Giotto

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Soleanna1
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Giotto

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Giotto

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[align=justify]Giotto di Bondone, alcune fonti riportano Ambrogio Bondone, conosciuto semplicemente come Giotto che sarebbe il diminutivo di Ambrogiotto o Angiolotto (Colle di Vespignano, FI, ca. 1267 - Firenze, 1337) è stato uno dei più influenti pittori del Trecento.

Giotto Di Bondone nasce da una famiglia benestante nel 1269 che, come molte altre, si era inurbata a Firenze ed aveva affidato il figlio alla bottega di un pittore, Cenni di Pepi, detto Cimabue, iscritto alla potente Arte della Lana che abitava nella parrocchia di Santa Maria Novella. Sembra, dunque, solo una leggenda l'aneddoto della "scoperta" del giovane pittore da parte di Cimabue, mentre disegnava le pecore a cui badava, riportata da Lorenzo Ghiberti e da Giorgio Vasari.

Sul fatto che Cimabue sia stato maestro di Giotto non ci sono dubbi, anche soltanto per ragioni stilistiche, la collaborazione nella bottega del maestro fiorentino consentì a Giotto di seguirlo a Roma nel 1280 circa, dove era presente anche Arnolfo di Cambio, e successivamente ad Assisi.

La tradizione storiografica, a partire dalle testimonianze più antiche, (Riccobaldo Ferrarese, Ghiberti e Vasari), indica negli affreschi del ciclo francescano della Basilica di Assisi, databili tra l'ultimo decennio del XIII secolo ed i primi anni del XIV, l'inizio della sua carriera artistica autonoma. Studi più recenti, di origine anglosassone, però, mettono in dubbio l'attribuzione di tutto il ciclo, che sarebbe opera di maestri romani, indicando la mano di Giotto soltanto negli affreschi della Basilica Inferiore, gli unici che mostrano lo stesso stile e la medesima tecnica degli affreschi di Padova.

La prima tavola in ordine cronologico è probabilmente la "Madonna col Bambino" di San Giorgio alla Costa (Firenze, Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte), che è in rapporto di dipendenza dagli affreschi di Assisi. Per altri studiosi, invece, si tratterebbe di un'opera successiva al cantiere di Assisi ed anche alla Croce di Santa Maria Novella. Di precoce datazione è considerata anche la tavola firmata proveniente da Pisa e conservata al Louvre di Parigi, raffigurante le "Stigmate di San Francesco" in cui le storie della predella sono direttamente riprese dalle scene Assisiane. Il primo capolavoro fiorentino è la grande "Croce" di Santa Maria Novella, citata come opera giottesca in un documento del 1312 e anche dal Ghiberti, ma probabilmente databile attorno al 1290 contemporaneo, quindi, alle Storie di San Francesco della Basilica Superiore.

In quegli anni Giotto è già un pittore affermato, capace di creare una schiera di imitatori in città, pur rappresentando soltanto l'anticipatore di una corrente d'avanguardia che si imporrà più tardi. Si sposa verso il 1287 con Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela dalla quale ha quattro figli, dei quali uno, Francesco, diventerà pittore. Giotto lavora anche a Roma tra il 1297 e il 1300, di questa esperienza molto importante per lui e per l'ambiente artistico della città papale, non rimangono tracce significative e, per questo, non è possibile ancora giudicare la sua influenza sui pittori romani, o al contrario, quanto questa esperienza abbia arricchito la sua pittura.

Nella Basilica di San Giovanni in Laterano è conservato, tuttavia, un piccolo frammento di un ciclo ben più vasto, dipinto in occasione del Giubileo del 1300 indetto da Papa Bonifacio VIII. Da documenti catastali del 1301 e 1304 si conoscono le sue proprietà in Firenze, che erano cospicue e per questo si ipotizza che, all'incirca verso i trent'anni, Giotto fosse già a capo di una bottega capace di ovviare alle più prestigiose commissioni del tempo. In questo periodo dipinge il Polittico di Badia (Galleria degli Uffizi) ed, in virtù della fama diffusa in tutta l'Italia, Giotto viene chiamato a lavorare a Rimini e Padova.

A Rimini rimane soltanto la Croce della Chiesa di San Francesco (Tempio Malatestiano dipinto prima del 1309, i restanti affreschi sono perduti, ma la sua presenza fu determinante per lo sviluppo della scuola riminese di Giovanni e Pietro da Rimini.

Del soggiorno padovano, invece, rimane intatto il ciclo di affreschi con Storie di Maria e Storie di Gesù, Allegorie dei Vizi e Giudizio Universale della Cappella di Enrico Scrovegni dipinta tra il 1303 e il 1305. L'intero ciclo è considerato un capolavoro assoluto della storia della pittura e, soprattutto, il metro di paragone per tutte le opere di dubbia attribuzione giottesca, visto che sull'autografia del maestro fiorentino non ci sono dubbi. Perduti, invece, gli affreschi della Basilica di Sant'Antonio e del Palazzo della Ragione che furono, però, realizzati in un secondo soggiorno padovano. Anche i pittori dell'Italia del nord subirono l'influenza di Giotto: Guariento, Giusto de' Menabuoi, Jacopo Avanzi e Altichiero, fondendo il suo linguaggio plastico e naturalistico con le tradizioni locali.

