` con la Duchessa non ce n'era piu` traccia: il Re e il boia corsero qua e la` per ritrovarla, mentre il resto della brigata si rimise a giocare.




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CAPITOLO IX
"La Storia della falsa Tartaruga"


"Non puoi immaginare la mia gioia nel rivederti, bambina mia!" disse la Duchessa ad Alice, prendendola a braccetto.

Alice fu lieta di vederla di buon umore, e penso` che quando l'aveva vista in cucina era stato il pepe, forse, a renderla intrattabile.

"Se io saro` un giorno Duchessa - disse a se stessa - non vorro` nemmeno un granello di pepe nella mia cucina. Per il troppo pepe, uno diventa pepato, cosi` come per il troppo aceto, uno diventa acido e per la troppa camomilla uno diventa amaro. La panna invece fa i bambini dolci. Questo dovrebbero saperlo i grandi. Almeno ne darebbero un po' di piu` ai loro bambini!" (Le pareva di aver fatto una grande scoperta).

In quell'istante aveva quasi dimenticato la Duchessa, e sussulto` quando si senti` dire all'orecchio:"Tu stai pensando a qualcosa, cara mia, e dimentichi di parlarmi. Al momento non so quale sia la morale di tutto questo, ma forse me ne ricordero` fra breve."




"Ma forse non c'e` nessuna morale!" oso` dire prudentemente Alice.

"Zitta! Zitta! Bambina! - disse la Duchessa - Ogni cosa ha la sua morale, se si sa trovarla." E cosi` dicendo si strinse ancora di piu` al braccio di Alice.

Ad Alice non piaceva esserle cosi` vicina; primo perche` la Duchessa era bruttissima; secondo, perche` era cosi` bassa che poggiava il mento sulle spalle d'Alice, un mento terribilmente aguzzo! Ma non volle mostrarsi scortese, e sopporto` quella noia con molta buona volonta`.

"Il gioco va meglio, ora." disse per alimentare un po' la conversazione.
"Eh si`, - rispose la Duchessa, - e questa e` la morale: e` l'amore, e` l'amore che fa girare il mondo."

"Ma qualcuno ha detto invece, - bisbiglio` Alice, - che se ognuno badasse a se`, il mondo andrebbe meglio."

"Ma si`, in fondo e` poi la stessa cosa" concluse la Duchessa pungendo sempre di piu` la spalla di Alice con il suo mento. "E la morale nel nostro caso e` questa: pensa sempre al che cosa, il come vien sempre da solo..."

"Come si diletta a trovare la morale in tutto!" penso` Alice.

"Ti meravigli forse - chiese la Duchessa - perche` non ti abbraccio piu` forte, ma e` per via del fenicottero. E' veramente domestico? Facciamo una prova?"

"Ma, pu`o` darsi che becchi!" rispose Alice che non era tanto entusiasta della proposta.

"E' vero, - disse la Duchessa, - i fenicotteri e la senape non fanno che mordere, e la morale e` questa: non fidarti di nessun uccello, se prima non abbia cantato".

"Ma la senape non e` un uccello!" - osservo` Alice.

"Bene, come sempre - disse la Duchessa, - tu dici le cose con molta chiarezza!"

"E' un minerale, credo." disse Alice.

"Gia`, - rispose la Duchessa, che pareva accettasse tutto quello che diceva Alice - in questi dintorni c'e` una miniera di senape e la morale e` questa: cio` che e` tanto e` mio e cio` che e` poco e` mio".

"Adesso che mi ricordo - interruppe Alice - la senape e` un vegetale. Non sembra una pianta, eppure e` una pianta."

"Proprio cosi`, - disse la Duchessa, - e la morale e` questa:"Sii cio` che vuoi parere o, se vuoi che te la dica piu` semplicemente:"Non credere mai d'essere diversa da quella che appari agli altri di esser o d'esser stata, o che tu possa essere, e l'essere non e` altro che l'essere di quell'essere ch'e` l'essere dell'essere, e non diversamente."

"Penso - si scuso` Alice - che capirei meglio se vedessi scritto quello che ha detto. Ho una tale confusione in testa!"

"Questo e` nulla rispetto a quel che potrei dire, se ne avessi voglia" aggiunse la Duchessa.

"Oh, non si scomodi a dire qualche altra cosa piu` lunga!" disse Alice.

"Ma non ti preoccupare! - rispose la Duchessa - Ti faccio un regalo di cio` che ho detto finora."

"Un regalo che non costa nulla, - penso` Alice - meno male che negli onomastici e nei compleanni non si fanno regali simili." Ma non oso` dirlo a voce alta.

"Sempre pensosa?" domando` la Duchessa, dando alla spalla della bambina un altro colpo del suo mento acuminato.

"Ma avro` il diritto di pensare, no?" replico` Alice che incominciava a trovarsi a disagio.

E la Duchessa:"La stessa ragione che hanno i maiali di volare: e la moral..."

A questo punto, con gran sorpresa d'Alice, la voce della Duchessa ando` morendo e si spense in mezzo alla sua parola favorita: morale. Il braccio che era in quello d'Alice comincio` a tremare. Alice alzo` gli occhi, e vide la Regina ritta di fronte a loro due, le braccia conserte, le ciglia aggrottate, come un uragano.

"Buongiorno Maesta`!" incomincio` la Duchessa con voce flebile.

"Vi avverto a tempo, - grido` la Regina, pestando i piedi per terra; - o voi o la vostra testa dovranno andarsene immediatamente! Scegliete!"

La Duchessa scelse e in un attimo spari`.

"Ritorniamo al gioco." disse la Regina ad Alice; ma Alice era troppo atterrita, e non rispose sillaba, seguendola lentamente sul terreno.

Gli invitati, intanto, approfittando dell'assenza della Regina, si riposavano all'ombra: pero` non appena la videro ricomparire, tornarono ai loro posti; la Regina accenno` soltanto che se avessero ritardato un momento solo, avrebbero perduto la vita.

Mentre giocavano, la Regina continuava a litigare con gli altri giocatori, gridando sempre:"Tagliategli la testa! - oppure - Tagliatele la testa!". Coloro che erano condannati a morte erano arrestati da soldati che dovevano servire anche da archi per il gioco, e cosi` in meno di mezz'ora, non c'erano piu` archi, e tutti i giocatori, eccetto il Re, la Regina e Alice, aspettavano la loro esecuzione.

