John Donne

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birillino8
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John Donne

Messaggio da birillino8 »

[align=center]John Donne

Immagine[/align]

John Donne, pron. Dùn (Londra, 1572 - 1631), fu un religioso inglese, decano della cattedrale londinese di St. Paul, ed uno fra i più grandi poeti metafisici.

Scrisse sermoni e poemi di carattere religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni e sonetti. Celeberrimi sono i suoi versi di "Nessun uomo è un'isola" contenuti in Meditation XVII e citati da Hemingway in Per chi suona la campana.

Attento ai mutamenti della sua epoca - diviso tra la scienza di Copernico e Keplero e la filosofia di Bacone e Calvino - fu il primo a citare in un componimento (Ignatius his Conclave del 1611) Galileo Galilei.

Cresciuto in una famiglia che professava il cattolicesimo, Donne studiò dal 1584 a Oxford e, successivamente, a Cambridge; viaggiò per l'Europa e nel 1595 accompagnò il conte di Essex nelle spedizioni inglesi a Cadice e alle isole Azzorre.

Decano di Re Giacomo
Ritornato in patria divenne segretario del barone Ellesmere Egerton, di cui sposò clandestinamente nel 1601 la nipote Anne More; iniziò a questo punto la sua attività letteraria. Suoi primi lavori furono canzoni satiriche e sonetti, che costituiscono il corpus giovanile della sua opera e sono apprezzabili soprattutto per il loro realistico e sensuale stile.

Le nozze clandestine con Anne More non giovarono alla sua reputazione, cosa questa che influenzerà notevolmente la sua successiva produzione letteraria. Contestualmente, si avvicinò all'anglicanesimo affrontando da un punto di vista differente dubbi e tematiche politico-sociali, ma anche scientifiche e filosofiche, del suo tempo.

Tra mille difficoltà finanziarie, sull'orlo della disperazione (e forse anche del suicidio), sebbene fosse ormai diventato un predicatore affermato (molti suoi lavori saranno raccolti nel 1624 nelle sue Devotions) e per due volte (1601 e 1614) membro del parlamento, prese i voti e fu ordinato decano della chiesa anglicana dal re Giacomo I d'Inghilterra.

Dal 1617, anno in cui morì la moglie, la sua poesia si farà sempre più cupa, privilegiando temi funerei e pessimistiche, considerazioni esistenziali.

Poetica di Donne
Sempre in oscillazione tra natura raziocinante e appassionata poetica visionaria - non disgiungibile dal pensiero medievale, in bilico tra nuova scienza, rinascimento e riforma, cattolicesimo e protestantesimo, amore umano e divino - l'arte di Donne è tesa a risolvere dialetticamente, appunto attraverso la forza dei versi, il proprio (e altrui) conflitto intellettuale e morale.

In questo senso, particolarmente alta risulta la sua capacità di concentrare con un linguaggio talvolta aspro ed attraverso brevi, laconici procedimenti analogici citazioni letterarie e bibliche, immagini assimilate attraverso la scienza, la filosofia e la teologia filtrate attraverso l'osservazione della realtà quotidiana.
Ultima modifica di birillino8 il sab mag 24, 2008 1:37 pm, modificato 1 volta in totale.
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birillino8
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Il sogno



Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.
Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.
Sei stata saggia a svegliarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e storia le favole.
Entra tra queste braccia. Se ti sembrò
più giusto per me non sognare tutto il sogno,
ora viviamo il resto.

Come un lampo o un bagliore di candela
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Così (poichè tu ami il vero)
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno, sapendo
che la troppa gioia mi avrebbe destato
e venesti, devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.

Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora che ti allontani
dubito che tu non sia più tu.
Debole quell'amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce
sono prima accese e poi spente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire. E io
sognerò nuovamente
quella speranza, ma per non morire.
[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Alchimia d'amore



