Marina Ivanovna Cvetaeva

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birillino8
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Marina Ivanovna Cvetaeva

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[align=center]Marina Ivanovna Cvetaeva

Immagine[/align]

Marina Ivanovna Cvetaeva, grande e sfortunata poetessa russa, nacque a Mosca l'8 ottobre 1892, da Ivan Vladimirovic Cvetaev (1847-1913, filologo e storico dell'arte, creatore e direttore del Museo Rumjancev, oggi Museo Pushkin) e della sua seconda moglie, Marija Mejn, pianista di talento, polacca per parte di madre. Marina trascorse l'infanzia, insieme alla sorella minore Anastasija (detta Asja) e ai fratellastri Valerija e Andrej, figli del primo matrimonio del padre, in un ambiente ricco di sollecitazioni culturali. A soli sei anni cominciò a scrivere poesie.

Marina ebbe dapprima una istitutrice, poi fu iscritta al ginnasio, quindi, quando la tubercolosi della madre costrinse la famiglia a frequenti e lunghi viaggi all'estero, frequentò degli istituti privati in Svizzera e Germania (1903-1905) per tornare, infine, dopo il 1906, in un ginnasio moscovita. Ancora adolescente la Cvetaeva rivelò un carattere imperiosamente autonomo e ribelle; agli studi preferiva intense e appassionate letture private: Pushkin, Goethe, Heine, Hölderlin, Hauff, Dumas-padre, Rostand, la Baskirceva, ecc. Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona. Il suo primo libro, "Album serale", pubblicato ne 1910, conteneva le poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni. Il libretto uscì a sue spese e in tiratura limitata, ciò nonostante fu notato e recensito da alcuni tra i più importanti poeti del tempo, come Gumiliov, Briusov e Volosin.

Volosin, inoltre, introdusse la Cvetaeva negli ambienti letterari, in particolare in quelli gravitanti attorno alla casa editrice "Musaget". Nel 1911 la poetessa si recò per la prima volta nella famosa casa di Volosin a Koktebel'. Letteralmente, ogni scrittore russo di fama negli anni 1910-1913 soggiornò almeno una volta a casa Volosin, una sorta di ospitale casa-convitto. Ma un ruolo determinante nella sua vita lo ebbe Sergej Efron, un apprendista letterato che la Cvetaeva incontrò a Koktebel' durante la sua prima visita. In una breve nota autobiografica del 1939-40, così scriveva: "Nella primavera del 1911 in Crimea ospite del poeta Max Volosin incontro il mio futuro marito, Sergej Efron. Abbiamo 17 e 18 anni. Decido che non mi separarerò da lui mai più in vita mia e che divento sua moglie." Cosa che puntualmente successe, pur contro il parere del padre di lei.

Di lì a poco comparve la sua seconda raccolta di liriche, "Lanterna magica", e nel 1913 "Da due libri". Intanto, il 5 settembre 1912, era nata la prima figlia, Ariadna (Alja). Le poesie scritte dal 1913 al 1915 avrebbero dovuto vedere la luce in un volume, "Juvenilia", che restò inedito durante la vita della Cvetaeva. L'anno dopo, in seguito a un viaggio a Pietroburgo (il marito si era intanto arruolato come volontario su un treno sanitario), si rafforzò l'amicizia con Osip Mandel'stam che però ben presto si innamorò perdutamente di lei, seguendola da S.Pietroburgo a Aleksandrov, per poi improvvisamente allontanarsi. La primavera del 1916 è divenuta infatti celebre in letteratura grazie ai versi di Mandel'stam e della Cvetaeva....

Durante la rivoluzione di Febbraio del 1917 la Cvetaeva si trovava a Mosca e fu dunque testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre. La seconda figlia, Irina, nacque in aprile. A causa della guerra civile si trovò separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca, non lo vide dal 1917 al 1922. A venticinque anni, dunque, era rimasta sola con due figlie in una Mosca in preda ad una carestia così terribile quale mai si era vista. Tremendamente poco pratica, non le riuscì di conservare il posto di lavoro che il partito le aveva "benevolmente" procurato. Durante l'inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. Quando la guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto con Sergej Erfron e acconsentì a raggiungerlo all'Ovest.
Nel maggio del 1922 emigrò e si recò a Praga passando per Berlino. La vita letteraria a Berlino era allora molto vivace (circa settanta case editrici russe), consentendo in questo modo ampie possibilità di lavoro. Nonostante la propria fuga dall'Unione Sovietica, la sua più famosa raccolta di versi, "Versti I" (1922) fu pubblicato in patria; nei primi anni la politica dei bolscevichi in campo letterario era ancora abbastanza liberale da consentire ad autori come la Cvetaeva di essere pubblicati sia al di qua che oltre frontiera.