Finalmente la Regina lascio` il gioco, senza piu` fiato, e disse ad Alice: "Non hai ancora visto la Falsa-Tartaruga?"

"No, - disse Alice - Non so neppure che cosa sia una Falsa-Tartaruga."

"E' quella cosa con cui si fa la minestra di Falsa-Tartaruga." disse la Regina.

"Non ne ho mai visto, ne` sentito parlare." soggiunse Alice.

"Su, vieni con me! - aggiunse la Regina - Lei stessa ti raccontera` la sua storia."

Mentre si avviavano, Alice udi` che il Re diceva a voce bassa ai condannati:"Siete tutti graziati! Via!". "Meno male!" penso` Alice, poiche` tutte quelle condanne l'avevano rattristata parecchio.



Fatti pochi passi, Alice e la Regina si trovarono alla presenza di un Grifone che giaceva al sole e dormiva. "Su, pigrone! - disse la Regina - Alzati e conduci la signorina dalla Falsa-Tartaruga, affinche` essa le racconti la sua storia: io devo essere presente a diverse esecuzioni capitali che ho ordinato." Cosi` dicendo se ne ando`, lasciando Alice sola con il Grifone.

Il Grifone si alzo`, si sfrego` gli occhi, aspetto` che la Regina sparisse interamente e poi si mise a sghignazzare. "Che divertimento!" disse poi il Grifone, parlando un po' per se` e un po' per Alice.

"Quale divertimento ?" disse Alice.

"Ma lei! - rispose il Grifone - E' tutto frutto della sua fantasia. Qui non viene mai giustiziato nessuno. Vieni adesso!"

"Qui tutti mi dicono: Vieni! - osservo` Alice, seguendolo lentamente - Non sono mai stata comandata cosi` in tutta la mia vita!"

Non s'erano allontanati di molto che scorsero in distanza la Falsa-Tartaruga, seduta malinconicamente sull'orlo d'una rupe. Avvicinatasi un po' di piu`, Alice la senti` sospirare come se le si rompesse il cuore. Ne ebbe compassione e domando` al Grifone:"Che ha?", e il Grifone rispose quasi con le stesse parole di prima:"E' tutto frutto della sua fantasia. Non ha nulla. Vieni!"

E andarono verso la Falsa-Tartaruga, che li guardo` con certi occhioni pieni di lacrime, ma senza parlare.

"Questa bambina, - disse il Grifone, - vorrebbe sentire la tua storia."

"La mia storia? - disse con voce cupa la Tartaruga - E' una storia molto triste. Ma sedetevi, ve la raccontero`."

E sedettero ma per qualche minuto nessuno parlo`. Alice intanto osservo` fra se`:"Come potra` mai finire se non comincia mai?" Ma aspetto` pazientemente.

"Una volta, - disse finalmente la Falsa-Tartaruga con un gran sospiro, - io ero una Tartaruga vera."

Quelle parole furono seguite da un lungo silenzio, interrotto da qualche "Hjckrrh!" del Grifone e da continui e grossi singhiozzi della Falsa-Tartaruga. Alice stava per alzarsi e dirle:"Grazie della vostra storia interessante." quando penso` che ci doveva essere qualche altra cosa, e sedette tranquillamente senza dir nulla.

"Quando eravamo piccini, - riprese finalmente la Falsa-Tartaruga, un po' piu` tranquilla, ma sempre singhiozzando di quando in quando, - andavamo a scuola al mare. La maestra era una vecchia tartaruga...e noi la chiamavamo testuggine..."

"Ma perche` la chiamavate Testuggine se era una Tartaruga?" volle sapere Alice.

"La chiamavamo testuggine, perche` c'insegnava!" disse la Falsa-Tartaruga con dispetto:"Hai poco sale in zucca!"

"Ti dovresti vergognare di fare domande cosi` semplici!" aggiunse il Grifone; e poi tacquero ed entrambi fissarono gli occhi sulla povera Alice che avrebbe preferito sprofondare sottoterra. Finalmente il Grifone disse alla Falsa-Tartaruga:"Va avanti, cara mia! E non ti dilungare tanto!"

E cosi` la Falsa-Tartaruga continuo`:"Andavamo a scuola al mare, benche` tu non lo creda..."

"Non ho mai detto questo!" interruppe Alice.

"Si` che l'hai detto!" disse la Falsa-Tartaruga .

"Zitta!" soggiunse il Grifone, prima che Alice potesse rispondere e la Falsa-Tartaruga continuo`.

"Noi fummo educate benissimo... infatti andavamo a scuola tutti i giorni..."

"Anch'io andavo a scuola ogni giorno, - disse Alice - non serve vantarsi per cosi` poco."

"E avevate dei corsi facoltativi?" domando` la Falsa-Tartaruga con ansia.

"Si`, - rispose Alice - imparavamo il francese e la musica."

"E il bucato?" disse la Falsa-Tartaruga.

"No, il bucato, no." disse Alice indignata.

"Ah! e allora che scuola era? - disse la Falsa-Tartaruga, come se si sentisse sollevata. - Nella nostra, c'era nella fine del programma: corsi facoltativi: francese, musica, e bucato."

"E vivendo in fondo al mare, - disse Alice, - a che vi serviva?"

"Beh, io non avevo queste lezioni. Ero troppo povera e nessuno poteva pagarmele. Io avevo soltanto le materie obbligatorie" spiego` la Falsa-Tartaruga.

"Ed erano?" domando` Alice.

"Annaspare e contorcersi, prima di tutto. - rispose la Falsa-testuggine - E poi le diverse operazioni dell'aritmetica... ambizione, distrazione, bruttificazione, e derisione."

"Non ho mai sentito parlare della bruttificazione. - disse Alice - Che cos'e`?"

Il Grifone alzo` le due zampe in segno di sorpresa ed esclamo`:"Mai sentito parlare di bruttificazione! Ma sai che significhi bellificazione, spero."

"Si`, - rispose Alice, ma un po' incerta - significa... rendere... qualche cosa... piu` bella."

"Ebbene, - continuo` il Grifone, - se non sai che significa bruttificazione mi par che ti manchi il comprendonio."