Chi più di me ha scavato nel profondo la miniera d'Amore,
dice, dove risiede il centro della sua felicità:
ho amato, ho conquistato e detto,
ma se dovessi amare, conquistare e dire, finchè non sarò vecchio,
non potrei mai comprendere quel nascosto mistero;
oh, non è che impostura tutto quanto:
e come nessun alchimista ha potuto scoprire l'Elisir,
ma ugualmente glorifica il suo fecondo vaso
se per caso gli accade di scoprire
qualche odorosa sostanza, o nuova medicina,
così gli amanti sognano un godimento ricco e prolungato,
ma non trovano altro che una notte estiva simile all'inverno.
La nostra pace, il denaro, l'onore e il nostro giorno,
questo noi pagheremo, per questa vana ombra di una bolla d'aria?
In questo ha fine amore, che ogni uomo
può essere felice come me se può sostenere
la breve vergogna di una farsa nuziale?
Quell'infelice amante che afferma
non essere i corpi a sposarsi, ma solo gli spiriti,
e che pretende trovare in lei un Angelo,
in egual modo esatto parlerebbe dicendo di udire
nel quotidiano e rozzo strimpellare roco il suono delle celesti sfere.
Non sperare che la donna possegga intelligenza, al massimo
ha estro e dolcezza, e non è, una volta posseduta, altro che vuota forma.[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Elegia XIX: andando a letto



Vieni, mia Donna, vieni mio vigore sfida di ogni riposo,
finchè mi affanno resterò in affanno.
Spesso il nemico avendo il suo nemico in vista
dalla sola presenza vien fiaccato, anche se non combatte.
Getta pur quel cinto che splende simile allo Zodiaco,
ma che nasconde al mio sguardo un mondo assai più bello.
Togli gli spilli dal pettorale cosparso di lustrini,
così che gli occhi dei maliziosi vi si possono fermare.
Slacciati, perchè quell'accordo armonioso
mi dice di esser già l'ora di recarsi a letto.
Via quel busto felice, che invidio,
perchè può starti così stretto.
E via la gonna che svela una tanto bella condizione,
come quando dai campi fioriti l'ombra dei colli si fugge.
Via il diadema tenace, ed esso mostri
il diadema fluente dei capelli che da te si leva:
e ora via quelle scarpe, posa il tuo piede libero
in questo sacro tempio dell'amore, su questo soffice letto.
In vesti così bianche che gli Angeli del cielo erano soliti
essere accolti dagli uomini; Angelo, conduci insieme a te
un cielo simile al Paradiso di Maometto; e sebbene
cattivi spiriti biancovestiti passino, noi facilmente riconosciamo
questi Angeli da uno spirito malvagio,
quelli rizzano i nostri capelli, ma questi ci rizzano la carne.

Dona licenza alle mie mani erranti, lasciale andare
avanti e indietro, in mezzo, sopra e sotto.
Oh mia America! Mia nuova terra scoperta,
mio regno, più sicuro se solo un uomo lo domina,
miniera di pietre preziose, mio Impero,
come sono benedetto in questo mio scoprirti!
Entrare in questi ceppi significa essere liberi;
dove metto la mia mano sarà il mio suggello.

Completa nudità! Tutte le gioie a te sono dovute,
come le anime si separano dal corpo, così i corpi si devono spogliare
per gustare la gioia interamente. Le gemme che voi donne usate
sono come i miei dorati pomi d'Atlanta, davanti allo sguardo degli uomini,
tali che quando l'occhio di uno stupido s'illumina a una gemma
la sua anima terrena non vuole la donna, ma vuole i suoi beni.
Come dipinti, o come gaie rilegature di libri
fatte per i profani, così sono le vesti delle donne;
in sè le donne sono libri mistici che solo noi,
fatti degni della loro grazia, vediamo rivelati.
E poichè io sono chiamato a conoscere tanto,
liberamente mostrati come a una levatrice;
getta via tutto, si, getta i tuoi bianchi lini:
all'innocenza nessuna penitenza è mai dovuta.

Per insegnarti, per primo ecco son nudo; allora dunque,
per coprirti che altro ti occorre più di un uomo?[/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Canzone



Mio dolcissimo amore, non fuggo
per stanchezza di te,
nè perchè spero che il mondo possa offrirmi
un amore più degno;
ma poichè è destino
che io debba infine morire, è molto meglio
che mi prenda per scherzo l'abitudine
di morire così di qualche morte finta.

Ieri sera anche il sole era fuggito,
eppure oggi è qui.
lui non ha desideri e non ha sensi,
nemmeno un corso breve come il mio:
dunque non ti preoccupare per me,
credi che tutti i miei viaggi
saranno assai più rapidi, perchè io
ho più ali e più sproni di lui.

Ma come è fragile il potere dell'uomo,
che se anche ha buona fortuna
non vi si può aggiungere un'ora di più,
nè richiamare un'ora che ha perduta!
Ma venga pure la cattiva sorte:
le aggiungeremo la nostra forza,
le insegneremo l'arte e la portata,
così che su noi tragga vantaggio.