A Praga La Cvetaeva visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque il terzo figlio, Mur, ma in autunno partì per Parigi, dove trascorse con la famiglia i successivi quattordici anni. Anno dopo anno, tuttavia, fattori diversi contribuirono ad un grande isolamento della poetessa e ne comportarono l'emarginazione.
Ma la Cvetaeva non conosceva ancora il peggio di quello che doveva venire: Efron aveva infatti cominciato a collaborare con la GPU. Fatti ormai noti a tutti, mostrano che egli prese parte al pedinamento e all'organizzazione dell'uccisione del figlio di Trotskij, Andrej Sedov, e di Ignatij Rejs, un agente della CEKA. Efron si andò così a nascondere nella Spagna repubblicana in piena guerra civile, da dove partì per la Russia. La Cvetaeva spiegò alle autorità e agli amici di non avere mai saputo nulla delle attività del marito, e si rifiutò di credere che il marito potesse essere un omicida.

Sempre più immersa nella miseria, si decise, anche sotto la pressione dei figli desiderosi di rivedere la patria, a tornare in Russia. Ma nonostante alcuni vecchi amici e colleghi scrittori venissero a salutarla, ad esempio Krucenich, capì in fretta che per lei in Russia non c'era posto nè vi erano possibilità di pubblicazione. Le furono procurati dei lavori di traduzione, ma dove abitare e cosa mangiare restavano un problema. Gli altri la sfuggivano. Agli occhi dei russi dell'epoca lei era una ex emigrata, una traditrice del partito, una che aveva vissuto all'Ovest: tutto questo in un clima in cui milioni di persone erano state sterminate senza che avessero commesso alcunché, tanto meno presunti "delitti" come quelli che gravavano sul conto della Cvetaeva. L'emarginazione, dunque, si poteva tutto sommato considerare il minore dei mali.

Nell'agosto del 1939, però, sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata presa la sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron, un "nemico" del popolo ma, soprattutto, uno che sapeva troppo. La scrittrice cercò aiuto tra i letterati. Quando si rivolse a Fadeev, l'onnipotente capo dell'Unione degli scrittori, egli disse alla "compagna Cvetaeva" che a Mosca non c'era posto per lei, e la spedì a Golicyno. Quando l'estate successiva cominciò l'invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria, dove visse momenti di disperazione e di desolazione inimmaginabili: si sentiva completamente abbandonata. I vicini erano i soli che l'aiutassero a mettere insieme le razioni alimentari.
Dopo qualche giorno si recò nella città vicina di Cistopol', dove vivevano altri letterati; una volta lì, chiese ad alcuni scrittori famosi come Fedin e Aseev di aiutarla a trovare lavoro e a trasferirsi da Elabuga. Non avendo ricevuto da loro alcun aiuto, tornò a Elabuga disperata. Mur si lamentava della vita che conducevano, pretendeva un abito nuovo ma il denaro che avevano bastava appena per due pagnotte. La domenica 31 agosto del 1941, rimasta da sola a casa, la Cvetaeva salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò. Lasciò un biglietto, poi scomparso negli archivi della milizia. Nessuno andò ai suoi funerali, svoltisi tre giorni dopo nel cimitero cittadino, e non si conosce il punto preciso dove fu sepolta.

[align=center]Bibliografia:

Lettere ad Ariadna Berg (1934-1939)
Amica
Dopo la Russia
Natal'ja Goncarova. Vita e creazione
Indizi terrestri. Diario moscovita (1917-19)
Poesie
Racconto di Sonecka
Accalappiatopi. Satira lirica
Arianna
L'armadio segreto-Il mio Puskin-Insonnia
Deserti luoghi. Lettere (1925-1941)
Paese dell'anima. Lettere (1909-1925)
Il poeta e il tempo
Lettera all'Amazzone

[/align]
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birillino8
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[align=center]Oggi sono un ospite celeste



Oggi sono un ospite celeste
nel tuo paese.
Io ho visto l'insonnia del bosco
e il sonno dei campi.

Chissà dove nella notte, zoccoli
scalzano l'erba.
Ha un tratto un pesante sospiro
una vacca nella stalla sonnolenta.

Racconterò a te con tristezza,
con tutta tenerezza,
dell'oca guardiana
e delle oche che dormivano.