Alice non si sentiva incoraggiata a fare altre domande. Cosi` si volse alla Falsa-Tartaruga e disse:"Che altro dovevate imparare?"

"C'era il mistero, rispose la Falsa-Tartaruga, contando i soggetti sulle natatoie... - il mistero antico e moderno con la marografia: poi il disdegno... il maestro di disdegno era un vecchio grongo, e veniva una volta la settimana: c'insegnava il disdegno, il passaggio, e la frittura ad occhio."

"E che era?" disse Alice.

"Non te la potrei mostrare, - rispose la Falsa-Tartaruga, - perche` vedi son tutta d'un pezzo. E il Grifone non l'ha mai imparata."

"Non ebbi tempo, - rispose il Grifone - ma studiai le lingue classiche e bene. Ebbi per maestro un vecchio granchio, sapete."

"Non andai mai da lui, - disse la Falsa-Tartaruga con un sospiro - dicevano che insegnasse Catino e Gretto."

"Proprio cosi`." disse il Grifone, sospirando anche lui, ed entrambe le bestie si nascosero la faccia tra le zampe.

"Quante ore di lezione al giorno avevate?" disse prontamente Alice per cambiar discorso.

"Dieci ore il primo giorno, - rispose la Falsa-Tartaruga - nove il secondo, e cosi` di seguito."

"Che strano metodo!" esclamo` Alice.

"Ma e` questa la ragione perche` si chiamano lezioni, - osservo` il Grifone - perche` c'e` una lesione ogni giorno."

Era una cosa nuova per Alice, e ci penso` su un po', prima di fare questa osservazione:"Allora l'undicesimo giorno era vacanza?"

"Naturalmente!" disse la Falsa-Tartaruga.

"E che si faceva il dodicesimo?" domando` interessata Alice.

"Basta con le lezioni! Dille qualcosa dei giochi ora!" interruppe il Grifone, in tono molto risoluto.




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CAPITOLO X
"La Quadriglia delle Aragoste"


La Falsa-Tartaruga caccio` un gran sospiro e si asciugo` le lacrime. Guardo` Alice, e cerco` di parlare, ma per qualche istante ne fu impedita dai singhiozzi. "Come se avesse un osso in gola." disse il Grifone, e si mise a scuoterla e a batterle la schiena. Finalmente la Falsa-Tartaruga recupero` la voce e con le lacrime che le solcavano le gote, riprese:

"Forse tu non sei vissuta a lungo sott'acqua... ("Certo che no!" penso` Alice) e forse non sei mai stata presentata ad un'aragosta..." Alice stava per dire:"Una volta assaggiai..." ma tronco` la frase e disse:"No mai." "Cosi` tu non puoi farti un'idea della bellezza della quadriglia delle aragoste" disse con importanza la Tartaruga.

"E' vero - confesso` Alice - come si balla la vostra quadriglia?"

"Ecco, - disse il Grifone, - prima di tutto si forma una linea lungo la spiaggia..."

"Due! - grido` la Falsa-Tartaruga - Foche, testuggini di mare, salmoni e simili: poi quando si sono tolte dalla spiaggia le meduse..."

"E ce ne vuole di tempo..." insinuo` il Grifone.

"Due passi avanti..."

"Ognuno con un'aragosta come partner" grido` il Grifone.

"Esatto! - continuo` la Falsa-Tartaruga - Poi si fanno due passi indietro, si torna al posto..."

"...e ci si scambiano le aragoste." continuo` il Grifone.

"E poi capisci? - continuo` la Falsa-Tartaruga, - si scaraventano le..."

"Le aragoste!" urlo` il Grifone, saltando come un matto.

"...nel mare, piu` lontano che si puo`..."

"Quindi si nuota dietro di loro!" strillo` il Grifone.

" E si fa la capriola in mare!" grido` la Falsa-Tartaruga, saltellando pazzamente qua e la`.

"Si scambiano di nuovo le aragoste!" Vocio` il Grifone.

"Si ritorna di nuovo alla riva, e... e questa e` la prima figura." disse la Falsa-Tartaruga, abbassando di nuovo la voce. E le due bestie che poco prima saltavano come matte, si sedettero malinconicamente e guardarono Alice.

"Deve essere un bellissimo ballo!" osservo` Alice.

"Vuoi vederne un saggio?" domando` la Falsa-Tartaruga.

"Mi piacerebbe molto." disse Alice.

"Coraggio, proviamo la prima figura! disse la Falsa-Tartaruga al Grifone - Possiamo farla senza aragoste. Chi canta?"

"Canta tu. - disse il Grifone- Io ho dimenticato le parole."



E cominciarono a ballare solennemente intorno ad Alice, pestandole i piedi di quando in quando, e agitando le zampe anteriori per battere il tempo. La Falsa-Tartaruga cantava adagio adagio malinconicamente:

"Corri", disse il Merluzzo alla Lumaca, "Gia` le Aragoste con la Tartaruga la riva hanno raggiunta. Vuoi ballare o no, con me, la quadriglia sul mare?"

"Sapessi che piacer con l'aragoste andar sull'onde per lontane rive! Io ti ringrazio. Ma lontan sul mare" disse la Lumaca "non ci voglio andare:"


Presto vuoi, non vuoi danzare?
Presto vuoi, non vuoi danzare?

"Sciocchina, non sai che rive piu` belle ci attendono di la`, meravigliose?" fece il Merluzzo "Allora vuoi ballare o no, con me, la quadriglia sul mare?"

Non potea, volea danzare!
Non potea, volea danzare!

"Su, vieni, andiamo al ballo, cara mia, non aver paura, perche` tremi tanto? Non vedi le aragoste allegre in mare? Piu` non dirmi di no. Vieni a ballare."

Presto vuoi, non vuoi danzare?
Presto vuoi, non vuoi danzare?

"Grazie tante" disse la Lumachina..."Il mare e` immenso, e io...son cosi` piccina."



"Grazie, e` un ballo molto interessante da vedere, - disse Alice, lieta che fosse finito; - e poi quel canto curioso del Merluzzo mi piace tanto!"

"Ah, il Merluzzo, tu dici? Ne hai gia` visti?" volle sapere la Falsa-Tartaruga.

"Si`, - disse Alice, - li ho visti spesso a tavo..." E si mangio` il resto.