Tra il 1306 ed il 1311 è di nuovo ad Assisi per eseguire gli affreschi della zona del transetto della Basilica inferiore che comprendono: le Storie della Vita di Cristo (Giotto), le Allegorie Francescane sulle vele, e la Cappella della Maddalena.

La Commissione è del Vescovo Teobaldo Pontano in carica dal 1296 al 1329 si protraggono per molti anni coinvolgendo numerosi aiuti: Parente di Giotto, Maestro delle Vele Francescane e Palmerino di Guido quest'ultimo citato assieme al maestro in un documento del 1309 in cui s'impegna a pagare un debito.

Nel 1311 è già tornato a Firenze, ci sono anche documenti del 1314 relativi alle sue attività economiche extra pittoriche. La presenza a Firenze è sicura negli anni 1314, 1318, 1320, 1325, 1326, 1327 (anno in cui è iscritto all'Arte dei Medici e degli Speziali che, per la prima volta, accoglie i pittori).
Nel 1313, in una lettera, incarica Benedetto di Pace di recuperare le masserizie presso la proprietaria della casa affittata Roma; il documento è la testimonianza del terzo soggiorno romano, avvenuto entro l'anno in cui esegue: il Mosaico della Navicella degli Apostoli per la facciata dell'antica Basilica di San Pietro su commissione del Cardinale Jacopo Stefaneschi, perduto e conservato solo in frammenti.
Nel periodo Fiorentino, dipinge le opere della sua maturità artistica come la Maestà degli Uffizi, la Dormitio Virginis della Gemaldegalerie di Berlino, la Croce della Chiesa d'Ognissanti.

Nel 1318, secondo quanto attesta Ghiberti, comincia a dipingere quattro cappelle ed i relativi polittici per quattro diverse famiglie fiorentine nella chiesa dei francescani di Santa Croce: Cappella Bardi (Vita di San Francesco), la Cappella Peruzzi delomonima famiglia Peruzzi (Vita di San Giovanni Battista e di San Giovanni Evangelista più il polittico), e le perdute: Giugni (storie degli Apostoli) e Tosinghi Spinelli (storie della Vergine) di cui rimane l'Assunta del Maesto di Figline.

Il 1320 è l'anno del Polittico Stefaneschi (Musei vaticani), commissionato dal Cardinale Jacopo, che l'incarica anche di decorare la tribuna dell'abside della Basilica di San Pietro con un ciclo di affreschi perduto nel rifacimento del XVI secolo. Secondo Vasari, Giotto sarebbe rimasto a Roma sei anni, eseguendo poi anche commissioni in molte altre città italiane, fino alle sede Papale di Avignone. Il biografo aretino cita, anche, opere non giottesche, ma comunque descrive un pittore moderno impegnato su diversi fronti e circondato da molti aiuti.

Nel 1328, dopo aver terminato il Polittico Baroncelli, è chiamato dal re Roberto d'Angiò a Napoli e vi rimane fino al 1333, insieme ad un gruppo di allievi. Anche a Napoli rimane poco dei suoi lavori: un frammento di affresco raffigurante la Lamentazione sul Cristo Morto in Santa Chiara e le figure di Uomini Illustri dipinte negli strombi delle finestre della Cappella di Santa Barbara in Castelnuovo, che per disomogeneità stilistiche sono attribuibili ai suoi allievi, molti di questi diverranno affermati maestri diffondendo e rinnovando il suo stile nei decenni successivi (Parente di Giotto, Maso di Banco, Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi).
Nel 1332, Roberto d'Angio, che era circondato da una corte raffinata e dai molti interessi culturali, tanto da anticipare i modelli rinascimentali, lo nomina "primo pittore di corte e nostro fedele" e gli assegna uno stipendio annuo.

A Firenze, intanto, agisce come procuratore del padre il figlio Francesco, che verrà immatricolato nel 1341 nell'arte dei Medici e degli Speziali. Dopo Napoli, Giotto fa una sosta a Bologna, dove lascia il Polittico per la Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dove, secondo le fonti, dipinge una cappella nel Castello del Cardinal Legato. Ritornato a Firenze, Giotto, che svolgeva anche opera d'architetto, è nominato capomaestro dell'Opera di Santa Reparata (Il Duomo) e soprintendente alle opere del comune nel 1334, per questo incarico percepisce uno stipendio annuo di cento fiorini, in particolare sovraintende alla costruzione del Campanile la cui fondazione è datata 18 luglio 1334.