Le mani affondavano nel pelame canino.
Il cane era - canuto.
Poi, verso le sei,
cominciò l'alba.[/align]
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[align=center]Un bianco sole e basse, basse nubi



Un bianco sole e basse, basse nubi,
lungo gli orti - dietro il muro bianco - un cimitero.
E sulla sabbia file di spauracchi di paglia
sotto le traverse a statura d'uomo.

E, penzolandomi oltre i paletti dello steccato,
vedo: strade, alberi, soldati sbandati.
Una vecchia contadina, cosparso di sale grosso
mastica e mastica un tozzo di pane nero...

Come hanno potuto incolleriti queste nere capanne,
Signore! e perchè‚ a tanti mitragliare il petto?
Passa un treno e ulula, e si mettono a ululare i soldati,
e leva polvere, leva polvere la strada che indietreggia...

- No, morire! Meglio non essere mai nati,
che questo lamentoso, penoso, carcerario ululato
per le belle dalle nere ciglia. - Ah, e pure cantano
adesso i soldati! Oh, Signore, Dio mio! [/align]
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[align=center]Nell'enorme mia città



Nell'enorme mia città - notte.
Dalla casa sonnolente vada - via,
e pensa la gente: moglie, figlia,
e io solo una cosa ricordo: notte.

Di luglio il vento mi spazza la strada,
e c'è musica a una finestra - appena.
Ah, soffi ora il vento fino all'alba
oltre le pareti sottili del petto - dentro.

C'è un pioppo nero, e a una finestra - luce,
e scampanio sulla torre, e in mano un - fiore,
e questo passo, ecco, - dietro a nessuno,
e quest'ombra, ecco, e me no.

Luci - come fili di collane d'oro,
d'una foglia notturna in bocca - sapore.
Liberatemi dai legami del giorno,
amici, capite che mi - sognerete.[/align]
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[align=center]Ecco ancora una finestra



Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse - bevono vino,
forse - siedono così.
O semplicemente - le due
mani non staccano.
In ogni casa, amico,
c'è una finestra così.

Non candele o lampade hanno acceso il buio:
ma gli occhi insonni!

Grido di distacchi e d'incontri:
tu, finestra nella notte!
Forse, centinaia di candele,
forse, tre candele...
Non c'è, non c'è per la mia
mente quiete.
Anche nella mia casa
è entrata una cosa come questa.

Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce.[/align]
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[align=center]Agli Ebrei



Chi non t'ha calpestato - e chi non t'ha bruciato,
cespuglio di incombustibili rose!
Unica cosa incrollabile che il Cristo
Ha lasciato dietro di sé sulla terra.

Israele! Si avvicina un secondo
Tuo dominio. Per tutti i centesimi
Voi col sangue ci avete pagati: Eroi!
Traditori - Profeti - Mercanti!

In ciascuno di voi, anche in colui che conta
a lume di candela le monete d'oro nel sacchetto -
Cristo più forte parla che non in Marco,
in Matteo, in Giovanni e in Luca.

Per tutta la terra - da un capo all'altro -
crocefissione e deposizione dalla croce.
Con l'ultimo dei tuoi figli, Israele,
in verità seppelliremo il Cristo![/align]
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[align=center]Nell'ora che il mio caro fratello



Nell'ora che il mio caro fratello
Passò l'ultima meta
(Di sospiri immaginari - Indietro!)
Erano le lacrime - più grandi degli occhi.

Nell'ora che il mio caro amico
Doppiava l'ultimo promontorio
(Di sospiri immaginari: - Ritorna!)
Erano i movimenti - più grandi delle braccia!

Le braccia vogliono scappare dalle spalle!
Le labbra vogliono inseguire - scongiurare!
Ha disperso i suoni il discorso,
Ha disperso le dita una falange,

Nell'ora che l'ospite caro...
- Guardaci, o Signore! -
Erano le lacrime - più grandi degli occhi
Degli uomini - e delle stelle

Atlantiche...[/align]
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[align=center]Alla nonna



Oblungo e duro ovale.
Svasature dell'abito nero
Giovane nonna! Chi ha baciato
le vostre labbra altere?

Mani che nelle sale del palazzo
i valzer di Chopin suonavano
Ai lati del gelido viso
riccioli in forma di spirale.

Fosco, diritto e indagatore sguardo,
sguardo già pronto alla difesa.
Le donne giovani così non guardano.
Giovane nonna, chi siete?

Quante possibilità vi siete portata via,
e anche impossibilità - quante
- nell'insaziabile voragine della terra,
oh ventenne polacca!