"Non so dove sia Tavo, - disse la Falsa-Tartaruga - ma se li hai visti spesso, sai che cosa sono."

"Penso di si`" rispose Alice pensierosa "Hanno la coda in bocca e sono avvolti nel pan grattato:"

"Ma che molliche! - soggiunse la Falsa-Tartaruga, - le molliche sarebbero spazzate via dal mare. Pero` hanno la coda in bocca; e la ragione e` questa..." E a questo punto la Falsa-Tartaruga sbadiglio` e chiuse gli occhi. "Digliela tu la ragione." disse al Grifone.

"La ragione e` la seguente, - disse il Grifone - Essi vollero andare al ballo e poi furono buttati in mare; poi fecero la capriola molto al di la`; poi tennero stretta la coda fra i denti; e poi non poterono staccarsela piu`; e questo e` tutto."

"Grazie, - disse Alice, - molto interessante. Non ne avevo mai saputo cosi` tanto sui Merluzzi".

"Adesso dai, raccontaci tu le tue avventure." disse il Grifone.

"Ne potrei raccontare cominciando da stamattina, - disse timidamente Alice - ma e` inutile raccontarvi quelle di ieri, perche`... ieri io ero un' altra."

"Come un'altra? Spiegaci." disse la Falsa-Tartaruga.

"No, no! Prima le avventure, - esclamo` il Grifone impaziente; - le spiegazioni occupano tanto tempo."

Cosi` Alice comincio` a raccontare cio` che le era capitato, dal momento dell'incontro col Coniglio bianco; ma presto si comincio` a sentire un po' a disagio, perche` le due bestie le si stringevano da un lato e dall'altro, spalancando gli occhi e le bocche; ma la bambina poco dopo riprese coraggio. I suoi uditori si mantennero tranquilli sino a che ella giunse alla ripetizione del "Sei vecchio, caro babbo", da lei fatta al Bruco. Siccome le parole le venivano diverse dall' originale, la Falsa-Tartaruga caccio` un gran sospiro, e disse:" E' molto curioso!"

"E' piu` curioso che mai!" esclamo` il Grifone.

"Effettivamente e` molto strano! - aggiunse la Falsa-Tartaruga, pensierosa - E vorrei che Alice ci recitasse qualcosa, ora. Dille di cominciare!" disse, e guardo` il Grifone, pensando ch'egli avesse qualche specie d'autorita` su Alice.

"Alzati in piedi, - disse il Grifone, - e ripetici la canzone:"Trenta quaranta..."

"Oh, come impartiscono ordini e fanno recitar le lezioni queste bestie!" penso` Alice, "Sarebbe meglio andare a scuola subito!" Ad ogni modo, si alzo` e comincio` a ripetere la canzone; ma la sua testolina era cosi` piena di aragoste e di balli, che non sapeva che cosa dicesse, e i versi le venivano male:


"Son trenta e son quaranta, - l'aragosta gia` canta,

"M'ha troppo abbrustolito - mi voglio inzuccherare,

Difronte a questo specchio - mi voglio spazzolare,

E voglio rivoltare - i piedi e il naso in su!"

"Ma questo e` tutto diverso da quello che recitavo da bambino!" disse il Grifone.

"E' la prima volta che lo sento, - osservo` la Falsa-Tartaruga - ed e` una vera sciocchezza!"

Alice non rispose: se ne stava con la faccia tra le mani, sperando che le cose tornassero finalmente al loro corso naturale.

"Vorrei che me lo spiegassi." disse la Falsa-Tartaruga.

"Non sa spiegarlo, - disse il Grifone - dai, comincia la seconda strofa."

"A proposito di piedi, - continuo` la Falsa-Tartaruga - come poteva rivoltarli, e col naso, per giunta?"

"E' la prima posizione nel ballo." disse Alice; ma era tanto confusa che non vedeva l'ora di cambiar discorso."

"Continua la seconda strofa, - replico` il Grifone con impazienza - comincia: "Bianca la sera."

Alice non oso` disubbidire, benche` sicura che l'avrebbe recitata tutta al contrario, e continuo` tremante:



"Un po' piu` tardi giunsero in gran fretta

una pantera nera e una bella civetta

che recitaron una preghiera.

Poi assalirono con appetito

un pasticcio di carne saporito.

La pantera la carne divoro`...

alla civetta il piatto da leccare resto`."


"Perche` recitarci tutta questa robaccia? - interruppe la Falsa-Tartaruga - se poi non ce la spieghi? Fai tanta confusione!"
"Si`, sarebbe meglio smettere." disse il Grifone. E Alice fu piu` che lieta di terminare.

"Piuttosto, vuoi che ti mostriamo un'altra figura del Ballo delle Aragoste?" chiese ad Alice "O vuoi ascoltare una canzoncina cantata dalla Falsa-Tartaruga?"

"Oh, la canzone, per piacere, se la Falsa-Tartaruga vuole essere cosi` gentile!" Alice rispose con tanta premura, che il Grifone invidioso grido`:"Ah, i gusti sono gusti. Amica, cantaci la canzone della "Zuppa di testuggine."

La Falsa-Tartaruga sospiro` profondamente, e con voce soffocata dai singhiozzi canto` cosi`:



"Bella zuppa cosi` ricca e verde

in attesa dentro il tondo

chi ti vede e non si perde

nel piacere piu` profondo?

Zuppa della sera! Bella zuppa!

Belll—llaa Zuuu—pppaa!

Belll—llaa Zuuu—pppaa!

Zuu—ppa della seee—raaa,

Bella, bella Zuppa!



"Dicon tutti i buongustai:

Pesce, arrosto...che m'importa?

Una zuppa come questa

e` per me una gran festa!

E' piccante, saporita

non c'e` zuppa piu` squisita!"

Belll—llaa Zuuu—pppaa!

Zuu—ppa della seee—raaa,

Bella, bella ZUPPA!”


"Ancora il coro!" grido` il Grifone. E la Falsa-Tartaruga si preparava a ripeterlo, quando si udi` una voce in lontananza:"Si comincia il processo!"
"Vieni, vieni!" grido` il Grifone, prendendo Alice per mano, e fuggi` con lei senza aspettare la fine.