Nello stesso anno firma il Polittico Baroncelli in Santa Croce. Prima del 1337 data della morte Giotto è a Milano presso Azzo Visconti, anche se le opere sono scomparse rimane traccia della sua presenza soprattutto nell'influenza esercitata sui pittori lombardi del trecento. L'ultima opera Fiorentina terminata dagli aiuti è la Cappella del Podestà del Bargello. Muore l'8 gennaio del 1337 e viene sepolto in Santa Reparata con una cerimonia solenne a spese del comune.

L'attività artistica
Giotto diventa in vita un artista simbolo, un vero e proprio mito culturale, detentore di una considerazione che non muterà, anzi crescerà nei secoli successivi. Giovanni Villani scrive: "Il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo, e quegli che più trasse ogni figura e atti al naturale." Per Cennino Cennini: "Rimutò l'arte di greco in latino e ridusse al moderno" alludendo al superamento degli schemi bizantini e all'apertura verso una rappresentazione che introduceva il senso dello spazio, del volume e del colore anticipando i valori dell'età dell'Umanesimo. L'esperienza di apprendistato presso Cimabue fu, senz'altro, di stimolo per il giovane pittore, in quanto Cimabue all'epoca era un artista innovativo e dal linguaggio assolutamente moderno, che si liberava dai moduli bizantineggianti, evolvendo verso una pittura che assimilava l'arte classica, ricercando, contemporaneamente, effetti realistici ed espressivi. Importante in questo senso fu il viaggio a Roma, che offrì la possibilità di un confronto con la classicità, ma anche con artisti come: lo scultore Arnolfo di Cambio ed i pittori della scuola locale: Pietro Cavallini, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti, che erano animati dallo stesso spirito di innovazione e sperimentazione operando nei cantieri delle grandi Basiliche inaugurati da Papa Niccolò III e da Papa Niccolò IV.


Le prime opere

La Madonna di San Giorgio alla Costa
La prima opera del catalogo giottesco, la Madonna col Bambino di San Giorgio alla Costa mostra una solida resa della volumetria dei personaggi le cui attidudini sono più naturali che in passato, il trono con la sua prospettiva centrale forma quasi una "nicchia" architettonica suggerendo il senso della profondità. La novità del linguaggio di questa piccola e frammentaria tavola si comprende meglio facendo un raffronto con gli esempi fiorentini che lo avevano preceduto, come Coppo di Marcovaldo.

Il Crocifisso di Santa Maria Novella
Citato in un testamento di tale Ricuccio di Puccio del Mugnaio nel 1312 è il primo soggetto che Giotto affronta in maniera rivoluzionaria, il Crocifisso di Santa Maria Novella databile nel corso del decennio che va dal 1290 al 1300.

Nella figura del Cristo il cui corpo morto cade facendone intuire tutto il peso, non c'è più l'inarcatura dei precedenti cimabueschi e di Giunta Pisano. La forma non più nobilitata, senza i consueti stilemi è, anzi, assolutamente umana e popolare, contiene tutto il senso della sua arte e della nuova sensibilità religiosa che restituisce al Cristo la sua dimensione terrena e da questa trae il senso spirituale più profondo, non ha nulla di regale nell'aspetto, eccetto l'aureola, ma mostra le sembianze di un uomo umile realmente sofferente.

L'esperienza di Giotto si arricchiva nel contesto toscano e Fiorentino animato in quel periodo da grandi fermenti innovativi. A Pisa la bottega di Nicola Pisano e poi del figlio Giovanni Pisano aveva cominciato un percorso di recupero della pienezza della forma e dei valori dell'arte classica, mentre Siena in contatto privilegiato con molti centri culturali europei, aveva visto, oltre ai Pisano, lo sviluppo della pittura di un artista del calibro di Duccio di Boninsegna.

Giotto ad Assisi
Le fonti antiche, tutte concordi nell'esaltarne la figura e il ruolo di innovatore della pittura, sono state anche la causa di questioni controverse, che dividono gli studiosi, soprattutto riguardo ai suoi esordi e all'attribuzione delle "Storie di San Francesco" nella Basilica dei Frati Minori di Assisi. In uno dei testi più citati, quello del Ghiberti, troviamo: "Dipinse nella chiesa d'Asciesi nell'ordine de' frati minori quasi tutta la parte di sotto" il che è stato inteso da molti come una indicazione del ciclo francescano lungo la fascia in basso della Basilica Superiore, mentre chi non crede che Giotto ne sia l'autore, lo intende come riferimento solo alla Basilica Inferiore, attribuendo gli affreschi ad un autore di scuola romana, prosegue così da più di due secoli una delle diatribe più appassionanti della storia dell'arte: la "Questione Giottesca".