Il giorno era innocente e fresco il vento.
Le cupe stelle s'erano spente.
- Nonna - questa crudele rivolta
nel mio cuore - non mi viene da voi?[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Io ti racconterò



Io ti racconterò del grande inganno:
io ti racconterò come cala la nebbia
sui giovani alberi, sulle vecchie ceppaie.
Io ti racconterò come si spengono le luci
nelle basse case, come - straniero di egizie contrade
- soffia lo zingaro nel sottile zufolo sotto un albero.

Io ti racconterò della grande menzogna:
io ti racconterò come si stringe il coltello
nella stretta mano, come si arruffino al vento dei secoli
i riccioli - ai giovani, e le barbe ai vecchi.

Mormorio di secoli.
Scalpitio di zoccoli.[/align]
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[align=center]Cercati meno esigenti amiche



Cercati meno esigenti amiche,
più tenere in fatto di prodigi.
So che Venere è un fatto di mani,
artigiano, conosco il mio mestiere:

dal silenzio più solenne fino
a sterminare l'anima - tutta
la divina scala - da:
mio respiro! a: non respirare![/align]
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[align=center]Tentativo di gelosia



Ditemi: come va con l'altra?
Meglio? meno grane? - Mano ai remi! -
Vana linea costiera s'assottiglia,
scompare la memoria estrema

di me, isola fluttuante
(per cielo, non per mare...)
Anime, anime: sorelle! Anime:
amiche - mai più amanti!

Come vi va con la creatura
semplice? Senza divinità? E poi?
Voi, sceso dal trono, voi
che avete deposto la regina,

come vivete? Non c'è male? Non più
beghe? E bevete - quanto, adesso? E la cucina?
Il dazio della mediocrità immortale
come lo pagate, poveretto?

"Basta con le scenate, con gli eccessi -
cambio casa, vado via!"
Con la qualunque - come state
di che vivete, voi - mio eletto?

Mangiate - e dopo pranzo un sonnellino?
- Non lamentarti quando sarai sazio!...-
Con il simulacro come state
voi che avete dissacrato

il Sinai? Come vivete con la donna
terrestre? Per la costola vi piace?
Non vi frusta la fronte la vergogna?
La briglia di Giove vi dà pace?

E la salute? E i nervi? Senza
problemi? A letto tutto bene?
L'immortale piaga della coscienza
come la curate, poveretto?

Come vivete con la merce da mercato?
Troppo cara la vita? Vi assilla
l'alto prezzo? Dopo i marmi di Carrara
che ve ne fate del tritume

di gesso? (E' in pezzi
il dio scolpito nell'argilla...)
Come ci state con la milleunesima
voi - che avete conosciuto Lilith?

Già v'annoia l'ultima trovata
della moda? Sottratto all'incantesimo,
dite, come ve la passate
con l'umana senza il sesto senso?

In coscienza - sei felice?
No? In quel disastro senza dei
come stai, amore? E' dura? Sì?
Come per me con l'altro?[/align]
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[align=center]Indizi



Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l'amore dal dolore
lungo tutto il corpo.

Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l'amore dal lontano
di chi mi è accanto.

Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l'amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.

Vandalo in un'aureola
di vento! Riconosco
l'amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.

Riconosco l'amore dal boato
- dal trillo beato -
lungo tutto il corpo![/align]
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[align=center]Giovinezza



Giovinezza mia! Mia estranea
giovinezza! Mia scarpina spaiata!
Gli occhi infiammati serrando,
così come si strappa un foglietto del calendario.

Nulla di tutta la tua preda
per sè ha tolto la meditativa Musa.
Giovinezza mia ! Non ti richiamo indietro.
Per me sei stata soma e fardello.

Tu nelle notti mormoravi col pettine,
tu nelle notti affilavi le frecce.
Dalla tua munificenza schiacciata, come da ghiaia,
per i peccati degli altri io soffrivo.

Prima del termine restituendoti lo scettro-
che se fa ormai l'anima di cibi e nutrizioni!
Giovinezza mia ! Mia molestia -
giovinezza ! Mia pezza di rossa tela !

Presto ormai, da rondine-fattucchiera!
giovinezza ! Salutiamoci alla vigilia...
Insieme stiamo al vento!
Mia abbronzata! Consola una sorella!

Brucia con la gonna color lampone,
mia giovinezza! Mia colombella
abbronzata! Litigio della mia anima!
Giovinezza mia! Consola, balla!

Sferzami con lo scialle turchino,
mia pazzerella! Abbiamo fatto abbastanza
le matte tu ed io? Balla, scottami!
Piccolo oro mio - addio, ambra!

Non senza malizia tocco la tua mano,
come da un amante da te mi congedo.
Strappata dalle profondità del seno -
giovinezza mia! Và dagli altri! [/align]
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