"Che processo?" domando` Alice; ma il Grifone le rispose:"Vieni!" e fuggiva piu` veloce, mentre il vento portava piu` flebili le melanconiche parole:



"Zuu—ppa della seee—raaa,

Bella, bella Zuppa!”






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CAPITOLO XI
"Chi ha rubato le Torte?"


Quando Alice e il Grifone arrivarono nella sala del processo, videro il Re e la Regina di cuori seduti in trono, circondati da una gran folla di uccellini, di bestioline e da tutto il mazzo di carte: il Fante stava davanti, incatenato, con un soldato da un lato e dall'altro: accanto al Re stava il Coniglio bianco con una tromba nella destra e un rotolo di pergamena nella sinistra. Nel mezzo della corte c'era un tavolo, con un gran piatto di torte d'apparenza cosi` squisita che ad Alice venne l'acquolina in bocca. "Vorrei che si finisse presto il processo, - penso` Alice, - e che si servissero le torte!" Ma nessuno si muoveva, intanto, ed ella comincio` a guardarsi intorno per ammazzare il tempo.

Alice non era mai stata in un Tribunale. Pero` ne aveva sentito parlare e sapeva molte cose al riguardo. "Quello e` il giudice, - disse fra se` - perche` porta quel gran parruccone."

Il Giudice era, in effetti, il Re stesso, il quale, sopra la parrucca, aveva messo la corona, che gli dava un aspetto molto buffo.




"E quello e` il banco dei giurati, - osservo` Alice, - e quelle dodici creature (doveva dire creature, perche` alcune erano quadrupedi, ed altre uccelli) sono sicuramente i giurati." E ripete` queste parole due o tre volte, superba della sua scienza, perche` giustamente pensava che pochissime ragazze della sua eta` sapessero tanto.

I dodici giurati erano affaccendati a scrivere su delle lavagne. "Che fanno? - bisbiglio` Alice nell'orecchio del Grifone. - Non possono aver nulla da scrivere dato che il processo non e` ancora cominciato."

"Scrivono i loro nomi, - bisbiglio` il Grifone; - temono di dimenticarseli prima della fine del processo."

"Che stupidi!" esclamo` Alice sprezzante, ma tacque subito, perche` il Coniglio bianco, esclamo`:"Silenzio in aula!" e il Re inforco` gli occhiali, mettendosi a guardare ansiosamente da ogni lato per scoprire chi fosse a disturbare.

Alice vedeva bene, che i Giurati scrivevano la parola "stupidi", sulle lavagne: osservo` anche che uno di loro non sapeva sillabare "stupidi", e domandava al vicino come si scrivesse. "Mi piacerebbe proprio vedere quelle lavagnette dopo il processo - si disse divertita la bambina - Chissa` che roba!"

Un giurato aveva il gesso che strideva. Alice non potendo resistere, giro` intorno al tribunale, gli giunse alle spalle e glielo strappo` di sorpresa. Lo fece con tanta rapidita` che il povero giurato (era Guglielmo, la lucertola) non seppe piu` dove fosse finito il gesso. Dopo aver girato qua e la` per ritrovarlo, fu costretto a scrivere col dito tutto il resto della giornata. Ma a che pro, se il dito non lasciava traccia sulla lavagna?

"Usciere! Leggete l'atto d'accusa." disse il Re.

Subito il Coniglio bianco soffio` tre volte nella tromba, srotolo` la pergamena e lesse l'atto d'accusa:—







“La Regina di cuori, preparo`,
dodici torte e le sforno`:
il Fante di cuori li rubo`,
e tutti quanti se li mangio`!”





"Qual e` la vostra sentenza?" chiese il Re ai Giurati.
"Non ancora, non ancora ! - interruppe vivamente il Coniglio. - Vi son molte cose da fare prima!"

"Chiamate il primo testimone!" disse il Re. Il Coniglio soffio` tre volte nella tromba e ordino`:"Avanti il primo testimone!"




Si trattava del Cappellaio. Si presento` con una tazza di the in una mano e una fetta di pane imburrato nell'altra. "Scusate, Vostra Maesta` - incomincio` a dire il Cappellaio - ma stavo proprio prendendo il the quando sono stato chiamato."

"Avreste dovuto aver gia` finito. - rispose il Re - Quando avete cominciato a prenderlo?"

Il Cappellaio si volse verso la Lepre di Marzo che era entrata in sala a braccetto con il Ghiro. "Ma...credo il quattoridci marzo...se non erro...", rispose il Cappellaio.

"Il quindici!" corresse la Lepre.

"No, il sedici!" aggiunse il Ghiro.

"Scrivete questo!" disse il Re ai giurati. E i giurati si misero a scrivere prontamente sulle lavagne, e poi sommarono i giorni riducendoli a lire e centesimi.

"Toglietevi il cappello!" disse poi il Re al Cappellaio.

"Non e` mio!" rispose il Cappellaio.

"E' rubato allora!" esclamo` il Re volgendosi ai giurati, i quali subito annotarono il fatto.

"Ma io - si difese il Cappellaio - li vendo i cappelli. Non ne ho uno proprio. Io sono fabbricante di cappelli."

A queste parole, la Regina inforco` gli occhiali e guardo` il povero Cappellaio con uno sguardo cosi` tremendo, che il poverino impallidi` e si mise a tremare come una foglia.

"Fa' la tua deposizione! - ingiunse il Re - E non essere cosi` nervoso, altrimenti ti faccio giustiziare sul posto."

Queste parole non incoraggiarono il testimone, che non si reggeva piu` in piedi. Guardava con angoscia la Regina, e nella confusione addento` la tazza invece del pane imburrato.

Proprio in quel momento, Alice ebbe una strana sensazione. Dapprima non seppe capacitarsi, poi si accorse che stava di nuovo crescendo. Penso` di alzarsi e di andarsene, ma poi decise di rimanere almeno fino a quando avesse avuto ancora posto in sala.

"Ma fatti un po' piu` in la`, - le disse il Ghiro che sedeva accanto a lei - non posso nemmeno respirare tanto mi spingi!"

"Non e` colpa mia!" disse umilmente Alice "Sto crescendo!"

"E devi crescere proprio qui?" replico` il Ghiro.

"Non dire delle sciocchezze, - grido` Alice, - anche tu cresci!"