Giorgio Vasari nelle Vite afferma che Giotto fu chiamato da Giovanni Mincio da Morrovalle che fu generale dell'ordine francescano dal 1296 al 1304 date entro le quali furono dipinti gli affreschi. L'arrivo di Giotto in cantiere lascerebbe un vuoto di qualche anno tra la partenza dei pittori romani al seguito di Jacopo Torriti avvenuta nel 1290 e il suo arrivo, che potrebbe essere stato riempito dal cosiddetto Maestro d'Isacco autore delle due scene: Isacco benedice Giacobbe e Isacco ed Esaù che si trovano nella terza campata all'altezza della finestra. Queste due scene sono, rispetto alle precedenti, dipinte nelle due prime campate a partire dalla zona del transetto, diverse sia per la tecnica (per la prima volta si usa l'affresco a giornate anziché a pontate) ma, soprattutto, per la capacità di resa dei valori di spazio e di volume. Le storie d'Isacco rappresentano una svolta all'interno, non soltanto nel contesto del cantiere di Assisi, ma nel corso della storia figurativa medievale perché è da quel momento che nasce quella rivoluzione formale che pone le basi degli sviluppi dei secoli successivi. Al maestro d'Isacco si attribuiscono anche le prime scene del ciclo francescano, ma la sua personalità è ancora misteriosa, alcuni indizi formali hanno fatto ipotizzare che si tratti di Pietro Cavallini o di Arnolfo di Cambio gli unici che avevano mostrato di saper esprimere in maniera credibile i valori di volume e di coerenza spaziale nelle loro opere precedenti. Giotto, invece, sarebbe stato presente ad Assisi una prima volta nel 1297 per eseguire la Cappella di San Nicola nella Basilica Inferiore con l'Annunciazione sulla parete d'ingresso, e le due scene dei miracoli post mortem di San Francesco Morte e Resurrezione del Fanciullo di Suessa che mostrano evidenti affinità tecniche ed esecutive con la Cappella degli Scrovegni mentre si differenziano dal ciclo Francescano.

La Tavola conservata nel Museo del Louvre di Parigi, proveniente da Pisa, che rappresenta le Stimmate di San Francesco contiene delle scenette uguali a quelle di Assisi il che viene considerato motivo a sostegno della attribuzione a Giotto.
Indipendentemente dal fatto che si tratti di Giotto o di un altro pittore, le scene non mostrano sempre la stessa qualità esecutiva, il Ciclo francescano presenta, comunque, delle soluzioni formali rivoluzionarie. Con un sapiente dosaggio del chiaroscuro si rende l'evidenza plastica delle figure mentre l'uso di architetture scorciate che svolgono il ruolo di quinte prospettiche creano degli spazi praticabili in cui i personaggi si muovono con naturalezza e coerenza, ad esempio possono girarsi di spalle rispetto all'osservatore cosa prima inconcepibile. La composizione è libera dagli schematismi e simmetrie della pittura precedente, anche se accanto a scenari naturali ed architettonici realistici troviamo ancora delle rappresenzazioni dal gusto arcaico, non tutti gli scorci sono resi con la stessa sicurezza più incerte appaiono le città dipinte in lontananza e gli edifici delle prime tre campate della parete sinistra.

Giotto a Padova
Gli affreschi della Cappella dell'Arena di Padova sono fondamentali per la conoscenza dell'arte giottesca perché sono quelli in cui l'autografia e la datazione sono certe e dove il ricorso agli aiuti è limitato all'esecuzione delle idee del maestro. Enrico Scrovegni nobile patavino acquistò il terreno nel 1300, nel 1302 cominciò la costruzione della cappella che si trovava a ridosso del palazzo di famiglia poi distrutto.
Nel 1304 il Papa Benedetto XI promulgava un'indulgenza in favore di coloro che l'avessero visitata, infine l'edificio fu consacrato nel 1305 e presumibilmente gli affreschi dovevano essere terminati per quella data. Giotto dipinse l'intera superficie con un progetto iconografico e decorativo unitario, ispirandosi alla "leggenda Aurea " di Jacopo da Varazze e alle "Meditazioni sulla vita di Gesù" dello Pseudo-Bonaventura. Dipinge, dividendolo in 37 scene, un ciclo incentrato sul tema della salvezza che parte dalla storia di Gioacchino ed Anna e prosegue con quelle di Maria e Gesù lungo le pareti e termina col Giudizio Universale della controfacciata.

Sullo zoccolo in basso alcuni specchi in finto marmo si alternano a figure monocrome simboleggianti Vizi e Virtù. Nella cappella, la pittura di Giotto ha raggiunto la piena maturità espressiva, la composizione rispetta il principio del rapporto organico tra architettura e pittura ottenendo il risultato di un complesso unitario, i riquadri sono tutti di identica dimensione, i partimenti decorativi, le architetture simulate ed i due finti coretti prospettici che simulano un'apertura sulla parete, sono tutti elementi che obbediscono alla logica della visione unitaria, non solo prospettica ma anche cromatica, ad esempio il blu intensissimo della volta che sembra più un colore di sfondo che un cielo reale si ripete in ogni scena. Rispetto agli affreschi di Assisi si notano molti progressi, le figure sono solide e voluminose e rese ancora più salde dalle variazioni cromatiche, i toni dei colori si schiariscono nelle zone sporgenti. Alcuni accorgimenti tecnici, come lo stucco lucido o stucco romano usato per i finti marmi o l'inserimento di parti metalliche nell'aureola del Cristo Giudice nel Giudizio, le tavole inserite nel muro e l'uso dell'encausto nelle figure a finto rilievo, arrichiscono di effetti materici tutto l'ambiente.