Quando sospiri non sospiri vento,
ma esali la mia anima;
quando piangi, scortesemente cortese,
corrompi il sangue della mia vita.
Non è possibile che tu mi ami
come dici di amarmi se disperdi
con la tua la mia vita,
tu che di me sei la parte migliore.

Il tuo cuore da oracolo
non mi preannunci alcun male: il destino
potrebbe prendere anche la tua parte,
realizzando così le tue paure;
pensa piuttosto che noi
ci siamo solo voltati le spalle nel sonno;
coloro che a vicenda si tengono vivi
non sono mai separati. [/align]
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Messaggio da birillino8 »

[align=center]Il fiore



Ben poco ti preoccupi, povero fiore,
che ho osservato per sei o sette giorni,
e ho visto la tua nascita, e ho visto quanto ogni ora donava
al tuo sviluppo, affinchè tu crescessi fino a questa altezza,
e ora che su questo ramo tu trionfi e ridi,
ben poco ti preoccupi
che gelerà fra breve, e che domani
ti troverò caduto, o non ti troverò per nulla.

Ben poco ti preoccupi, povero cuore,
che ancora fatichi a costruirti un nido,
e pensi qui svolando di conquistarti un luogo
su un albero vietato o che a te si rifiuta,
e speri di piegare, in un lungo assedio, la sua rigidezza:
ben poco ti preoccupi,
che prima che si desti il sole, domani mattina,
dovrai con questo sole e insieme a me metterti in viaggio.

Ma tu, che ami essere
sottile a tormentarti, dirai:
ahimè, se tu devi partire a me che importa?
Qui son le mie faccende, qui voglio restare;
tu vai da amici il cui affetto e i cui mezzi
altro piacere arrecano
agli occhi tuoi, agli orecchi, alla lingua, a ogni parte di te.
Se quindi parte il tuo corpo, che bisogno hai di un cuore?

Bene, allora rimani: ma sappi,
quando sarai rimasto, e fatto del tuo meglio:
un cuore nudo e pesante, che non fa mostra di sè,
per una donna non è che una specie di spettro;
come potrà conoscere il mio cuore; o non avendo cuore
in te riconoscerne uno?
La pratica le può insegnare a conoscere altre parti,
ma, parola mia, non a conoscere un cuore.

Vienimi incontro a Londra, allora,
fra venti giorni, e mi potrai vedere
più fresco e grasso, per la compagnia degli uomini,
che se fossi rimasto insieme a te e a lei.
Per amore di Dio, se ti è possibile, segui il mio esempio:
laggiù ti vorrei dare
a un altro amico, che si mostrerà felice
di avere tanto il mio corpo quanto la mia anima.[/align]
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[align=center]Infinità d'amore



Se ancor non ho tutto l'amore tuo,
cara, giammai tutto l'avrò;
non posso esalare un altro sospiro per intenerirti,
né posso implorare un'altra lacrima a che sgorghi;
ormai tutto il tesoro che avevo per acquistarti
- sospiri, lacrime, e voti e lettere - l'ho consumato.
Eppure non può essermi dovuto
più di quanto fu inteso alla stipulazione del contratto;
se allora il tuo dono d'amore fu parziale,
si che parte a me toccasse, parte ad altri,
cara giammai tutta ti avrò

Ma se allora tu mi cedesti tutto,
quel tutto non fu che il tutto di cui allora tu disponevi;
ma se nel cuore tuo, in seguito, sia stato o sarà
generato amor nuovo, ad opera di altri,
che ancor possiedono intatte le lor sostanze, e possono di lacrime,
di sospiri, di voti, di lettere, fare offerte maggiori,
codesto amore nuovo può produrre nuove ansie,
poiché codesto amore non fu da te impegnato.
Eppur lo fu, dacché la tua donazione fu totale:
il terreno, cioè il tuo cuore, è mio; quanto ivi cresca,
cara, dovrebbe tutto spettare a me.

Tuttavia ancor non vorrei avere tutto;
chi tutto ha non può aver altro,
e dacché il mio amore ammette quotidianamente
nuovo accrescimento, tu dovresti avere in serbo nuove ricompense;
tu non puoi darmi ogni giorno il tuo cuore:
se puoi darlo, vuol dire che non l'hai mai dato.
IL paradosso d'amore consiste nel fatto che, sebbene il tuo cuore si diparta,
tuttavia rimane, e tu col perderlo lo conservi.
Ma noi terremo un modo più liberale
di quello di scambiar cuori: li uniremo; così saremo
un solo essere, e il Tutto l'un dell'altro.[/align]
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