"Va bene, ma io cresco normalmente. Invece tu cresci a vista d'occhio." E, cosi` dicendo, abbandono` il suo posto e se ne ando` all'altro capo della sala.

Intanto la Regina aveva continuato a fulminare il povero Cappellaio con il suo sguardo truce. Poi ordino`:"Portatemi la lista dei cantanti dell'ultimo concerto!". A queste parole, il povero Cappellaio riprese a tremare cosi` forte, da perdere perfino le scarpe.

"Fai la tua deposizione! - ingiunse la Regina - Altrimenti ti faccio decapitare subito, nervoso o non nervoso!".

"Io sono solo un povero Cappellaio", incomincio` l'imputato con voce tremante. "Mi ero appena seduto a tavola per il the...quando, una settimana fa, mi pare...ecco che i panini diventano sempre piu` sottili e il the incomincia a tremolare..."

"Che tremoli`o?" esclamo` il Re.

"E' cominciato con il the!" replico` il Cappellaio.

"Certo che 'tremoli`o' comincia con la T! - disse vivamente il Re. - M'hai preso per un allocco? Continua!"

"Sono un povero disgraziato, - continuo` il Cappellaio, - e dopo il the tremavamo tutti... solo la Lepre di Marzo disse..."

"Non dissi niente!" interruppe in fretta la Lepre di Marzo.

"Si` che lo dicesti!" disse il Cappellaio.

"Lo nego!" replico` la Lepre di Marzo.

"Lo nega, - disse il Re - ebbene, lascia andare!"

"Comunque, anche il Ghiro disse..." continuo` il Cappellaio volgendo uno sguardo implorante all'interpellato per la paura che anche lui volesse negare. Ma il Ghiro si era addormentato di nuovo.

"Allora - continuo` il Cappellaio nella sua deposizione - mi tagliai ancora un po' di pane..."

"Ma che cosa disse il Ghiro?" volle sapere uno dei Giurati.

"Non me lo posso ricordare!" rispose il Cappellaio.

"Tu devi ricordartelo!” ingiunse il Re "Altrimenti ti faro` giustiziare!"

Il povero imputato lascio` cadere tazza e pane e si getto` in ginocchio davanti al Re. "Sono un misero Cappellaio, io!" implorava.

"Sei un misero testimone, ecco quello che sei!" disse il Re.

A questa risposta, un Porcellino d'India applaudi`. Ma gli inservienti del Tribunale repressero subito l'applauso (Cioe`, cacciarono di forza il povero Porcellino in un sacco, con la testa all'ingiu`, chiusero il sacco e vi si sedettero sopra).

"Sono contenta d'avervi assistito. - penso` Alice - Ho letto tante volte nei giornali, alla fine dei processi:'Vi fu un tentativo di applauso, subito represso dal presidente."; ma non avevo mai capito che cosa volesse dire."

"Se questo e` tutto quello che sai, - disse il Re, - stai giu`!".

"Ma non posso andare piu` giu`, - si lamento` il Cappellaio - non vede che sono gia` sul pavimento?"

"Allora siediti !" ordino` il Re.

Anche il secondo Porcellino d'India tento` di applaudire, ma fu subito afferrato dagli inservienti e cacciato nel sacco.

"Addio Porcellini d'India! - disse Alice. - Ora si andra` avanti meglio."

"Ma io vorrei finire il the." disse il Cappellaio, guardando con ansia la Regina, la quale leggeva la lista dei cantanti.




"Puoi andare!" ingiunse il Re. E il Cappellaio se la diede a gambe, dimenticando perfino di infilarsi le scarpe.

"...E tagliategli la testa!" aggiunse la Regina, volgendosi ad un ufficiale; ma il Cappellaio era gia` sparito prima che l'ufficiale arrivasse alla porta.
"Chiamate l'altro testimone!" grido` il Re.

L'altro testimone era la cuoca della Duchessa. Aveva il vaso del pepe in mano, e Alice indovino` chi fosse anche prima di vederla, perche` tutti quelli vicini all'ingresso cominciarono a starnutire.

"La tua dichiarazione!" le disse il Re.

"Non ne ho voglia!" rispose l'interrogata. Il Re interrogo` con lo sguardo il Coniglio, che gli sussurro`:"Maesta`, deve pur fare l'interrogatorio!"

"Bene, se debbo farle, le faro`, - disse il Re, e dopo aver incrociato le braccia sul petto, e aver spalancato gli occhi sulla cuoca, disse con voce profonda:"Di che cosa sono composte le torte?"

"Prima di tutto, pepe." fu la risposta della cuoca.

"E zucchero candito", disse una voce sonnolenta dietro di lei.

"Afferrate quel Ghiro! - grido` la Regina. - Tagliategli il capo! Fuori quel Ghiro! Sopprimetelo! Pizzicatelo! Strappategli i baffi!"

In sala scoppio` un tumulto. Finalmente il Ghiro fu cacciato fuori e, quando fu ritornata la calma, la cuoca era sparita.

"Non importa, - disse il Re con aria di sollievo. - Chiamate l'altro testimone." E bisbiglio` alla Regina:"Cara mia, l'altro testimone dovresti esaminarlo tu. A me duole il capo."

Alice stava osservando il Coniglio che esaminava la lista, curiosa di vedere chi fosse mai l'altro testimone "Perche` non hanno ancora una prova..." disse fra se`. Figurarsi la sua sorpresa, quando il Coniglio bianco chiamo` con voce stridula:"Alice!".




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CAPITOLO XII
"La testimonianza di Alice"


"Presente!" rispose Alice e, nella fretta, dimentico` che era diventata molto alta. Corse cosi` impetuosamente verso il Re, che rovescio`, passando, con l'orlo del vestito, tutto il banco dei Giurati, i quali caddero sui presenti che stavano sotto. Ne nacque una confusione indescrivibile. Questo le ricordo` i pesciolini che si dimenavano sul pavimento quando pochi giorni prima aveva rovesciato il globo che li conteneva.



"Oh, vi prego di scusarmi!" ella esclamo` con voce angosciata e comincio` a raccoglierli con molta sollecitudine, perche` invasa dall'idea dei pesciolini, pensava di doverli prontamente raccogliere e rimettere sul loro banco se non li voleva far morire.