Ci sono numerose citazioni dall'arte classica e dalla scultura gotica francese, incentivata dal confronto con le statue sull'altare di Giovanni Pisano, ma, soprattutto, una maggiore espressività negli sguardi intensi dei personaggi e nella loro gestualità. Lo stile di Giotto evolve tramite la ricerca di una pittura capace di rendere l'umanità dei personaggi sacri. Tra i brani più suggestivi ci sono gli ambienti naturali e le architetture costruite come vere e proprie scatole prospettiche, che a volte vengono ripetute per non contraddire il rispetto dell'unità di luogo, come la casa di Anna, o il Tempio la cui architettura è ripetuta identica anche se ripresa da diverse angolature. Molte sono le notazioni narrative ed i particolari, anche minori, di grande suggestione, gli oggetti, gli arredi le vesti che rispecchiano l'uso, la moda del tempo. Alcuni personaggi sono veri e propri ritratti a volte caricaturali che danno il senso della trasposizione cronachistica della vita reale nella rappresentazione sacra. Nel Museo civico di Padova è conservato un Crocifisso proveniente dall'altare della cappella raffinatissimo per la ricchezza decorativa dei colori smaltati e per l'andamento sagomato della croce dal disegno gotico, non è però meno realistico nella figura del Cristo, e nell'atteggiamento sofferente di Maria e di San Giovanni nei tabelloni laterali. Gli affreschi residui della Basilica di Sant'Antonio (Stigmate di San Francesco, Martirio di Francescani a Ceuta, Crocifissione e Teste di Profeti) sono, per quel poco che è possibile intuire, frutto del lavoro dei collaboratori e molto simili tecnicamente a quelli della Cappella della Maddalena. Gli affreschi perduti del Palazzo della ragione terminato nel 1309 sono citati in un libello del 1350 "Visio Aegidii Regis Patavi" del notaio Giovanni da Nono, che li descrive con toni entusiastici, testimoniando che il soggetto astrologico del ciclo era tratto da un testo molto diffuso nel XIV secolo, il "Lucidator", che spiegava i temperamenti umani in funzione degli influssi degli astri, Padova era al tempo un centro universitario culturalmente molto fervido, luogo d'incontro e di confronto tra umanisti e scienziati e Giotto è partecipe di questa atmosfera.

Giotto a Rimini
La presenza di Giotto a Rimini non è databile con precisione ma si presume possa essere collocata tra gli anni di Padova ed il ritorno ad Assisi. A Rimini, come ad Assisi, lavora in un contesto francescano nella Chiesa nota oggi come Tempio Malatestiano, dipinge un ciclo di affreschi perduto e il Crocifisso dipinto, che si trova ancora nell'abside, ma è mancante della cimasa e delle estremità ritrovate da Federico Zeri nel 1957 nella collezione Jeckyll a Londra.
L'autografia del crocifisso non è condivisa da tutti gli studiosi: pur mostrando le qualità tipiche della sua pittura, potrebbe trattarsi di un'opera di bottega come molte uscite con la sua firma e dipinta da un suo disegno. Il soggiorno di Rimini è importante, soprattutto, per l'influenza esercitata sulla locale scuola pittorica e miniatoria di Giovannie Pietro da Rimini che fu fiorente nel trecento.

Ritorno ad Assisi
La seconda presenza di Giotto nella città umbra inizierebbe nel 1305-1306 e durerebbe fino al 1311 cioè dopo il soggiorno padovano per dipingere la Cappella della Maddalena dove è ritratto il committente Teobaldo Pontano vescovo dal 1296 al 1329. La storia è tratta dalla "Legenda aurea" di Jacopo da Varazze, per la Maddalena i Francescani avevano un culto particolare, Giotto trasporta ad Assisi i progressi fatti a Padova, nelle soluzioni scenografiche e nella spazialità, nella tecnica e, soprattutto, nella qualità dei colori chiari e caldi. Agli episodi della vita di Maddalena vengono aggiunti quelli di Marta e di Lazzaro.

Le Allegorie Francescane occupano le vele della volta del transetto: (Povertà, Castità, Obbedienza e la Gloria di San Francesco) e le scene del ciclo della "Vita di Cristo" lungo le pareti e le volte del transetto destro. Un documento del 4 giugno del 1309 testimonia la presenza dell'artista in città insieme all'aiuto Palmerino di Guido ma i collaboratori erano sicuramente numerosi viste le dimensioni dell'impresa, le loro identità sono ancora celate dietro nomi come Parente di Giotto, Maestro delle Vele e Maestro della Cappella di San Nicola. La vivacità delle scene, le soluzioni scenografiche e spaziali di ampio respiro ed alcune citazioni dirette del ciclo padovano hanno messo d'accordo studiosi e critici sull'appartenenza degli affreschi alla bottega di Giotto; pur individuando in molte figure le mani dei suoi allievi, alcuni dei quali probabilmente umbri che diffondono lo stile giottesco nelle chiese della zona. Tra di loro c'è il Maestro Espressionista di Santa Chiara attivo soprattutto nella Cappella della Maddalena.

Giotto a Roma
Prima del ritorno a Firenze nel 1311 Giotto è a Roma per realizzare il mosaico del portico dell'antica Basilica di San Pietro "la Navicella degli Apostoli" poi distrutta, fu disegnata da due artisti del quattrocento Pisanello e Parri di Spinello il disegno si trova al Metropolitan Museum of Art di New York, mentre, due tondi con i volti di angeli, sono conservati, rispettivamente: a San Pietro Ispano a Boville Ernica (Frosinone) e nelle Grotte vaticane. Fu commissionata dal cardinale Jacopo Caetani Stefaneschi arciprete e benefattore della Basilica oltre che Diacono di San Giorgio al Velabro, che lo pagò ben duecento fiorini e, per l'occasione, compose dei versi da inserire nel mosaico.
Dai disegni, fatti prima della sua distruzione, si può ricostruire la composizone; raffigurava la barca degli apostoli in piena tempesta, sulla destra Pietro salvato da Cristo mentre a sinistra si vedeva una città turrita. Il soggetto era ispirato da opere tardoantiche e paleo-cristiane che Giotto aveva avuto sicuramente occasione di vedere a Roma alimentando un rapporto di dialogo continuo col mondo classico. I Due tondi sono realizzati con una tecnica identica a quella delle botteghe romane della fine del duecento e, probabilmente, sono opera di maestranze locali che eseguirono i cartoni dell'artista fiorentino il cui stile è riconoscibile dalla solidità del modellato dall'aspetto monumentale delle figure.

Il Polittico Stefaneschi della Pinacoteca Vaticana è un'opera appartenente ad una fase successiva, l'anno è il 1320, come testimonia la descrizione seicentesca dell'archeologo Grimaldi, era destinato all'altar maggiore della Basilica di San Pietro e fu commissionato insieme a degli affreschi che si trovavano nella zona della tribuna. L'opera è ideata dal maestro ma dipinta insieme agli aiuti, l'importanza del luogo a cui era destinata imponeva l'uso del fondo oro dal quale le figure monumentali si stagliano con grande sicurezza, ed è caratterizzata da una grande varietà cromatica a scopo decorativo. Dipinto su entrambi i lati rappresenta sul verso il Cristo in trono con i Martirii di San Pietro e di San Paolo (simboli della Chiesa stessa), sul recto San Pietro in Trono, negli scomparti e nelle predelle la Vergine col bambino in Trono con diverse figure di Santi ed Apostoli.

Ritorno a Firenze
A Firenze verso il 1314-1315 Giotto dipinge alcuni capolavori della sua maturità, opere su tavola per la Chiesa di Ognissanti dell'Ordine degli Umiliati, La Dormitio Virginis della Gemaldegalerie di Berlino, un tema ed una composizione antica che riesce ad innovare grazie alla disposizione dei personaggi nello spazio ed il Crocifisso Dipinto ancora in loco, simile alle analoghe figure di Assisi tanto che si è pensato al cosiddetto "Parente di Giotto".
La Maestà degli Uffizi che va confrontata con due celebri precedenti di Cimabue e Duccio di Boninsegna nella stessa sala del Museo, per comprenderne la modernità di linguaggio.
Il trono di gusto gotico, in cui si inserisce la figura possente e monumentale di Maria è disegnato con una prospettiva centrale, la Vergine è accerchiata da una schiera di Angeli e da quattro santi che si stagliano evidenziandosi plasticamente dal fondo oro.
Lorenzo Ghiberti riporta che Giotto, per la Chiesa francescana di Santa Croce eseguì gli affreschi di quattro cappelle ed altrettanti polittici, tre situati nella zona alla destra del presbiterio e uno in quella alla sinistra.
Si sono salvate dalla distruzione due cappelle: la Bardi con la "Vita di San Francesco" e la Peruzzi con storie di San Giovanni Battista ed Evangelista, perdute, invece, la Cappella Giugni con le Storie degli Apostoli e Tosinghi Spinelli con le Storie della Vergine, in quest'ultima, rimane un frammento trecentesco attribuito al Maestro di Figline.
La Cappella Peruzzi ebbe una grande considerazione anche nel rinascimento al punto che Michelangelo Buonarroti la studiò attentamente disegnando diverse figure. Lo stato di conservazione attuale è fortemente compromesso da diversi fattori succedutisi nel tempo, ma non impedisce di vedere la qualità delle figure rese plasticamente da un attento uso del chiaroscuro e caratterizzate dallo studio approfondito dei problemi di resa e rappresentazione spaziale. I brani più suggestivi sono le stupende architetture degli edifici contemporanei dilatati in prospettiva che continuano, anche, oltre le cornici delle scene fornendo un'istantanea dello stile urbanistico del tempo di Giotto. All'interno di queste quinte prospettiche, si sviluppano le storie sacre composte in maniera calibrata nel numero e nel movimento dei personaggi. La sapienza compositiva di Giotto diventerà motivo di ispirazione per artisti successivi come ad esempio Masaccio negli affreschi della Cappella Brancacci nella Chiesa del Carmine.
Dalla stessa cappella proviene il Polittico Peruzzi che fu smembrato e disperso in diverse collezioni fino al ricongiungimento nell'attuale collocazione presso il Museum of Art di Raleight (North Carolina) che rappresenta la Madonna con figure di Santi tra cui i due Giovanni e San Francesco, lo stile figurativo è simile a quello della cappella anche se i Santi sono inseriti in un contesto neutro e non ricco di elementi decorativi ma, comunque, molto saldi nella loro volumetria.