"Il processo, - disse il Re con voce grave, - non puo` andare avanti se tutti i giurati non saranno al loro posto... dico tutti..." aggiunse con energia, guardando fisso Alice.

Alice si accorse che aveva messo la Lucertola con la testa all'ingiu` e la poveretta dimenava la coda, non potendosi rialzare da sola. Alice la rimise nella posizione giusta pensando pero`:"In fin dei conti, sarebbe poi la stessa cosa, testa in giu` o testa in su; perche` ne` la testa ne` la coda gioveranno al processo."

Appena i giurati si furono rimessi dalla caduta e riebbero in consegna le lavagne e le matite, si misero a scarabocchiare con molta ansia la storia del loro ruzzolone, tranne la lucertola, che era ancora stordita e sedeva a bocca spalancata, guardando il soffitto.

"Che cosa mi sai dire tu, di questa faccenda?" chiese il Re ad Alice.

"Niente!" disse Alice.

"Proprio niente?" replico` il Re.

"Niente di niente!" rispose Alice.

"E' molto significante..." disse il Re, volgendosi ai giurati. Essi si accingevano a scrivere sulle lavagne, quando il Coniglio bianco li interruppe:"Insignificante, intende certamente vostra Maesta`!" disse con voce rispettosa, ma aggrottando le ciglia e facendo una smorfia mentre parlava. "Insignificante, gia`, e` quello che intendevo." aggiunse in fretta il Re; e poi si mise a dire a bassa voce:"Significante, insignificante, significante..." come se volesse provare quale delle due parole suonasse meglio.

Alcuni dei giurati scrissero "significante" altri "insignificante". Alice pote` vedere perche` era vicina, e poteva sbirciare sulle lavagne: "Ma non importa." penso`.


Ad un certo punto il Re che era stato occupatissimo a scrivere nel suo taccuino grido`:"Silenzio!" e lesse dal suo libriccino:"Articolo 42: tutti coloro che sono piu` alti di un chilometro devono abbandonare la sala."

Tutti guardarono Alice.

"Ma io non sono alta un chilometro!" si difese Alice.

"Si` che lo sei." rispose il Re.

"Quasi due chilometri!" aggiunse la Regina.

"In ogni caso, io rimango qui, - disse Alice - questo articolo del Regolamento l'avete inventato adesso."

"Che?! E' la piu` vecchia norma del libro!" rispose il Re.

"Se cosi` fosse - riprese Alice - dovrebbe avere il numero 1 !"

Il Re impallidi`, chiuse il taccuino e, rivolto ai Giurati, chiese:"Qual e` il vostro verdetto?"

"Maesta`, vi sono altre testimonianze, - disse il Coniglio bianco balzando in piedi. - Giusto adesso abbiamo trovato questo foglio."

"Che contiene?" domando` la Regina.

"Non l'ho aperto ancora, - disse il Coniglio bianco - ma sembra una lettera scritta dal prigioniero a... a qualcuno."

"Dev'essere cosi` - disse il Re, - salvo che non sia stata scritta a nessuno, il che generalmente non avviene."

"A chi e` indirizzata?" domando` uno dei giurati.

"Non ha indirizzo, - disse il Coniglio bianco, - infatti non c'e` scritto nulla al di fuori." E apri` il foglio mentre parlava, e aggiunse:"Ma, non e` una lettera; e` una filastrocca in versi!"

Un altro giurato chiese:"La scrittura e` quella dell'imputato?"

"No, no!" rispose il Coniglio bianco, questo e` ancora piu` strano. (I giurati si guardarono confusi.)

"Forse ha imitato la scrittura di qualcun altro!" disse il Re (I giurati tirarono un sospiro di sollievo).

"Col permesso di Vostra Maesta`" disse il Fante di cuori "io non ho scritto quella poesia. Nessuno lo puo` dimostrare. Non c'e` nemmeno la firma!"

"Ah, tu non hai firmato il tuo scritto? Questo peggiora la tua situazione. Certamente avevi qualche cattiva intenzione, altrimenti avresti firmato come fa ogni galantuomo."

Tutti applaudirono. Era la prima volta, in quel giorno, che il Re diceva qualcosa di veramente saggio.

"Questo prova la sua colpa!" disse la Regina.

"Non prova un bel niente - replico` Alice - non sapete nemmeno quello che c'e` scritto!".

"Leggi la poesia!" ordino` il Re.

Il Coniglio bianco si mise gli occhiali e domando`:"Maesta`, di grazia, da dove debbo incominciare?"

"Comincia dal principio, - disse il Re solennemente... - e continua fino alla fine, poi fermati."

Questi furono i versi che lesse il Coniglio:—


“Mi dissero che da lei, te ne eri andato

ed a lui mi volesti rammentar;

lei poi mi diede il mio certificato

dicendomi: ma tu non sai nuotar.



Egli poi disse che non ero andato

(e non si puo` negar, chi non lo sa?)

e se l'accordo sara` maturato

oh dimmi allor di te che mai sara`?




Una a lei diedi, ed essi due le diedero,

tu me ne dasti tre, fors'anche piu`;

ma tutte ritornarono da lui a te

sebben fossero mie, prima.



Se lei ed io per caso in questo affare

misterioso coinvolti ci vedrem,

egli ha fiducia d'esser liberato

e con noi starai finalmente insiem.



Ho questa idea che prima dell'accesso,

(gia` tu sai che un attacco d'ira la colpi`),

un ostacol per lui, per noi, per esso

fosti tu solo in quel fatale di`.



Ch'egli non sappia chi lei predilige

(il segreto bisogna mantener);

sia segreto per tutti, che` qui vige

la impenetrabile legge del mister."



"Questo e` il piu` importante documento di accusa, - disse il Re stropicciandosi le mani; - ora i giurati si preparino..."
"Se qualcuno potesse spiegarmelo, - disse Alice (la quale era talmente cresciuta in quegli ultimi minuti che non aveva piu` paura d'interrompere il Re) - gli darei mezza lira. Non credo che ci sia in esso neppure un atomo di buon senso."

I giurati scrissero tutti sulla lavagna:"Ella non crede che vi sia in esso neppure un atomo di buon senso". Ma nessuno cerco` di spiegare il significato del foglio.