L'altra Cappella di Santa Croce è la Bardi che narra episodi della vita di San Francesco e figure di Santi francescani, è stata recuperata dopo uno scialbo operato nel settecento ed è interessante perché si notano differenze stilistiche evidenti con l'analogo ciclo assisiano di più di 20 anni prima, mentre l'iconografia è sostanzialmente la stessa. Giotto preferisce dare maggiore importanza alla figura umana, accentuandone i valori espressivi, probabilmente, per assecondare la svolta in senso pauperistico dei Conventuali operata in quegli anni, le composizioni sono molto semplificate, è la disposizione delle figure a dare il senso della profondità spaziale come nel caso delle "Esequie di san Francesco", lo stesso santo appare insolitamente imberbe in tutte le storie,
Sull'altare della Cappella Baroncelli (poi affrescata da Taddeo Gaddi) è situato il Polittico databile al 1328, mancante della cuspide che si trova nella Timken Art Gallery di San Diego (California), mentre la cornice originale è stata sostituita da una quattrocentesca. Il soggetto rappresentato è l'incoronazione della Vergine attorniata da una Gloria di Angeli e Santi.
Il ricorso agli aiuti per l'esecuzione è ampio, c'è un accentuato gusto scenografico e cromatico creato da un'infinità di tinte finissime, ma minore profondità visto che lo spazio è riempito di figure che sono varie sia per le tipologie dei volti che per le espressioni.

Di questo periodo sono conservate molte altre tavole giottesche, spesso parti di polittici smembrati, nei quali si presenta sempre il problema dell'autografia che non è mai sicura. Una delle più dibattute in questo senso è la Croce dipinta di San Felice di Piazza. Il Polittico di Santa Reparata è attribuito al Maestro con la collaborazione del "Parente di Giotto", il Santo Stefano della Collezione Horne di Firenze è probabilmente opera autografa e viene associata come resto di un'unica opera a due frammenti: il San Giovanni Evangelista e il San Lorenzo entrambi del Museo Jacquemart-André di Chalis (Francia) e alla bellissima Madonna col Bambino della National gallery di Washington. In vari musei sono sparse anche tavolette di piccole dimensioni: La Natività e Adorazione dei Magi dei Metropolitan Museum of Art di New York (simile alle scene di Assisi e Padova), la Presentazione di Gesù al Tempio (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum), l'Ultima Cena, Crocifissione e Discesa al Limbo della Alte Pinakothek di Monaco, la Deposizione della Collezione Berenson di Firenze e la Pentecoste (National Gallery di Londra) che secondo lo storico Ferdinando Bologna faceva parte di un polittico ricordato dal Vasari a Borgo san Sepolcro. Poco prima della sua partenza da Firenze nel 1327, l'artista si iscrive per la prima volta all'arte dei Medici e degli Speziali insieme agli allievi più fedeli Bernardo Daddi e Taddeo Gaddi che lo seguono nelle ultime imprese.

Giotto a Napoli e Bologna
Il viaggio che ha lasciato meno tracce nel catalogo giottesco è, senz'altro, quello napoletano, ricordato, tuttavia, da molte fonti. Nel 1328 è invitato dal re Roberto D'Angiò che lo nomina nel 1333 "famigliare" ovvero pittore di corte a testimoniare l'enorme considerazione che aveva ormai raggiunto. Delle opere raccontate dai cronisti locali e confermate dai pagamenti non rimane nulla: La Cappella della Chiesa di Santa Chiara e la sala di re Roberto affrescata con immagini di Uomini Illustri nel Castello Angioino. La sua presenza fu importante per la formazione dei pittori locali Maestro di Giovanni Barrile, Roberto d'Oderisio e Pietro Orimina. Dopo il 1333 è a Bologna dove rimane il Polittico firmato proveniente dalla Chiesa di Santa Maria degli Angeli, su fondo oro, con lo scomparto centrale raffigurante la Madonna in Trono e sui laterali San Pietro, l'Arcangelo Gabriele, Michele Arcangelo e San Paolo, tutte figure solide, come consuetudine in questa fase ultima della sua attività, dai panneggi fortemente chiroscurati, dai colori brillanti e con un liguaggio che lo avvicina alla cultura figurativa padana come nella figura di Michele Arcangelo che ricorda quelli di Guariento. Non resta traccia, invece, della presunta decorazione della Rocca di Galliera del legato pontificio Bertrando del Poggetto, ripetutamente distrutta dai bolognesi. Sulla scia di queste considerazioni è possibile collocare nella fase ultima della sua carriera altri pezzi erratici come: la Crocifissione di Strasburgo (Museo Civico) e quella della Statliche Museen Gemaldgalerie di Berlino.

Ultimi anni
Trascorre gli ultimi anni lavorando anche come architetto, quasi sempre a Firenze dove è nominato il 12 aprile del 1334 Capomaestro dell'Opera di Santa Reparata e soprintendente delle opere pubbliche del Comune, secondo il Villani comincia il 18 luglio dello stesso anno il lavoro di fondazione del Campanile del Duomo che dirige fino alla costruzione dell'ordine inferiore con i bassorilievi. Nella Cappella del Podestà del Bargello c'è un ciclo di Affreschi a lui attribuito, ma, purtroppo, in cattivo stato di conservazione, che raffigura "Storie della Maddalena" ed "Il Giudizio Universale" Nel 1336 è invitato a Milano presso Azzone Visconti, non ci sono tracce della sua presenza se non in opere di autori locali come la Crocifissione della Chiesa di San Gottardo in Corte. Infine, sempre il Villani, riporta la data della morte avvenuta all'inizio del 1336 secondo il calendario fiorentino, cioè il 1337.

I seguaci
Giotto aveva condotto i lavori e le numerose commissioni della sua bottega con una organizzazione del lavoro guidata con una logica imprenditoriale, che necessitava del coordinamento del lavoro di numerosi collaboratori. Questo metodo, prima usato solo nei cantieri architettonici e dalle maestranze di scultori e scalpellini attivi nelle cattedrali romaniche e gotiche, era una delle maggiori innovazioni apportate in pittura dalla sua equipes e che spiega anche la difficoltà di lettura e di attribuzione di molte sue opere. Vasari cita i nomi di alcuni dei più stretti aiutanti non tutti celebri: Taddeo Gaddi, Puccio Capanna, Ottaviano da Faenza, Guglielmo da Forlì a cui bisogna aggiungere i molti seguaci e continuatori del suo stile che creano delle scuole locali nelle zone dove era transitato. A Firenze ed in toscana operavano i cosiddetti "Protogiotteschi" i seguaci che avevano visto all'opera Giotto nella sua città: Maso di Banco, Giottino, Bernardo Daddi, Maestro della Santa Cecilia, Maestro di Figline, Pacino di Bonaguida, Jacopo del Casentino, Stefano Fiorentino. Le vicende biografiche di molti di questi pittori non sono ancora state bene documentate, alcune come Giottino o Stefano Fiorentino sono ancora misteriose In Umbria, lo stile giottesco assume una connotazione devozionale e popolare riconoscibile nelle opere del Maestro di Santa Chiara da Montefalco, del Maestro Espressionista di Santa Chiara e di Puccio Capanna ovvero il Maestro Colorista un artista di grande livello. A Rimini nasce una scuola che avrà un breve periodo di splendore Neri da Rimini, Giuliano Da Rimini, Giovanni da Rimini, Maestro dell'Arengario e degli autori di opere molto interessanti come il Maestro della Cappella di San Nicola ed i suoi affreschi della Basilica di San Nicola da Tolentino e dell'Abbazia di Pomposa che filtrano la matrice giottesca con influenze locali e, soprattutto, bolognesi che produce dei capolavori nel campo della miniatura. L'influenza di Giotto si estenderà, poi, anche alle scuole settentrionali come dimostra l'arte di Altichiero, Guariento e Giusto de' Menabuoi.[/align]
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St. Francis Mourned by St. Clare, before 1300

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Saint Francis Giving his Mantle to a Poor Man, before 1300

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Scenes from the Life of the Virgin.. The Meeting at the Golden Gate, detail, 1303-05

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Scenes from the Life of Christ.. Nativity

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Scenes from the Life of Joachim.. Joachim's Dream, detail of an angel, 1305-13

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Scenes from the Life of the Virgin.. The Flight into Egypt, 1304-13

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