"Ma se non ha nessun senso - disse il Re - possiamo risparmiarci la fatica di cercarlo questo senso...pero`...pero`...", e cosi` dicendo, scorreva con lo sguardo la pergamena. "...un certo senso mi pare di averlo trovato. Per esempio: cosa vuol dire quel 'Ma ahime`, nuotar non sa?' ". E rivolgendosi al Fante di cuori:"Vero che tu non sai nuotare?"

Il Fante scosse tristemente la testa e disse:"Vi pare che io possa nuotare?" (Infatti nessuno avrebbe potuto affermare ch'egli sapesse nuotare visto che era interamente di cartone).

"Bene, fin qui, - disse il Re, e continuo` - e questo e` il vero, e ognun di noi lo sa. E' cosi` senza dubbio anche per i giurati. Poi...una a lei diedi, ed essi due gli diedero...Questo spiega l'uso fatto delle torte, capisci..."

"Ma, - disse Alice, - la poesia continua con le parole:"Ma tutte si ritrovarono."

"Gia`, esse son la` - disse il Re con un'aria di trionfo, indicando le torte sul tavolo. - Nulla di piu` chiaro. Continua: 'Gia` tu sai che un attacco d'ira la colpi`' - tu non hai mai avuto degli attacchi nervosi, cara mia, non e` vero?" aggiunse volgendosi alla Regina.

"Mai!" grido` furiosa la Regina, e scaravento` un calamaio sulla testa della lucertola. (Il povero Guglielmo aveva cessato di scrivere sulla lavagna col dito, perche` s'era accorto che non ne rimaneva traccia; e in quell'istante si rimise sollecitamente all'opera, usando l'inchiostro che gli scorreva sulla faccia, e l'uso` finche` ne ebbe a disposizione.)

"Dunque non e` riferito a te questo verso." disse il Re, guardando con un sorriso il tribunale. E vi fu gran silenzio. "E' un gioco di parole." aggiunse il Re con voce irata, e tutti allora risero. "Che i giurati ponderino il loro verdetto!" ripete` il Re, forse per la ventesima volta quel giorno.

"No, no! - disse la Regina. - Prima la sentenza, poi il verdetto."

"Ma basta con queste sciocchezze!" grido` Alice. "Quando mai si parla di pena prima del verdetto?"

"Chiudi il becco!" le intimo` la Regina.

"Nemmeno per sogno!" oso` dire Alice.

"Tagliatele la testa!" urlo` la Regina con quanta voce aveva. Ma nessuno si mosse.




"Ma piantala? Chi credi di essere?" - disse Alice, (era cresciuta fino alla sua statura naturale.) - Tu non sei altro che la Regina d'un mazzo di carte."

A queste parole tutto il mazzo di carte si sollevo` in aria vorticosamente e poi si rovescio` sulla fanciulla: essa emise uno strillo di paura e d'ira, e cerco` di respingerlo da se`, ma si trovo` sul ruscello, col capo sulle ginocchia di sua sorella, la quale le toglieva con molta delicatezza alcune foglie secche che le erano cadute sul viso.

"Svegliati, Alice!" disse la sorella "Quanto hai dormito!"

"Oh! - si meraviglio` Alice, - sono di nuovo qui con te. Sai, ho fatto un sogno, un sogno strano, ma meraviglioso." E si mise a raccontare alla sorella, come meglio poteva, le avventure che aveva vissuto in sogno. Quando ebbe finito, la sorella la bacio` e le disse:"Hai proprio fatto uno strano sogno, sai! Ma ora, presto, a casa, va subito a prendere il the, e` gia` tardi." Alice si allontano` correndo verso casa, tutta immersa ancora nel suo meraviglioso sogno.

La sorella, pero`, rimase ancora un momento sulla riva del ruscello e, mentre seguiva il tramonto del sole, pensava alla piccola Alice e alle sue avventure, cosi` che sembro` a lei stessa di sognare a occhi aperti e fece un sogno simile a questo:—

Prima di tutto sogno` la piccola, Alice, con le sue manine delicate congiunte sulle ginocchia di lei e coi grandi occhioni lucenti fissi su di lei. Le sembrava di sentire il vero suono della sua voce, e di vedere quella caratteristica mossa della sua testolina quando rigettava indietro i capelli che volevano coprirle gli occhi. Mentre ella era tutta intenta ad ascoltare, o sembrava che ascoltasse, tutto il luogo d'intorno si popolo` delle strane creature del sogno di sua sorella.

Ecco un frusci`o fra l'erba, mentre il Coniglio passava trotterellando e il Topo impaurito s'apriva a nuoto una via attraverso lo stagno vicino. Ella poteva sentire il rumore delle tazze mentre la Lepre di Marzo e i suoi amici partecipavano alla merenda perpetua; udiva la stridula voce della Regina che mandava i suoi invitati a morte. E poi ancora, il bimbo Porcellino che starnutiva sulle ginocchia della Duchessa, mentre le pentole e i piatti volavano e s'infrangevano dovunque; e poi l'urlo del Grifone, lo stridore del gesso della Lucertola sulla lavagna, e i Porcellini d'India che soffocavano nel sacco chiuso, mentre da lontano si udivano i singhiozzi della Falsa-Tartaruga.

Sedeva cosi` la sorella di Alice, con gli occhi chiusi e le pareva di sentirsi trasportata anche lei nel Paese delle Meraviglie, mentre sapeva benissimo che, guardandosi attorno, avrebbe trovato tutto normale e noioso come prima. Il fruscio nell'erba proveniva soltanto dal vento che la muoveva, le canne facevano fremere l'acqua dello stagno, e il tintinnio delle tazze altro non era che il suono delle campanelle delle pecore e la voce stridula della Regina era quella del pastorello che chiamava il gregge...e tutti gli altri rumori si confondevano con quelli provenienti dalla vicina fattoria...invece del lamento della Falsa-Tartaruga si udiva il muggito delle mucche.

E, alla fine, ella immagino` la sorella diventata adulta anche lei, pur conservando sempre il cuore puro e semplice della bambina d'un tempo. La vide circondata da frotte di altri bambini ansiosi di ascoltare dalla sua bocca tante belle storielle, la vide partecipe delle loro piccole pene e delle loro gioie ricordando i tempi beati della propria fanciullezza, di un'estate felice, ormai tanto lontana.




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